OSCAR 2017 – PREMI E CONCLUSIONI

063332506-1b6b1111-b93f-4b73-9679-1a73defda926Eccoci giunti, dunque, alla fine della cerimonia di premiazione dell’89° edizione degli Academy Awards, che ha visto Moonlight – diretto da Barry Jenkins – vincitore del Premio Oscar per il Miglior Film. Come sempre, molte sono state le sorprese, come molte le perplessità riguardo i premi assegnati. La La Land, candidato con 14 nominations, alla fine ha portato a casa “soltanto” sei Oscar, pur essendo, di fatto, il vincitore morale di questa edizione. Storica gaffe, a tal proposito, quella di Warren Beatty, il quale, al momento della lettura del titolo vincitore, ha pronunciato erroneamente il nome di La La Land al posto di Moonlight, facendo salire tutta la troupe sul palco a fare il discorso di ringraziamento. Finale a sorpresa, dunque. Ma, forse, tale gaffe ha ulteriormente ravvivato una serata che, pur portata avanti magistralmente dal comico Jimmy Kimmel – il quale ha sovente colto l’occasione per scagliarsi contro Donald Trump! – è sempre troppo lunga da seguire fino in fondo.

Grande delusione per quanto riguarda Jackie, di Pablo Larrain, il quale non ha portato a casa neanche un premio. E, di fatto, stupisce come un cineasta del calibro di Larrain stesso non abbia ancora ottenuto un riconoscimento importante. Così come sarà stato sicuramente deluso il nostro connazionale Gianfranco Rosi, visto che il Premio Oscar al Miglior Documentario è stato conferito a O. J.: Made in America. Nessuna sorpresa, invece, malgrado il buon livello degli altri film in concorso, per la vittoria come Miglior Film Straniero di Il cliente, di Asghar Farhadi, già vincitore dello stesso premio nel 2012 per Una separazione, il quale ha deciso, quest’anno, di non ritirare di persona il premio – delegando qualcuno a leggere una sua lettera di ringraziamento – per protestare contro le recenti leggi contro l’immigrazione promosse da Trump.

Ovviamente, non sono mancati momenti di grande emozione, come quando è stata omaggiata con un’ovazione la grande Meryl Streep o quando, come di consueto, sono stati ricordati i professionisti del mondo del cinema che ci hanno lasciato nello scorso anno. Commovente, a tal proposito, una non più giovanissima Carrie Fisher che, al termine del video commemorativo, ha pronunciato “May the force be with you!”.

E così, nel bene o nel male, un’altra pagina della storia di Hollywood è stata scritta. Pagina ricca, anch’essa di spunti ed aneddoti interessanti, alcuni dei quali, molto probabilmente, verranno ricordati e raccontati anche negli anni a venire.

Di seguito, tutti i vincitori di questa 89° edizione degli Academy Awards.

Miglior film
Moonlight

Miglior regia
Damien Chazelle – La La Land

Miglior attore protagonista
Casey Affleck – Manchester by the Sea

Miglior attrice protagonista
Emma Stone – La La Land

Miglior attore non protagonista
Mahershala Ali  – Moonlight

Miglior attrice non protagonista
Viola Davis – Barriere

Miglior sceneggiatura originale
Manchester by the Sea

Miglior sceneggiatura non originale
Moonlight

Miglior film straniero
Il cliente

Miglior film d’animazione
Zootropolis

Miglior montaggio
La battaglia di Hacksaw Ridge

Miglior scenografia
La La Land

Miglior fotografia
La La Land

Migliori costumi
Animali fantastici e dove trovarli

Miglior trucco e acconciature
Suicide Squad

Migliori effetti speciali
Il libro della giungla

Miglior sonoro
La battaglia di Hacksaw Ridge

Miglior montaggio sonoro
Arrival

Miglior colonna sonora originale
La La Land

Miglior canzone
“City of Stars” – La La Land

Miglior documentario
O.J.: Made in America

Miglior corto documentario
The White Helmets

Miglior cortometraggio
Sing

Miglior cortometraggio d’animazione
Piper

Marina Pavido

OSCAR 2017 – PRONOSTICI

oscar2017Ci siamo! Anche quest’anno, a Los Angeles, sta per avere luogo la lunga cerimonia di premiazione dell’89° edizione degli Academy Awards, durante la quale verrà assegnata l’ambita statuetta. Uno degli appuntamenti più attesi, dunque, per gli appassionati di cinema! Appuntamento che, come di consueto, ha avuto modo di far discutere non poco. In primo luogo, parecchie polemiche (giustificate? Ingiustificate?) sono sorte in seguito alle ben 14 nominations per il lungometraggio La La Land, diretto dal giovane Damien Chazelle. Ottimo film, indubbiamente. Molto probabile che riceva gran parte dei premi tecnici. Ma proprio il grande successo riscosso ha, in modo piuttosto prevedibile, sollevato un gran numero di polemiche.

