LA RECENSIONE DI MARINA – LA VITA POSSIBILE di Ivano De Matteo

8597TITOLO: LA VITA POSSIBILE; REGIA: Ivano De Matteo; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Italia; cast: Margherita Buy, Valeria Golino, Andrea Pittorino; durata: 107′

Nelle sale italiane dal 22 settembre, La vita possibile è l’ultimo lungometraggio diretto da Ivano De Matteo, con protagoniste Margherita Buy e Valeria Golino.

Anna, in fuga da un marito violento, parte alla volta di Torino con il figlioletto Valerio. Una volta giunta in città, verrà ospitata per i primi tempi dall’amica di vecchia data Carla, un’attrice di teatro vivace e pasticciona. Grazie al suo supporto ed a quello di Mathieu – un ristoratore francese che abita nel quartiere – per la donna sarà possibile affrontare un nuovo inizio.

la-vita-possibile-13Che delusione, questo ultimo lungometraggio di De Matteo! Nonostante il regista abbia creato, in passato, prodotti interessanti come Gli equilibristi, La bella gente e numerosi documentari, in questo suo ultimo lavoro pare abbia perso quello smalto che lo ha caratterizzato agli inizi di carriera, dando vita, pertanto, ad un film che – sotto molti punti di vista – ha fatto storcere il naso a non pochi spettatori.

In primis, uno dei grandi difetti alla base di tutto, sta nella sceneggiatura. A parte la banalità della storia raccontata (quante volte abbiamo visto un film del genere?), troviamo una scarsa indagine psicologica dei personaggi protagonisti, soprattutto in rapporto al loro vissuto ed alle conseguenze di determinate esperienze passate. Ed anche per quanto riguarda le sottotrame, purtroppo alcune storie vengono abbandonate a sé stesse e lasciate cadere nel vuoto come se niente fosse (basti pensare alla storia della prostituta di cui si invaghisce Valerio), oppure sono talmente deboli da non creare un minimo di interesse o di tensione nello spettatore (il personaggio del regista amico di Carla è, al fine dello sviluppo della vicenda, quasi inutile, in quanto decisamente mal sfruttato).

download-3Uno dei momenti peggiori del film è, senza dubbio, rappresentato dalla scena in cui Valerio decide di dire addio alla ragazza di cui si è invaghito. La musica di Jovanotti in sottofondo fa venire decisamente la pelle d’oca. E di certo non per l’emozione.

Nonostante tutto, però, La vita possibile un fattore positivo ce l’ha: le due protagoniste, Margherita Buy e Valeria Golino, ci hanno regalato, come sempre, due grandi prove attoriali. Ma questo potevamo già prevederlo prima della visione stessa del film. Che dire? Ci auguriamo che De Matteo torni presto in carreggiata. Che la sua strada sia, forse, proprio quella del documentario? Lo scopriremo, probabilmente, con i suoi prossimi lavori.

VOTO: 4/10

Marina Pavido

 

LA RECENSIONE DI MARINA – LE ULTIME COSE di Irene Dionisio

1464683872020TITOLO: LE ULTIME COSE; REGIA: Irene Dionisio; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Italia, Svizzera, Francia; cast: Fabrizio Falco, Roberto De Francesco, Christina Rosamilia; durata: 85′

Nelle sale italiane dal 29 settembre, Le ultime cose è l’opera prima della giovane regista Irene Dionisio, presentata nella sezione Settimana della Critica all’ultima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Tante storie che si intrecciano in una Torino dei giorni nostri, che vede, ogni giorno, centinaia di persone fare salti mortali ed importanti rinunce, al fine di poter arrivare a fine mese e mantenere le proprie famiglie. Teatro di tutto ciò è il banco dei pegni. Stefano è un giovane impiegato, appena assunto al banco. Pian piano verrà a conoscenza dei magheggi e delle ingiustizie commesse dai suoi datori di lavoro. Sandra è una giovane trans appena trasferitasi a Torino, per sfuggire ad un passato difficile. Anch’ella – in gravi difficoltà economiche – sarà costretta ad impegnare alcuni dei suoi averi. Michele, infine, è un pensionato, il quale, per poter acquistare un apparecchio acustico al nipotino, entra nel giro del traffico illegale dei pegni.

