LA RECENSIONE – L’INTRUSA di Leonardo Di Costanzo

covermd_home (2)TITOLO: L’INTRUSA; REGIA: Leonardo Di Costanzo; genere: drammatico; paese: Italia; anno: 2017; cast: Raffaella Giordano, Valentina Vannino, Martina Abbate; durata: 95′

Nelle sale italiane dal 28 settembre, L’intrusa è il secondo lungometraggio a soggetto diretto da Leonardo Di Costanzo e presentato alla Quinzaine des Réalisateurs durante l’ultima edizione del Festival di Cannes.

Giovanna è la fondatrice del centro “La Masseria” di Napoli, un luogo di ritrovo dove i bambini possono imparare a convivere gli uni con gli altri e possono stimolare la loro creatività, restando, dunque, alla larga dalla malavita locale. Un giorno giunge al centro Maria, giovane moglie di un camorrista ricercato per un efferato omicidio. La donna chiederà a Giovanna di essere ospitata presso il centro insieme ai suoi due bambini. La sua presenza, però, causerà non pochi problemi all’interno del centro stesso.

Dopo il successo di L’intervallo – prima opera di finzione di Di Costanzo, presentata nel 2012 alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti – di certo il nuovo lungometraggio del giovane autore partenopeo è stato uno dei titoli più attesi dalla critica nostrana. E, di fatto, sebbene con meno mordente rispetto al precedente lavoro, L’intrusa si è rivelato un’ulteriore conferma del talento e della straordinaria sensibilità di Di Costanzo nel raccontare una Napoli fortemente segnata dalla malavita, senza scadere in banali luoghi comuni o in qualcosa di già visto.

Perché, di fatto, il cinema di Di Costanzo ci racconta piccole realtà racchiuse quasi in un mondo a sé, non immuni, però, da “contaminazioni” esterne. E le locations, vero marchio di fabbrica della cinematografia del regista, giocano, dunque, un ruolo fondamentale: le storie messe in scena sembrano svolgersi in delle specie di non-luoghi, o meglio, di luoghi isolati dal mondo, dove in pochi sembrano essere ammessi. È stato così con L’intervallo, dove abbiamo visto una ragazzina tenuta in ostaggio da un coetaneo in una vecchia casa abbandonata immersa nel verde, ed è così anche in L’intrusa, dove il centro fondato dalla protagonista sembra quasi una sorta di “isola felice”, dove i bambini possono ancora giocare all’aria aperta e sentirsi liberi.

Particolarmente interessante è il personaggio di Giovanna, protagonista del lungometraggio. Il suo conflitto interiore dovuto alla presenza di Maria viene ben messo in scena dall’occhio attento del regista. Eppure, purtroppo, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il personaggio della stessa Maria, nei confronti del quale il regista sembra troppo distaccato, troppo poco empatico.

Detto questo, il lavoro realizzato è comunque un fiore all’occhiello della cinematografia italiana contemporanea, la quale, in questo 2017, ci ha comunque regalato piacevoli sorprese (basti pensare, ad esempio, a titoli come A Ciambra di Jonas Carpignano, Sicilian Ghost Story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza o anche a L’equilibrio di Vincenzo Marra, giusto per fare alcuni nomi).

Non ci resta che aspettare, a questo punto, un nuovo lavoro di Di Costanzo, per vedere come si evolverà il suo modo di fare cinema. Quasi sicuramente non ne resteremo delusi. E poi, diciamolo pure, quanto è suggestiva la scena finale in cui vediamo i bambini ospiti del centro far fare una sfilata a Mr Johns, un pupazzo da loro costruito assemblando parti di vecchie biciclette?

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – L’INCREDIBILE VITA DI NORMAN di Joseph Cedar

coverlg_homeTITOLO: L’INCREDIBILE VITA DI NORMAN; REGIA: Joseph Cedar; genere: drammatico, commedia; Paese: USA, Israele; anno: 2017; cast: Richard Gere, Lior Ashkenazi, Charlotte Gainsbourg; durata: 118′

Nelle sale italiane dal 28 settembre, L’incredibile vita di Norman – La moderata ascesa e la tragica caduta di un faccendiere newyorchese è il primo lungometraggio in lingua inglese dell’israeliano Joseph Cedar, che qui si è ispirato alla favola archetipica dell’Ebreo cortigiano, la quale ci racconta di un faccendiere ebreo dedito a fare regali o favori a uomini sconosciuti che diventeranno in seguito uomini di potere e con i quali lo stesso faccendiere inizierà a collaborare come uomo di fiducia.