Per il resto, i nominati rientrano tutti nei canoni delle scelte dell’ Academy. Ottime performances attoriali quelle di Emma Stone e Ryan Gosling (La La Land), ma anche un Casey Affleck, rivelazione in Manchester by the Sea, ed un’inimitabile Isabelle Huppert (Elle) non sono da meno. Oltre, ovviamente, ad una grande Natalie Portman per il bellissimo Jackie di Pablo Larrain. Così come notevole è la prova attoriale regalataci da Michelle William,sempre in Manchester by the Sea.

Uno dei titoli di cui maggiormente si sente l’assenza è proprio Neruda, capolavoro di Pablo Larrain, inizialmente proposto dal Cile come Miglior Film Straniero. Ma, si sa, la nomination alla Portman per un altro film dello stesso autore ha avuto il suo peso.

In questa 89° edizione anche l’Italia è in qualche modo rappresentata. Fuocoammare, infatti, ultima fatica del documentarista Gianfranco Rosi, già vincitore dell’Orso d’Oro alla 66° Berlinale, è in corsa per la statuetta al Miglior Documentario. Che ci sia aria di un ulteriore trionfo per Rosi?

In poche parole, grandi nomi, alta qualità, per un’edizione che si preannuncia politica come non mai (come ogni anno, del resto). Non resta che attendere qualche ora per scoprire gli esiti di questa lunga nottata, dunque!

Ricordiamo a tutti gli appassionati che la Notte degli Oscar sarà visibile dalle 22.50 su Sky Cinema Oscar e, in chiaro, su Tv8, sempre dalle 22.50.

In attesa della cerimonia di premiazione, ecco, di seguito, tutte le nominations con i possibili vincitori (evidenziati in rosso), secondo noi di Entr’Acte, della statuetta più ambita! Buon Cinema a tutti!

Miglior film
Arrival
Barriere
La battaglia di Hacksaw Ridge
Il diritto di contare
Hell or High Water
La La Land
Lion
Manchester by the Sea
Moonlight

Miglior regia
Denis Villeneuve – Arrival
Mel Gibson – La battaglia di Hacksaw Ridge
Damien Chazelle – La La Land
Kenneth Lonergan – Manchester by the Sea –
Barry Jenkins – Moonlight

Miglior attore protagonista
Casey Affleck – Manchester by the Sea
Andrew Garfield – La battaglia di Hacksaw Ridge
Ryan Gosling – La La Land
Viggo Mortensen – Captain Fantastic
Denzel Washington – Barriere

Miglior attrice protagonista
Isabelle Huppert – Elle
Ruth Negga – Loving
Natalie Portman – Jackie
Emma Stone – La La Land
Meryl Streep – Florence

Miglior attore non protagonista
Mahershala Ali  – Moonlight
Jeff Bridges – Hell or High Water
Lucas Hedges – Manchester by the Sea
Dev Patel – Lion
Michael Shannon – Animali notturni

Miglior attrice non protagonista
Viola Davis – Barriere
Naomie Harris – Moonlight
Nicole Kidman – Lion
Octavia Spencer – Il diritto di contare
Michelle Williams – Manchester by the Sea

Miglior sceneggiatura originale
Hell or High Water
La La Land
The Lobster
Manchester by the Sea
20th Century Women

Miglior sceneggiatura non originale
Arrival
Barriere
Il diritto di contare
Lion
Moonlight

Miglior film straniero
Land of Mine
A Man Called Ove
Il cliente
Tanna
Vi Presento Toni Erdmann

Miglior film d’animazione
Kubo e la spada magica
Oceania
La mia vita da zucchina
La tartaruga rossa
Zootropolis

Miglior montaggio
Arrival
La battaglia di Hacksaw Ridge
Hell or High Water
La La Land
Moonlight

Miglior scenografia
Arrival
Animali fantastici e dove trovarli
Ave, Cesare!
La La Land
Passengers