1469633167402La crisi economica, le mille difficoltà del quotidiano. Senza dubbio il lungometraggio della Dionisio tratta un tema di grande interesse ad attualità Non è uno dei tanti film sul precariato, bensì è un prodotto che si concentra su di una realtà ben precisa: quella del banco dei pegni, appunto. Ed è proprio questa la trovata vincente. Basti pensare ai numerosi compro oro che hanno iniziato la loro attività negli ultimi anni. Le storie qui raccontate sono le storie di ognuno di noi, spiazzanti nella loro normalità. Non dimentichiamo, inoltre, che non c’è nulla di più difficile di realizzare un film corale (non tutti siamo Robert Altman!). Ma Irene Dionisio è stata capace di creare personaggi veri e fortemente empatici, in grado di entrare a contatto con il pubblico fin dai primi minuti.

Un aspetto che, invece, potrebbe far storcere il naso a molti è proprio la regia. Pur vantando uno script semplice e ben realizzato, il lungometraggio ha quasi la forma di una fiction televisiva. Rischio, questo, molto forte, nel momento in cui le storie trattate sono più di una. E, a questo proposito, anche la musica non è stata d’aiuto.

334238-thumb-full-ultimecoseUna scena quasi a sé – in quanto non in linea dal punto di vista formale con il resto del film – è rappresentata, invece, dal momento in cui vediamo arrestarsi per poche ore – durante la chiusura notturna – l’attività del banco dei pegni. Le immagini delle porte chiuse e degli ambienti vuoti, oltre alla pioggia scrosciante all’esterno dell’edificio hanno, senza dubbio, un forte impatto visivo ed emotivo sullo spettatore.

Ultima considerazione: il giovane Fabrizio Falco – già premiato a Venezia nel 2012 con il Premio Mastroianni al Miglior Attore Emergente per È stato il figlio di Daniele Ciprì – ha dato, qui, ulteriore prova del suo talento, confermandosi come uno dei giovani interpreti più promettenti del momento.

Che dire? Come esordio, Le ultime cose presenta senza dubbio degli spunti piuttosto interessanti. Non resta che attendere i prossimi lavori della giovane regista, che, siamo sicuri, avrà ancora tanto e tanto da regalarci.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – SE PERMETTI NON PARLARMI DI BAMBINI di Ariel Winograd

sepermetti6-u202075405625vvf-896x504gazzetta-webTITOLO: SE PERMETTI NON PARLARMI DI BAMBINI; REGIA: Ariel Winograd; genere: commedia; anno: 2016; paese: Argentina; cast: Diego Peretti, Maribel Verdù; durata: 100′

Nelle sale italiane dal 29 settembre, Se permetti non parlarmi di bambini è l’ultimo lavoro del regista argentino Ariel Winograd.

Gabriel e Vicky si conoscono e si piacciono dai tempi del liceo, anche se tra loro c’è sempre stata solo una sommaria amicizia. Qualche anno dopo si incontrano di nuovo, per poi perdersi nuovamente di vista. Passano alcuni anni, Gabriel nel frattempo si è sposato, è diventato papà ed ha divorziato da sua moglie. Attualmente vive con la figlioletta di nove anni, Sofia. Vicky, invece, non ha una famiglia sua, ha viaggiato per anni ed ha sempre evitato qualsiasi legame stabile. Quando i due si rivedono, è subito amore. Tutto sembra andare per il verso giusto, finché Vicky non rivela a Gabriel di non sopportare i bambini, ignorando che l’uomo è egli stesso padre. Che fare a questo punto? Non sarà facile, per Gabriel, tenere nascosta la verità.

copertina_sin-hijos-1000-620x350Il Sud America, si sa, – restando nell’ottica del cinema contemporaneo – spesso e volentieri ci riserva delle gran belle sorprese. Basti pensare ad uno dei più validi cineasti all’interno del panorama cinematografico attuale, ossia Pablo Larrain. Stesso discorso va fatto per quanto riguarda il cinema sperimentale – altro importante settore particolarmente incentivato nella zona. È in questo ambito, infatti, che abbiamo recentemente visto l’affermarsi di autori come Raoul Perrone (Ragazzi) ed Andrea Tonacci (Jà visto – Jamais visto), di origini italiane. Ma volendo restare esclusivamente nell’ambito della commedia, non possiamo non citare l’argentino Storie pazzesche, lungometraggio particolarmente riuscito, candidato – nel 2015 – al Premio Oscar come Miglior Film Straniero. Ebbene sì, il cinema sudamericano è questo. Ma è anche Se permetti non parlarmi di bambini, ultimo lavoro del cineasta argentino Ariel Winograd.