Norman Oppenheimer è un uomo timido, impacciato, apparentemente solo al mondo, che cerca di accattivarsi le amicizie di uomini potenti facendogli innumerevoli favori, presentandogli persone altrettanto importanti e seguendoli passo passo nella loro scalata verso il successo. È stato così, ad esempio, con un giovane politico israeliano, a cui Norman ha regalato un costoso paio di scarpe e che, in seguito, è diventato Primo Ministro. Ma le cose si sono messe davvero bene anche per Norman, in realtà? Parrebbe proprio di no. Come tradizione vuole, non c’è lieto fine per il nostro Ebreo cortigiano.

Peccato. Perché il Norman qui messo in scena è, in realtà, un personaggio che, più che altro, fa tenerezza e con il quale si tende a simpatizzare fin da subito. Non ci viene detto praticamente nulla della sua vita privata, né del suo passato. Gli unici elementi fornitici sono l’esistenza di una figlia e di una moglie defunta. Ma sarà poi vero? O è solo una storia che lo stesso Norman tende a raccontare alle sue nuove conoscenze, al fine di apparire più “umano”? Poco ci importa, alla fine. Ciò che ha reale importanza è soprattutto il fatto che questo buffo personaggio riesce a catalizzare l’attenzione su di sé per circa due ore di fila. Merito, ovviamente, di un buono script, ma anche, dobbiamo riconoscerlo, di Richard Gere, qui in una delle sue interpretazioni più convincenti, il quale si è riuscito pienamente a riscattare dopo il disastroso The dinner (diretto da Oren Moverman, che per L’incredibile vita di Norman, invece, ha partecipato alla produzione), presentato alla 67° Berlinale.

Il vero pezzo forte di questo ultimo lungometraggio di Cedar è, però, proprio la regia: finti split screens, dissolvenze incrociate che ci mostrano le immagini mentre ruotano come in una sorta di coreografia, audaci plongés ed un sapiente uso della musica che tende a sdrammatizzare anche i momenti emotivamente più “difficili da digerire”, rivelano un talento da non sottovalutare e da tenere d’occhio. Non ci resta che attendere, dunque, il prossimo lavoro del giovane Cedar. E chissà se la prossima volta porterà avanti anche la riuscita collaborazione con lo stesso Richard Gere!

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – L’EQUILIBRIO di Vincenzo Marra

LEquilibrio-trailer-coverTITOLO: L’EQUILIBRIO; REGIA: Vincenzo Marra; genere: drammatico; paese: Italia; anno: 2017; cast: Mimmo Borrelli, Roberto del Gaudio, Autilia Ranieri; durata: 90′

Nelle sale italiane dal 21 settembre, L’equilibrio è l’ultimo lungometraggio diretto da Vincenzo Marra e presentato in anteprima alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori.

Ci troviamo a Roma. Don Giuseppe, al fine di scappare da una donna che lavora insieme a lui come volontaria e per la quale prova dei sentimenti, chiede di essere trasferito nel suo paese di origine, in provincia di Napoli. Qui prenderà il posto di don Antonio e si scontrerà inevitabilmente con la dura realtà che affligge la sua terra. Tra la lotta contro la malavita locale ed i problemi di salute degli abitanti dovuti alla copiosa presenza di rifiuti tossici, non sarà facile mantenere l’equilibrio che lo stesso don Antonio era riuscito, in qualche modo, a creare.

Un lungometraggio coraggioso, questo ultimo lavoro di Vincenzo Marra. Il regista non esita a toccare temi scomodi, come, appunto, la questione della Terra dei fuochi, e a mostrarci uno Stato ed una Chiesa vergognosamente assenti ed omertosi. Chiunque voglia rompere l’equilibrio creatosi sembra destinato, dunque, a soccombere. Dal canto suo, il personaggio di don Giuseppe (interpretato da un convincente Mimmo Borrelli) è una figura più che mai umana, non immune ai desideri carnali, che urla, soffre, addirittura bestemmia. Ma che, con tutte le sue “debolezze” di comune mortale, risulta, in realtà, molto più forte e coraggioso di chiunque altro.

La potenza di ciò che è stato messo in scena viene da Marra sapientemente sottolineata da una regia essenziale, diretta, priva di inutili fronzoli, con una macchina da presa che segue passo passo il protagonista con angusti piani sequenza e figure a tratti statiche all’interno del quadro, quasi in una sorta di straniamento brechtiano.