Miglior fotografia
Arrival
La La Land
Lion
Moonlight
Silence

Migliori costumi
Allied
Animali fantastici e dove trovarli
Florence
Jackie
La La Land

Miglior trucco e acconciature
A Man Called Ove
Star Trek Beyond
Suicide Squad

Migliori effetti speciali
Deepwater: Inferno sull’oceano
Doctor Strange
Il libro della giungla
Kubo e la spada magica
Rogue One: A Star Wars Story

Miglior sonoro
Arrival
La battaglia di Hacksaw Ridge
La La Land
Rogue One: A Star Wars Story
13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi (Candidatura revocata da parte dell’Academy)

Miglior montaggio sonoro
Arrival
Deepwater Horizon
La battaglia di Hacksaw Ridge
La La Land
Sully

Miglior colonna sonora originale
Jackie
La La Land
Lion
Moonlight
Passengers

Miglior canzone
“Audition ( The Fools Who Dream)” – La La Land
“Can’t Stop the Feeling” – Trolls
“City of Stars” – La La Land
“The Empty Chair” – Jim: the James Foley Story
“How Far I’ll Go” – Oceania

Miglior documentario
Fuocoammare
I am not your negro
Life Animated
O.J.: Made in America
13th

Miglior corto documentario
Extremis
4.1 Miles
Joe’s Violin
Watani: My Homeland
The White Helmets

Miglior cortometraggio
Ennemis Intérieurs
La Femme et le TGV
Silent Nights
Sing
Timecode

Miglior cortometraggio d’animazione
Blind Vaysha
Borrowed Time
Pear Cider and Cigarettes
Pearl
Piper

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – A GOOD AMERICAN di Friedrich Moser

good-moser-1TITOLO: A GOOD AMERICAN; REGIA: Friedrich Moser; genere: documentario; anno: 2016; paese: USA, Austria; durata: 100′

In arrivo nelle sale italiane, A good American è l’ultimo lavoro diretto dal documentarista austriaco Friedrich Moser e prodotto da Oliver Stone.

Bill Binney è un matematico americano ideatore del programma di sorveglianza ThinThread. Tale programma permetteva in modo discreto ed economico di tenere sotto controllo i cittadini americani, al fine di evitare eventuali atti terroristici. Proprio per il fatto di essere così economico, però, i vertici della National Security Agency hanno deciso di scaricarlo esattamente tre settimane prima dell’attentato dell’11 settembre. Non appena, un anno dopo, un amico di Binney decise di riavviare il programma, circa un anno dopo l’attentato, ecco comparire i nomi dei terroristi. A quel punto, l’NSA decise di chiuderlo definitivamente.

Una storia del genere, ovviamente, non avrebbe potuto restare sotto silenzio a lungo. Ed ecco che Moser, con questo suo ultimo lavoro, si mette a scandagliare, grazie ad una serie di interventi di cui lo stesso Binney è parte integrante, si mette a scandagliare ogni singolo passaggio dalla nascita di ThinThread alla sua chiusura,con tanto di riflessioni in merito.

Documentario dall’andamento piuttosto classico e da un taglio prettamente televisivo, A good American risulta, tuttavia, un prodotto di tutto rispetto, che non manca, inoltre, di lasciare aperta una speranza per quanto riguarda una possibile ripresa del programma stesso. Con tanto di esortazione ai cittadini a firmare una petizione in merito.

Anche per questo motivo, oltre che per l’importante tema che, nella sua attualità, riguarda tutti noi, A good American risulta un prodotto necessario, che, si spera, possa avere in tutto il mondo la risonanza che merita.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

 

LA RECENSIONE DI MARINA – PASSERI di Runar Runarsson

sparrows-still-credit-sophia-olssonTITOLO: PASSERI; REGIA: Runar Runarsson; genere: drammatico; anno: 2015; paese: Islanda, Danimarca, Croazia; cast: Atli Oscar Fjalarsson, Rakel Björk Björnsdottir; durata: 99′

Nelle sale italiane dal 2 marzo, Passeri è l’ultimo lungometraggio del giovane regista islandese Runar Runarsson.