Tralasciando la complessità del tema trattato – ossia la scelta di alcune donne di non avere figli e la mancanza dell’istinto materno – che qui viene trattato del tutto sommariamente e procedendo per stereotipi, Se permetti non parlarmi di bambini risulta un prodotto deludente per molti altri motivi.

se-permetti-non-parlarmi-di-bambiniSe proviamo ad analizzare il lungometraggio seguendo i classici canoni della commedia, ad esempio, possiamo vedere come alcune trovate e pseudo-gag siano già viste e riviste, oltre ad essere fortemente e pericolosamente prevedibili. Basti pensare, ad esempio, alla figura di Keko – fratello del protagonista: talmente stereotipato e banalizzato da risultare prevedibile nelle sue battute ed assolutamente poco credibile. Stesso discorso vale per i personaggi degli amici del protagonista: la classica coppia che cerca in tutti i modi di “accasare” l’amico single. E, soprattutto per quanto riguarda la scrittura stessa, vi è, purtroppo, una scarsa indagine psicologica. Carenza, questa, che fa sì che ogni personaggio risulti quasi piatto, privo di spessore, fatta eccezione – forse – per la stessa Vicky.

L’happy end è, inoltre, talmente scontato e banale da far cadere – nello spettatore – qualsiasi interesse per quanto riguarda ulteriori possibili sviluppi della trama. Il risultato è un prodotto maldestro, che – pur tentando di trattare un tema non facile – risulta solo una brutta copia delle già deludenti commedie americane di grande distribuzione. Ebbene sì, il Sud America – così come ogni altro paese – ci riserva anche questo. Siamo certi, però, che – malgrado qualche scivolone lungo il percorso – avrà da regalarci ancora tante e tante soddisfazioni.

VOTO: 4/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – PRIMA DI LUNEDI’ di Massimo Cappelli

maxresdefault.jpgTITOLO: PRIMA DI LUNEDÌ; REGIA: Massimo Cappelli; genere: commedia; anno: 2016; paese: Italia; cast: Vincenzo Salemme, Fabio Troiano, Andrea Di Maria, Sandra Milo, Martina Stella; durata: 90′

Nelle sale italiane dal 22 settembre, Prima di lunedì è l’ultima commedia diretta dal regista Massimo Cappelli, con protagonisti Vincenzo Salemme, Fabio Troiano, Andrea Di Maria e Martina Stella.

Marco ed Andrea sono due amici inseparabili. Un giorno, di ritorno da lavoro, vengono tamponati con la macchina da Carlito, un boss legato a numerosi furti di opere d’arte. Al fine di risarcire il danno, i due saranno costretti – su incarico dell’uomo – a trasportare da Torino a Napoli un uovo di Pasqua molto speciale. Per portare a termine la missione hanno meno di ventiquattro ore. Ad accompagnarli nel loro viaggio ci saranno anche Penelope – sorella di Andrea, ex di Marco e, a sua volta, alla vigilia del matrimonio – e Chanel, simpatica ed attempata francese, conosciuta via chat da Andrea.

images-2Malgrado la confezione – che fa da subito pensare ad una delle tante commedie, tutte somiglianti tra di loro, in uscita nelle sale italiane – c’è da dire che Prima di lunedì, pur non rappresentando nulla di particolarmente innovativo all’interno del palinsesto, ha diversi spunti interessanti che, tutto sommato, fanno sì che il film stesso scorra senza particolari intoppi o luoghi comuni.