Uno stile molto singolare, quello di Vincenzo Marra. Singolare, ma mai compiaciuto o gratuito. Non a caso, in poco tempo è riuscito a farsi ricordare nell’ambito del panorama cinematografico nazionale ed a creare, allo stesso tempo, un proprio “marchio di fabbrica”. L’efficacia di ciò che viene messo in scena, poi, anche in questo ultimo lungometraggio, si sente eccome.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – GLORY – NON C’E’ POSTO PER GLI ONESTI di Kristina Grozeva e Petar Valchanov

glory-2016-Kristina-Grozeva-Petar-Valchanov-003TITOLO: GLORY – NON C’E’ POSTO PER GLI ONESTI; REGIA: Kristina Grozeva, Petar Valchanov; genere: drammatico; anno: 2017; paese: Bulgaria; cast: Margita Grosheva, Stefan Denolyubov; durata: 101′

Nelle sale italiane dal 21 settembre, Glory – Non c’è posto per gli onesti è l’ultimo lungometraggio diretto dai registi bulgari Kristina Grozeva e Petar Valchanov.

Il tutto ha inizio nel momento in cui il riservato ferroviere Tsanko Petrov ritrova sui binari una sacca contenente un’ingente quantità di denaro. Dopo aver chiamato la polizia, verrà premiato dal Ministro dei Trasporti durante una cerimonia ufficiale, con la consegna di un orologio. Peccato che, però, in quell’occasione, gli verrà sottratto il suo vecchio orologio, Glory, appunto, che un tempo era appartenuto a suo padre, e che, in seguito, verrà smarrito. Colpevole di tale perdita sarà principalmente Julia, implacabile capo PR del Ministero dei Trasporti.

Ed ecco che un semplice, ma non scontato, atto di onestà può cambiare la vita. In peggio, in questo caso. Da questo momento in avanti, infatti, la vita del povero ferroviere, tra prese in giro da parte dei “potenti”, pressioni da parte dei colleghi al fine di chiedere chiarimenti circa la mancata consegna degli stipendi, e minacce di ogni genere, prenderà delle pieghe inaspettate.

Ciò che ne viene fuori è un ritratto cinico e compassato del mondo della politica, dove, appunto, come lo stesso titolo ci suggerisce, non c’è più alcun posto per le persone oneste e dove l’essere umano raramente viene considerato tale. Emblematico, a tal proposito, il momento in cui il marito di Julia, di fronte al comportamento della donna poco sincero nei confronti del ferroviere, le ricorda di non avere a che fare con questioni lavorative, bensì con rapporti umani.

Come da tradizione di tutta la cinematografia dll’Est Europa, tra l’altro, di fianco al già menzionato cinismo, non manca, ovviamente, anche una spesso irriverente comicità unita ad una (non troppo) velata ironia di fondo, che, in questo caso, però, vediamo mediamente più debole rispetto ad altre pellicole del genere. Particolarmente riuscito, tuttavia, è il ritratto dello stesso Ministro dei Trasporti: un uomo piuttosto ipocrita, particolarmente attento alla propria immagine pubblica – e che, per farsi scattare le foto ufficiali di fianco a qualcun altro, è solito salire su di una pedana – ridicolo nei suoi modi di fare, apparentemente affabile, ma che può diventare addirittura sgarbato se gli si fanno domande circa i diritti dei lavoratori.

Dall’altro canto, particolarmente emblematica per quanto riguarda il mondo della politica è lo stesso personaggio di Julia, interpretata dall’ottima Margita Gosheva: ci troviamo di fronte ad una donna arrivista, priva di scrupoli, tutta dedita al lavoro, al punto di trascurare gli affetti, inizialmente quasi impossibilitata ad avere figli e che, solo nel momento in cui apprende che vi sono buone probabilità di diventare mamma, sembra accorgersi dell’importanza degli esseri umani.

Un lungometraggio, dunque, che vuole essere soprattutto una denuncia di ciò che è il sistema governativo al giorno d’oggi, questo Glory – Non c’è posto per gli onesti. Apologia dei valori semplici e dell’onestà, in un mondo in cui l’importanza delle piccole cose sembra ormai dimenticata. Un prodotto sì incisivo, ma a tratti con uno script un po’ traballante e talvolta privo di mordente. Ma che, di certo, non passa inosservato.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

AL VIA LA TERZA EDIZIONE DELL’IVELISE CINEFESTIVAL

Ricevo e volentieri pubblico

copertina FB festival 2017L’IVELISECINEFESTIVAL GIUNGE QUEST’ANNO ALLA SUA TERZA EDIZIONE
IL FESTIVAL DI CORTOMETRAGGI E DOCUMENTARI, PRODOTTO DAL TEATRO IVELISE E DALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE ALLOSTATOPURO SI SVOLGERA’
DAL 30 NOVEMBRE AL 3 DICEMBRE.