Ari è un ragazzo di 16 anni che vive in città con la madre. Un giorno quest’ultima è costretta a trasferirsi in Africa insieme al suo nuovo compagno e non può più occuparsi del ragazzo, il quale, a sua volta, è costretto a trasferirsi in un piccolo villaggio dove vivono sua padre e sua nonna. Qui Ari, riscoprendo il rapporto con suo padre ed innamorandosi di Lara, sua vecchia amica di infanzia, avrà modo di entrare ufficialmente nell’età adulta.

sparrows_feb_stills_1-143-2Fin dalle prime inquadrature, ciò che colpisce in Passeri è come – di fianco al personaggio di Ari – il paesaggio islandese, con i suoi grandi spazi vuoti che stanno quasi a disorientare sia lo spettatore che i protagonisti stessi della pellicola, sia trattato – come spesso accade nella cinematografia nordeuropea – quasi alla stregua di un coprotagonista. E la cosa vien fatta a ragione, visti i meravigliosi paesaggi di cui tutto il Nord Europa dispone. Per quanto riguarda l’Islanda nello specifico, è stato così per i lungometraggi della compianta Solveig Anspach, ad esempio, giusto per citare uno dei nomi più noti.

In questo interessante romanzo di formazione, dunque, le inquietudini adolescenziali di Ari ben vengono sottolineate da spazi tanto affascinanti quanto agorafobici, che ben rendono il senso di spaesamento di chi, come il nostro protagonista, sta per abbandonare per sempre il mondo ovattato e caldo dell’infanzia, per affacciarsi nell’età adulta, dove niente e nessuno sembra stare dalla tua parte.

sparrowsA ben rendere questa sensazione, particolarmente indovinato risulta il giovane Atli Oscar Fjalarsson, che riesce a reggere praticamente quasi tutto il lungometraggio da solo.

Persino tematiche come il conflitto generazionale, l’assenza di uno dei genitori o i primi innamoramenti vengono trattati dall’occhio giovane ma esperto di Runarsson con attenzione e delicatezza, senza mai cadere in banali clichés o dare qualcosa per scontato. Il risultato finale è una vera e propria chicca della cinematografia nordeuropea, presentata dall’Islanda agli Oscar 2017 e distribuita in Italia grazie a Lab80 e che, si spera, possa ottenere l’attenzione che merita.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – THE GREAT WALL di Zhang Yimou

The Great WallTITOLO: THE GREAT WALL; REGIA: Zhang Yimou; genere: storico, drammatico, azione; anno: 2017; paese: USA, Cina; cast: Matt Damon, Tian Jing, Pedro Pascal, Willem Defoe; durata: 104′

Nelle sale italiane dal 23 febbraio, The great wall è l’ultimo lungometraggio diretto dal celebre regista cinese Zhang Yimou, nonché suo primo blockbuster in coproduzione con gli Stati Uniti.

William e Tovar sono due mercenari europei recatisi in Cina al fine di recuperare un po’ di famigerata “polvere nera”, antenata della polvere da sparo. Qui,però, verranno attaccati da misteriose creature verdi, i cosiddetti Taotie che ogni sessant’anni minacciano il mondo degli uomini. Per loro è stata costruita a suo tempo la Grande Muraglia Cinese. I due uomini avranno modo, dunque, di combattere al fianco dell’esercito cinese contro queste pericolose creature.

images-3C’è poco da fare: da un bel po’ di anni a questa parte, ormai, il cineasta cinese è diventato decisamente mainstream. E la cosa andrebbe anche bene, se non fosse per il fatto che i suoi ultimi lavori hanno, comunque, deluso le aspettative di pubblico e critica sia dal punto di vista della sceneggiatura in sé che anche, spesso e volentieri, per quanto riguarda una messa in scena a volte eccessivamente pomposa ed ingiustificatamente sopra le righe. Per quanto riguarda lo script, lo stesso discorso può essere fatto, purtroppo, per The Great Wall, dove si può dire che una sceneggiatura vera e propria non c’è (e la cosa non è stata fatta volutamente!). Tutto serve come pretesto per dare vita alle numerose azioni presenti, dimenticando, però, di inserire qualche necessario snodo narrativo di rilievo.

Senza parlare, ovviamente, delle numerose potenzialità qui mal sfruttate, soprattutto per quanto riguarda attori del calibro di Willem Defoe, relegato in questo caso a poche e scarne scene secondarie, mentre, di fianco, un poco convincente Matt Damon è stato scelto addirittura come protagonista.