In primis, la scelta del cast rappresenta un’ottima soluzione. Sul talento di Vincenzo Salemme ormai non vi è alcun dubbio. E qui l’attore mette in scena un boss apparentemente spietato, ma dal cuore d’oro. Ok, nulla di nuovo, eppure Salemme fa sì che il suo personaggio sia uno dei protagonisti meglio caratterizzati del film. Ottime interpretazioni anche quelle di Fabio Troiano (che già in passato ha lavorato con Massimo Cappelli in Il giorno + bello), di Andrea Di Maria e di Sandra Milo (nel ruolo di Chanel). Poco convince, invece, diversamente rispetto ad altre sue interpretazioni, Martina Stella, la quale – in questo caso – ha eccessivamente caricato il proprio personaggio, rendendolo oltremodo rigido e poco in linea con ciò che si sta raccontando.

images-3Altra trovata interessante è rappresentata dal gran numero di citazioni cinematografiche presenti nel lungometraggio: non possiamo, ad esempio, non pensare a Fellini nella scena ambientata al circo, dove Sandra Milo fa da protagonista assoluta. Così come la trovata stessa dell’uovo di Pasqua è un buon esempio di McGuffin ottimamente sfruttato, al fine di dare il via a tutta la vicenda. Il risultato è una sorta di road movie garbato, anche se a tratti piuttosto scontato (soprattutto per quanto riguarda il finale), ma con gag tutto sommato gradevoli e mai eccessive.

Nulla di particolarmente nuovo, l’abbiamo detto. Eppure Prima di lunedì si è dimostrato comunque un prodotto onesto e senza troppe pretese. Gli amanti del genere apprezzeranno di sicuro.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – ELVIS&NIXON di Liza Johnson

ap_893805559066.jpgTITOLO: ELVIS&NIXON; REGIA: Liza Johnson; genere: commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Michael Shannon, Kevin Spacey, Johnny Knoxville; durata: 86′

Nelle sale italiane dal 22 settembre, Elvis&Nixon è l’ultimo lungometraggio diretto dalla regista Liza Johnson.

Washington, dicembre 1970. La celebre rockstar Elvis Presley decide di inviare una lettera al Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, proponendosi come “agente segreto”, al fine di collaborare con il governo americano e di riportare i giovani “sulla retta via”. Incontrare il Presidente, però, sarà più complicato di quanto si pensi, soprattutto perché è lo stesso Nixon ad essere titubante circa il loro incontro. A supportare Elvis in questa sua missione ci saranno il suo storico assistente Jerry Schilling ed il suo amico Sonny.

imagesQuesto lungometraggio della Johnson (scritto da Joey ed Hanala Sagal) cattura fin da subito l’attenzione, in quanto – dal momento che l’evento raccontato è in linea di massima sconosciuto ai più – ci si chiede in che modo due personalità apparentemente così diverse siano bene o male riuscite a trovare un punto di incontro. Nonostante l’idea di partenza vincente, però, purtroppo il prodotto – nel corso del suo svolgimento – non sempre riesce a mantenere toni all’altezza della situazione. Ma procediamo per gradi.

Ovviamente la parte più difficile della messa in scena sta proprio nel ricreare sullo schermo due grandi personalità come Elvis e Nixon. A questo fine sono stati scelti due veri e propri mostri sacri del cinema statunitense: Michael Shannon (nel ruolo di Elvis) e Kevin Spacey (Richard Nixon), i quali sono riusciti – grazie anche ad un importante lavoro di preparazione in merito – a mettere in scena personaggi complessi e mai scontati, in particolare per quanto riguarda Elvis Presley, qui finalmente quasi “inedito” agli occhi del pubblico e, soprattutto, scevro da qualsiasi luogo comune e da qualsiasi stereotipo caricaturale, come spesso potrebbe pericolosamente accadere. La scena finale dell’incontro tra i due è – a questo proposito – decisamente il momento più alto di tutto il film.

images-1Ma allora cos’è che, di questo lungometraggio della Johnson, proprio non convince? Forse la pecca più grande sta proprio nello sviluppo delle vicende precedenti l’incontro e nell’attesa di Elvis di avere un qualche responso dalla Casa Bianca. Talvolta l’andamento narrativo tende un po’ a ripetersi, facendo sì che nello spettatore non ci sia la tensione giusta prima del climax finale. Commedia gradevole, quello sì. Ma – se non fosse per il tema trattato – probabilmente sarebbe uno dei tanti lavori destinati a finire a breve termine nel dimenticatoio.