63993_pplFortunatamente, però, dopo tante delusioni in merito, ci troviamo qui di fronte ad un 3D ben sfruttato, con raffinate e ritmate coreografie unite ad effetti speciali da cardiopalma. In poche parole, se ci si dimentica della storia in sé e ci si lascia trasportare semplicemente dalle immagini, questo ultimo lungometraggio di Zhang Yimou può indubbiamente essere apprezzato. Solo se lo si guarda in questa ottica, però.

Perché, di fatto, anche se i film del regista cinese vengono sempre attesi con naturale curiosità, i tempi di Lanterne rosse o di La locanda della felicità sembrano ormai irrimediabilmente lontani.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

 

LA RECENSIONE DI MARINA – ROSSO ISTANBUL di Ferzan Ozpetek

schermata-2017-01-16-alle-15-13-10TITOLO: ROSSO ISTANBUL; REGIA: Ferzan Ozpetek; genere: drammatico; anno: 2017; paese: Italia, Turchia; cast: Halit Ergenç, Tuba Büyüküstün, Nejat Isler; durata: 115′

Nelle sale italiane dal 2 marzo, Rosso Istanbul è l’ultimo lungometraggio del regista turco naturalizzato italiano Ferzan Ozpetek.

Orhan e Deniz sono amici da molti anni, pur non vedendosi da parecchio tempo. Nel maggio 2016, però, Orhan, scrittore di successo, tornerà ad Istanbul per aiutare Deniz – diventato, nel frattempo, uno stimato regista cinematografico – a finire la scrittura del suo ultimo libro. In seguito alla misteriosa scomparsa di Deniz, l’uomo avrà modo di entrare nella vita dell’amico, conoscendo i suoi famigliari e le persone a cui era maggiormente legato, Neval e Yusuf. In questa occasione lo scrittore avrà modo anche di rivivere il proprio passato, iniziando un lungo e spesso doloroso processo di autoanalisi.

rosso-istanbul-trailer-ozpetek-orig_mainDetto questo, l’andamento di tutto il lungometraggio può essere facilmente immaginato. Salvo qualche interessante movimento di macchina che, vuoi in panoramica dall’alto, vuoi lungo le strade, ci mostra la bellissima città di Istanbul, infatti, quello a cui assistiamo è qualcosa che per andamento narrativo ci ricorda molto Cuore sacro e che, per tematiche, somiglia a qualsiasi altro film di Ozpetek, da Mine vaganti a Le fate ignoranti, fino a toccare, per certi versi anche Magnifica presenza (dove, tuttavia, un tono molto più leggero aveva fatto da protagonista per quasi tutta la pellicola). I temi dell’omosessualità e del ritorno inaspettato del passato, uniti ad una certa componente spirituale e, se vogliamo, sovrannaturale, dunque, vengono ancora una volta mescolati per dare vita ad un prodotto al solito altamente pretenzioso, con personaggi secondari sì potenzialmente interessanti, ma, purtroppo talmente stereotipati e poco naturali da risultare sovente finti e, a tratti, addirittura come delle macchiette (vedi, ad esempio, la scena in cui Orhan conosce, durante una cena, le due zie di Deniz e si trova, dunque, circondato dalle donne che hanno da sempre fatto parte della vita dell’amico).

coverlg_homeMalgrado la somiglianza con precedenti opere, però, di fatto Rosso Istanbul potrebbe essere considerato quasi una summa di tutta la cinematografia di Ozpetek, dal momento che qui il regista, portando, in qualche modo, il suo stile all’estremo, si perde a tal punto nelle sue stesse elucubrazioni introspettive ed autoreferenziali da far perdere man mano (volutamente o meno) nerbo a tutta la storia, diventata, a questo punto, una mera e piuttosto debole cornice. Ed anche se, di fatto, si possono immaginare le iniziali intenzioni dell’autore, il risultato è un prodotto che via via che ci si avvicina alla fine, sfianca sempre di più, con un protagonista che risulta a tratti urticante ed una trama di cui, di fatto, piano piano non ci importa più.

Eppure, il ritorno ad Istanbul, aveva fatto ben sperare anche in un possibile cambio di rotta da parte di Ozpetek. O magari anche solo in un possibile focus sulla situazione politica della città stessa, visto il difficile 2016 appena trascorso ed i numerosi spunti che un luogo del genere può offrire. Ma, alla fine, c’è stato ben poco da sperare. A Ferzan Ozpetek piace a tal punto fare il Ferzan Ozpetek che, ormai, già si può immaginare dove i suoi prossimi lavori andranno a parare. Fino al momento in cui ci si renderà conto (forse), che il (bel) cinema è, di fatto, altro.