In poche parole, confezione interessante, per un prodotto che – al suo interno – si rivela, a tratti, un po’ deludente, salvo per qualche gag particolarmente indovinata che sta a costellare il tutto. Eppure, un buon motivo per andare a vedere Elvis&Nixon c’è: la presenza di due grandi interpreti e la conseguente caratterizzazione di due importanti personaggi. Oltre, ovviamente, ad un certo, nostalgico ricordo di una delle personalità più influenti nel panorama musicale mondiale. E questo sicuramente non è poco.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – I, DANIEL BLAKE di Ken Loach

daniel_blakeTITOLO: I, DANIEL BLAKE; REGIA: Ken Loach; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Gran Bretagna, Francia; cast: Dave Johns, Hayley Squires, Natalie Ann Jamieson; durata: 100′

Nelle sale italiane dal 21 ottobre, I, Daniel Blake è l’ultimo lungometraggio diretto dall’acclamato regista Ken Loach, premiato con la Palma d’Oro all’ultima edizione del Festival di Cannes.

Newcastle, oggi. Daniel Blake ha 59 anni e, dopo essere stato colpito da infarto, è impossibilitato a tornare al suo lavoro di carpentiere. Durante le lunghe trafile per riuscire ad ottenere un sussidio, si imbatte in Katie, giovane ragazza madre londinese e disoccupata, anch’ella alla ricerca di aiuto da parte dello Stato. I due instaurano una bella amicizia e si aiutano a vicenda, ma la burocrazia non sembra stare affatto dalla loro parte.

danielblakeKen Loach, si sa, fin dagli inizi della sua prolifica carriera, ha sempre sposato un ben definito messaggio politico, facendosi paladino di chi – per un motivo o per un altro – non sempre riesce a beneficiare dei propri diritti di cittadino. E dopo un periodo che possiamo definire quasi “soft” (i suoi ultimi lavori, fatta eccezione per il documentario The spirit of ’45, pur essendo prodotti più che validi come Jimmy’s hall o La parte degli angeli, hanno spesso deluso le aspettative del pubblico della critica), finalmente il cineasta britannico è tornato il Ken Loach di sempre, il Ken Loach dei tempi d’oro, quello – per intenderci – di Riff raff o di Bread and Roses. Dalla sua, I, Daniel Blake ha – d’altronde – non poche trovate interessanti, al di là del tema trattato. Vediamo perché.

Il protagonista Daniel Blake – magistralmente interpretato da Dave Johns – è un uomo qualunque in una società in cui il cittadino è considerato alla stregua di un cane (come viene sottolineato da Katie alla fine del film). Spiazza la rappresentazione della sua quotidianità, dove – altra grande protagonista – la città di Newcastle – spoglia, grigia, fredda – fa da scenografia perfetta alle vicende dell’uomo. Stesso discorso vale per determinate trovate registiche, quali, ad esempio, le numerose dissolvenze al nero, che – con una totale assenza di musica (fatta eccezione per i momenti in cui il protagonista mostra al pubblico il suo lato più intimo) – stanno a rendere perfettamente l’idea della ripetitività e della lunghezza dei tempi morti in ambito burocratico. Dissolvenze al nero che, con una trovata più che giusta, vengono copiosamente usate anche per quanto riguarda la scena finale ed in chiusura del film.

20160418140729-i_danielblake_01Numerosi sono, tra l’altro, i momenti di forte impatto emotivo. Primo fra tutti: la scena in cui Katie, facendo la spesa alla banca del cibo, non resiste alla fame e, per disperazione, apre una confezione di passata di pomodoro ed inizia a divorarne il contenuto. “Questo è un film che vi farà male”, ha affermato lo stesso Ken Loach in merito. E, bisogna riconoscerlo, il regista è riuscito in pieno nel suo intento, creando sì un lungometraggio con un importante messaggio politico e sociale, ma anche un prodotto che – malgrado l’argomento sia stato più e più volte trattato – riesce fin da subito a stabilire il giusto contatto con il pubblico. Cosa, peraltro, non facile.

Forse è stato eccessivo premiare il cineasta con la Palma d’Oro, in quanto prodotti ben più interessanti erano presenti a Cannes? Può darsi. Ma, in ogni caso, I, Daniel Blake è un’opera raffinata e ben fatta, la quale fa parte di quel cinema che resta dentro a lungo e che non ci stancheremo mai di vedere.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

VENEZIA 73 – PREMI E CONCLUSIONI

imageSi è da poco conclusa la cerimonia di premiazione, in Sala Grande, di questa 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, culminata con il meritatissimo conferimento del Leone d’Oro al maestro filippino Lav Diaz, per il suo The woman who left. A parte Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson nel 2014, si tratta, senza dubbio, di uno dei migliori Leone d’Oro degli ultimi anni. La sua vittoria fa sperare in una riconsiderazione di un cinema considerato, a torto, élitario ed aprirà – grazie alla necessaria uscita in sala del lungometraggio – magari anche nuovi orizzonti a chi non è abituato a rapportarsi ad un certo modo di fare cinema.