VOTO: 4/10

Marina Pavido

67° FESTIVAL DI BERLINO – PREMI E CONCLUSIONI

c_2_fotogallery_3009249_27_imageEd eccoci giunti, anche quest’anno, alla conclusione di uno dei più importanti eventi cinematografici dell’anno. La sera di sabato 18 febbraio, infatti, sono stati proclamati i vincitori di questa 67° edizione della Berlinale, dove la giuria presieduta da Paul Verhoeven ha assegnato i premi in calce al presente articolo.

Anche quest’anno, come ogni anno, l’offerta è stata più che valida, oltre ad essere incredibilmente ricca e variegata. Per Entr’Acte è stato un onore ed un piacere prendere parte a tale manifestazione! Salutando, dunque, questa ormai passata edizione della Berlinale, vi presentiamo tutti i nomi dei vincitori!

Orso d’oro per il miglior film:
On body and soul di Ildikó Enyedi

Orso d’argento Gran Premio della Giuria:
Félicité di Alain Gomis

Premio Alfred Bauer per l’innovazione:
Agnieszka Holland per Pokot

Orso d’argento per la miglior regia:
Aki Kaurismaki per The other side of hope

Orso d’argento per la migliore attrice:
Kim Min-hee per On the Beach at Night Alone

Orso d’argento per il miglior attore:
Georg Friedrich per Helle Nächte (Bright Nights)

Orso d’argento per la miglior sceneggiatura:
Sebastian Lelio e Gonzalo Maza per Una mujer fantastica

Orso d’argento per il miglior contributo tecnico:
Dana Bunescu per il montaggio di Ana, mon amour

Premio per la migliore opera prima:
Summer 1993 di Carla Simon

Premio per il miglior documentario:
Istiyad Ashbah (Ghost Hunting) di Raed Antoni

Marina Pavido

67° FESTIVALDI BERLINO – ACHT STUNDEN SIND KEIN TAG di Rainer Werner Fassbinder

media-title-acht_-5TITOLO: ACHT STUNDEN SIND KEIN TAG; REGIA: Rainer Werner Fassbinder; genere: serie televisiva, commedia; anno: 1972; paese: Germania Ovest; cast: Hanna Schygulla, Gottfried John, Luise Ullrich; durata: 478′

Presentata in versione restaurata e rimasterizzata alla 67° Berlinale, Acht STunden sind kein Tag è una serie televisiva girata nel 1972 dal grande Rainer Werner Fassbinder.

Cinque episodi per altrettante storie all’interno di una famiglia della media borghesia di Colonia. La nonna, un’amabile e brillante signora (Luise Ullrich), compie sessant’anni. A festeggiarla ci sono tutti: le due figlie, il marito di una di loro ed i nipoti. Jochen (Gottfried John), uno dei ragazzi, dopo aver incontrato per caso, vicino ad un distributore di bibite, la bella Marion (Hanna Schygulla), invita la ragazza alla festa a casa sua. Ed ecco, finalmente, iniziare le presentazioni. Da questo momento in poi – senza eufemismo alcuno – iniziamo noi stessi a far parte della famiglia a tutti gli effetti ed a voler letteralmente bene ad ogni singolo personaggio. Perché fin dai primi fotogrammi, Acht Stunden sind kein Tag ha il pregio di trasmettere quell’allegria, quella gioia di fondo che sarà caratteristica fondante di tutta la serie. Sullo sfondo, inoltre, la lotta operaia, uno dei temi portanti della cinematografia del regista bavarese.

In questo mondo sereno ed un po’ naïf, di fatto, quello che manca – ripensando, appunto, a gran parte della produzione di Fassbinder – è proprio quel pessimismo di fondo, quella sorta di male di vivere che porterà il cineasta di lì a pochi anni a togliersi la vita. Ed è proprio il tono di Acht Stunden sind kein Tag ad aver sollevato a suo tempo – nel 1972 – non poche critiche, soprattutto per quanto riguarda la sottotrama trattante i movimenti operai, considerati, all’epoca, come rappresentati in modo quasi irreale ed un po’ troppo semplicistico. Al punto di spingere Fassbinder stesso a fermarsi al quinto episodio. Eppure, ripensando alle scene più emozionanti di tutta la serie, non possiamo non ricordarne una ambientata proprio all’interno della fabbrica dove lavora Jochen, nel momento in cui gli operai decidono di firmare un foglio in cui chiedono al loro capo di riconoscergli alcuni diritti fondamentali: nessuno stacco di montaggio, un’unica carrellata in plongé che sta a simboleggiare, appunto, il forte legame tra i lavoratori e, infine, i volti sorridenti di tutto il gruppo. Il messaggio che Fassbinder ha voluto comunicarci è arrivato, così, indubbiamente forte e chiaro. Come, d’altronde, è sempre stato in tutte le sue produzioni.

Certo, a pensare che inizialmente ci fosse stata l’idea di girare più di cinque episodi, un po’ di rabbia viene eccome. Se non altro per il fatto che non ci si stancherebbe mai di questa sorta di favola fuori dal mondo. Così come non ci si stancherebbe mai di ascoltare e riascoltare l’allegro motivetto presente nella sigla di apertura e di chiusura di ogni singolo episodio, quando, con la fabbrica sullo sfondo, vediamo un timido sole sorgere lentamente sulla città di Colonia, dove le storie di Jochen, di Marion, di Monika, di Manfred, di Gregor e della mitica Oma, la nonna, stanno per intrattenerci per un’altra ora e mezzo che, come ogni volta, sembrerà durare appena poche decine di minuti.

VOTO: 9/10

Marina Pavido

67° FESTIVAL DI BERLINO – RETURN TO MONTAUK di Voelker Schloendorff

201719812_1-h_2017TITOLO: RETURN TO MONTAUK; REGIA: Völker Schlöndorff; genere: drammatico; anno: 2017; paese: Germania, USA; cast: Stellan Skarsgård, Nina Hoss; durata: 106′

Presentato in concorso alla 67° edizione della Berlinale, Return to Montauk è l’ultimo lungometraggio diretto dall’autore tedesco Völker Schlöndorff.

Ci troviamo a New York, dove l’acclamato scrittore Max Zorn – ormai non più giovanissimo – è appena arrivato con la moglie per presentare il suo ultimo romanzo, che parla di un vecchio amore finito male. Il caso vuole che la sua antica fiamma – un’avvenente avvocato di origini tedesche – lavori e viva proprio a New York. I due, ovviamente, si incontreranno e decideranno di trascorrere un fine settimana insieme a Montauk, località sul mare dove erano soliti passare parecchio tempo insieme. Sarà ancora amore o soltanto nostalgia dei tempi passati?  Comunque vadano le cose, arriveremo ad un punto in cui il destino dei due protagonisti finirà per non interessarci minimamente. Soprattutto perché il grande problema di un lungometraggio come Return to Montauk è un vero e proprio concentrato di banalità e luoghi comuni come non se ne vedevano da anni.

Dopo un iniziale primissimo piano di Stellan Skarsgård che parla del suo libro, della sua infanzia e del rapporto con suo padre (incipit, questo, che inizialmente farebbe anche ben sperare in qualcosa di interessante), ecco che prendono il sopravvento, dunque, una storia ai limiti della banalità – priva anche di un’approfondita e necessaria riflessione introspettiva – una colonna sonora decisamente disturbante (la scena madre in merito è rappresentata dalla scena in cui Max/Skarsgård reincontra il suo amore di gioventù ed un gruppetto di violini inizia a suonare una melodia talmente sdolcinata da chiedersi se si stiano prendendo sul serio o meno) e, dulcis in fundo, delle ambientazioni che hanno quasi del mocciano, giusto per essere cattivi quanto basta. Una chicca di tutto rispetto, a tal proposito, è rappresentata, durante una scena in cui i due amanti passeggiano sulla spiaggia completamente deserta, dalla presenza di un faro in riva al mare. E credo che, a questo punto, non ci sia null’altro da aggiungere in merito.

La cosa che maggiormente lascia basiti è che, di fatto, un autore come Völker Schlöndorff di talento ne ha eccome. E infatti, da un punto di vista prettamente registico, Return to Montauk è un film pressoché perfetto. Peccato, però, che quel disturbante senso di obsolescenza presente nelle ultime opere del cineasta tedesco sia stato qui portato all’estremo in modo irrecuperabile. C’è solo da augurarsi un eventuale (ma improbabile) ritorno alle origini, a questo punto. E, nel frattempo, continueremo a sognare vecchi tamburi di latta.

VOTO: 4/10

Marina Pavido