Per quanto riguarda gli altri premi conferiti, in molti hanno storto (a ragione) il naso per l’ex aequo a Escalante (La region salvaje) e a Konchalovsky (Paradise), non essendo, appunto, tra i migliori titoli presenti in concorso (il film di Escalante è addirittura considerato uno dei peggiori lungometraggi presenti al Lido).

Grande soddisfazione, invece, per la vittoria di Oscar Martinez, il quale si è aggiudicato la Coppa Volpi alla miglior interpretazione maschile per El ciudadano ilustre. Insieme al Leone d’Oro, decisamente il premio più azzeccato del festival.

Di seguito, tutti i vincitori di questa 73° edizione. Il nostro speciale su Venezia 73 finisce qui. É stato un piacere condividere con voi tutte le emozioni che ci ha riservato questo festival! Grazie a tutti voi! E buon Cinema a tutti!

Marina Pavido

PREMI VENEZIA 73

CONCORSO

LEONE D’ORO The woman who left – Lav Diaz

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA Nocturnal animals – Tom Ford

LEONE D’ARGENTO – MIGLIOR REGIA La region salvaje – Amat Escalante / Paradise – Andrei Konchalovsky

COPPA VOLPI MIGLIOR ATTRICE Emma Stone (La La Land)

COPPA VOLPI MIGLIOR ATTORE Oscar Martinez (El ciudadano ilustre)

PREMIO MIGLIOR SCENEGGIATURA Jackie – Pablo Larrain (sceneggiatura di Noah Oppenheim)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA The bad batch – Ana Lily Amirpour

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI MIGLIOR ATTRICE EMERGENTE Paula Beer (Frantz)

PREMIO LEONE DEL FUTURO The last of us – Ala Eddine Slim

PREMI ORIZZONTI

PREMIO MIGLIOR FILM Liberami – Federica Di Giacomo

PREMIO ORIZZONTI MIGLIOR REGIA Home – Fien Troch

PREMIO SPECIALE GIURIA Big big world – Reha Erdem

PREMIO MIGLIOR ATTRICE Ruth Diaz (Tarde para la ira)

PREMIO MIGLIOR ATTORE Nuno Lopes (Sao Jorge)

PREMIO MIGLIOR SCENEGGIATURA Bitter money – Wang Bing

PREMIO MIGLIOR CORTOMETRAGGIO La voz perdida – Marcelo Martinessi

PREMI VENEZIA CLASSICI

PREMIO MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA Le concours – Claire Simon

PREMIO MIGLIOR RESTAURO Break Up – L’uomo dei cinque palloni – Marco Ferreri

VENEZIA 73 – CONSIDERAZIONI E PRONOSTICI

StampaMancano poche ore, ormai, al conferimento del Leone d’Oro della 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Anche quest’anno – come ogni anno, d’altronde – il programma è stato particolarmente ricco, sebbene il numero di lungometraggi selezionati sia di poco inferiore rispetto alle precedenti edizioni.

Salvo qualche eccezione, quest’anno il concorso si è rivelato piuttosto tiepido. Grande spazio è stato dato a lungometraggi provenienti dal continente americano, il che ha reso la selezione non troppo variegata nei suoi standard. Eppure, qualche prodotto particolarmente interessante c’è: The woman who left di Lav Diaz in primis, ma anche Jackie di Pablo Larrain (sebbene non alla portata dei precedenti lavori del regista), come anche El ciudadano ilustre di Mariano Cohn e Gaston Duprat, o Une vie di Stéphane Brizé.

Destinati a passare alla storia come i peggiori film in concorso di Venezia 73, invece, sono Questi giorni di Giuseppe Piccioni, Brimstone di Martin Koolhoven e La region salvaje di Amat Escalante.

Peccato per alcuni registi in concorso, da cui ci si sarebbe aspettato di più, come, ad esempio, Emir Kusturica (On the milky road), Ana Lily Amirpour (The bad Batch) o la coppia di documentaristi D’Anolfi e Parenti (Spira Mirabilis).

Tra i prodotti più interessanti qui presentati, invece, troviamo Monte di Amir Naderi e Austerlitz di Sergei Lonitsa (fuori concorso), oltre agli ottimi Bitter Money di Wang Bing e King of the Belgians (Brosens – Woodworth), nella sezione Orizzonti.

Nell’attesa di sapere a chi verranno assegnati i principali premi della Mostra, proviamo a fare qualche pronostico:

Leone d’OroJackie di Pablo Larrain o The woman ho left di Lav Diaz

Leone d’Argento – come sopra (o almeno si spera)

Miglior sceneggiaturaEl ciudadano ilustre (Cohn – Duprat) o Frantz (François Ozon)

Coppa Volpi alla miglior interpretazione maschile – Oscar Martinez (El ciudadano ilustre)

Coppa Volpi alla miglior interpretazione femminile – Nathalie Portman (Jackie) o Judith Chemla (Une vie)

Sperando che il Presidente di Giuria Sam Mendez non ci riservi spiacevoli sorprese, Entr’Acte si collegherà più tardi, al termine della premiazione, per tutti gli aggiornamenti su questa 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Marina Pavido

VENEZIA 73 – BITTER MONEY di Wang Bing

ku-qianTITOLO: BITTER MONEY; REGIA: Wang Bing; genere: documentario; anno: 2016; paese: Cina; durata: 150′

Presentato in concorso nella sezione Orizzonti alla 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Bitter Money è l’ultimo lavoro del premiato documentarista cinese Wang Bing.

Tre storie, tre giovani che hanno lasciato la periferia per trasferirsi in una grande città metropolitana della Cina orientale, al fine di trovare lavoro. Malgrado il settore industriale sia in continua crescita, però, poca attenzione si presta alle condizioni di vita dei numerosi lavoratori delle fabbriche. I giovani protagonisti sono alcuni esempi di operai sfruttati e sottopagati che, a quanto pare, hanno perso qualsiasi concezione della realtà.

Wang Bing da sempre si è dimostrato attento alle numerose problematiche politiche e sociali del presente, così come del passato. Il tema del lavoro, ad esempio, già era stato trattato nel documentario Coal Money (2008), in cui venivano denunciate le disumane condizioni di vita di alcuni minatori cinesi, ed in I dannati di Jiabiangou (2010), ambientato nei primi anni Sessanta della Cina maoista. In Bitter Money viene raccontato, invece, un mondo al quale si è costantemente in contatto: basta, infatti, recarsi anche solo in un negozio qualsiasi della metropoli per essere testimoni delle drammatiche condizioni di indigenza di chi ci lavora.

Caratteristica dello stile di Wang Bing è la grande capacità di far entrare lo spettatore nel vivo delle vicende mostrate, grazie ad una raffinata tecnica di pedinamento zavattiniana ed a un realismo quassi estremo – ottenuto grazie anche all’uso di particolari focali a seconda di ciò che si vuol mettere in evidenza – che – con una buona dose di crudezza – non ha paura di mostrarci anche gli aspetti più reconditi della vita dei personaggi da lui raccontati. Anche in questo suo ultimo lavoro, questo modo di raccontare si è rivelato una scelta più che giusta: i tre giovani vengono seguiti passo passo nella loro quotidianità, dal viaggio in treno per trasferirsi in città al lavoro in fabbrica, fino al termine della giornata lavorativa. Fa male – durante la visione – il cinismo che si è impossessato dei protagonisti: i rapporti con i colleghi, gli affetti, ma, soprattutto, la considerazione di sé stessi e degli altri sembrano aver lasciato il posto ad un primordiale istinto di sopravvivenza, quasi come se non si fosse più degli esseri umani, ma si vivesse alla stregua di vere e proprie macchine. È questo, dunque, il prezzo da pagare per mandare avanti l’economia del paese? Wang Bing, ovviamente, non è il primo a denunciare determinate realtà, ma solo lui, però, riesce a farlo colpendo nei punti giusti ed offrendoci un punto di vista particolarmente attento ed indagatore, ma mai presuntuoso o eccessivamente giudicante.

L’unica pecca di un grande lavoro come Bitter Money può essere, forse, quella di avere al proprio interno qualche punto morto di troppo (sebbene la sua durata sia di gran lunga inferiore ad alcuni dei precedenti lavori), in quanto il regista tende a reiterare eccessivamente determinati momenti. Detto questo, però, ci troviamo comunque davanti ad un ritratto coinvolgente ed addirittura magnetico di una porzione della società odierna, ulteriore dimostrazione del grande talento del maestro cinese, il quale, a sua volta, si è confermato uno dei più abili narratori del reale presenti ai giorni nostri, facendo sì che le storie da lui mostrate diventino, in qualche modo, anche le nostre storie.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

VENEZIA 73 – ON THE MILKY ROAD di Emir Kusturica

milky-road-first-look-optionTITOLO: ON THE MILKY ROAD; REGIA: Emir Kusturica; genere: drammatico, commedia; anno: 2016; paese: Serbia; cast: Emir Kusturica, Monica Bellucci, Sergej Trifunovic; durata: 125′

Presentato in concorso ufficiale alla 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, On the milky road è l’ultimo lungometraggio diretto dal cineasta serbo Emir Kusturica, dove – al fianco dello stesso regista – vediamo come protagonista la nostra connazionale Monica Bellucci.

Kosta è un ex musicista che, a causa della guerra, ha dovuto lasciare il proprio lavoro e, ogni giorno, è costretto a percorrere parecchie miglia a bordo del suo mulo per portare il latte ai soldati. L’uomo è amato dalla vivace Milena – la quale ha deciso di sposarlo – ma si innamora, ricambiato, della Sposa, ossia la fidanzata di origini italiane del fratello di Milena. Il loro amore, però, verrà contrastato da alcuni uomini sulle tracce della donna e, pertanto, i due saranno costretti a fuggire al fine di poter vivere la loro storia d’amore in tranquillità.

L’apprezzato cineasta serbo, purtroppo, da molto tempo così tanto apprezzato non lo è più. Dopo capolavori come Gatto nero gatto bianco o Il tempo dei gitani, infatti, Kusturica ha spesso e volentieri deluso le aspettative anche dei suoi spettatori più affezionati. Saperlo in concorso a Venezia, però, ha fatto sperare in un suo grande ritorno. Ma così non è stato. Pur con una buona partenza – degna, appunto, del suo regista – On the milky road perde per strada il filo del discorso, diventando un film spaccato nettamente in due, che, più che un mal riuscito tentativo di sperimentare, denota quasi una certa presunzione di base.

Fin dai primi minuti ci viene immediatamente da pensare – non solo per scelte registiche ed ambientazioni, ma anche per i temi trattati – al fortunato Gatto nero gatto bianco: la storia di un amore contrastato a causa di fidanzamenti già stabiliti. La musica – vero punto di forza del lungometraggio – ma anche interessanti trovate in cui vediamo protagonisti gli animali (come non dimenticare la gallina che salta in continuazione guardandosi allo specchio o il falco che accompagna il protagonista, ad esempio?) fanno sperare in un ritorno del vecchio Kusturica. Eppure, dopo la seconda metà dell’opera, magicamente (e involontariamente?) ci ritroviamo in un altro film: il conflitto iniziale che aveva dato spunto all’inizio della vicenda viene frettolosamente risolto e, per il resto della pellicola, vediamo i due protagonisti intenti a fuggire dai malviventi sulle tracce della Sposa.

Anche qui – costante nella cinematografia del regista serbo – troviamo il tema della guerra. Nel suo percorso di elaborazione, in questo ultimo lungometraggio Kusturica ci vuol dire come siano in realtà interessi personali a dar vita ai grandi conflitti. Interessante modo di esporre tale tesi, ma, malgrado una robusta idea di base, è proprio a livello di scrittura che On the milky road presenta i più grandi difetti. Ed è un peccato che le cose siano andate così. Soprattutto perché – sebbene da molti anni il cineasta non produca lavori particolarmente ben fatti – siamo in molti ad essere affezionati alla sua cinematografia. Una cinematografia ricca di tradizioni popolari, surrealismo, onirismo, musica e colori. Una cinematografia di cui, però, purtroppo, si è persa strada facendo la sostanza.

VOTO: 5/10

Marina Pavido