L’evento, prodotto dal Teatro Ivelise e dall’Associazione Culturale Allostatopuro, patrocinato da ACSI, Metis Teatro e Teatro Kopò e organizzato in collaborazione con il Caffè Letterario Mangiaparole, si articolerà in tre giornate di proiezioni della programmazione delle opere in concorso, dal 30 novembre al 2 dicembre, mentre domenica 3 dicembre si svolgerà la premiazione delle opere vincitrici con, a seguire, la tavola rotonda di “chiusura festival”, tra concorsisti, addetti stampa, membri della giuria e vincitori del festival.

Grazie al grande successo ottenuto negli scorsi anni, Teatro Ivelise porta avanti, con questa terza edizione dell’IveliseCineFestival 2017, il filo conduttore intrapreso, perseguendo l’ obiettivo principale di creare, attraverso l’ arte, una rete di incontro, dialogo, condivisione, tra cineasti e spettatori. Altro importante obiettivo è quello di offrire visibilità ad artisti emergenti, valorizzandone le opere.

A tal fine, Teatro Ivelise ha consolidato negli anni collaborazioni con importanti realtà del panorama artistico capitolino, e non solo. Una vera e propria connessione sinergica in via di espansione, attraverso la quale verrà garantita una proiezione parallela dell’intera programmazione anche in altre sedi artistiche della capitale ( tra queste, ad oggi, sono confermate: il Nuovo Teatro Kopò, il Caffè Letterario Mangiaparole e Metis Teatro ) e verranno garantite collaborazioni di social media partnership in via di consolidamento.

Anche quest’anno verrà costituita una Giuria di Esperti che si comporrà di nomi illustri del settore cinematografico italiano e internazionale ( ricordiamo alcuni dei membri delle Commissioni passate: il regista Giorgio Capitani, Il regista e attore Stefano Viali, l’attore Vincent Riotta, la regista e sceneggiatrice Marta Gervasutti e il Direttore della Fotografia Massimo Intoppa ).

La Giuria di Esperti decreterà: la Miglior opera fra tutte, la Miglior Regia, la Miglior Sceneggiatura, la Miglior Fotografia, il Miglior Montaggio, il Miglior Attore e la Migliore Attrice protagonisti, il Miglior Attore e la Migliore Attrice Rivelazione.

Ultima novità della scorsa edizione, sono le Nomination. Avremo quattro Nomination, tra le opere in concorso, per ogni singolo premio, che andranno in finale e parteciperanno alla serata di Premiazione con  Tavola Rotonda a seguire. e, come nelle precedenti edizioni, il pubblico dell’ IveliseCineFestival sarà partecipativo, in quanto, costituirà Giuria Popolare, decretando la migliore opera a categoria.

Le categorie previste per questa terza edizione sono: Tematica Sociale, Commedia, Drammatico, Documentario, Horror/Noir, Fantasy e Animazione.

Anche per questa edizione, Teatro Ivelise e Allostatopuro hanno indetto un bando di concorso per partecipare al festival.

Il bando scade il 28 ottobre 2017, la candidatura è gratuita, e si richiederà una quota partecipativa solo alle opere selezionate che andranno in concorso e godranno dei benefici del festival.

Il bando è scaricabile qui di seguito:

https://www.teatroivelise.it/ivelisecinefestival/

Pagine FACEBOOK: https://www.facebook.com/teatroivelise?fref=ts
https://www.facebook.com/allostatopuro

CONTATTI:

Ufficio Stampa: Marina Pavido ivelise.press@gmail.com

Associazione: Direttice Brenda Monticone Martini allostatopuro.associazione@gmail.com

IveliseCinefestival: Coordinatrice Diana Porcù  ivelise.progetto@gmail.com

VENEZIA 74 – PREMI E CONCLUSIONI

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Si è da poco conclusa la 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con la cerimonia di premiazione nella storica Sala Grande, che ha visto il conferimento del Leone d’Oro a Guillermo del Toro, con il suo The Shape of Water.

Tra giubilo e contestazioni, un po’ tristi per la conclusione del festival, ci accingiamo ad assistere alle proiezioni dei film vincitori, le ultime proiezioni di questa edizione della Mostra del Cinema.

Prima di salutarvi e di darvi appuntamento con la Mostra per il prossimo anno, però, ecco, di seguito, tutti i vincitori di questa – a suo modo – indimenticabile 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia! Buon Cinema a tutti!

Marina Pavido

PREMI VENEZIA 74

CONCORSO

LEONE D’ORO The Shape of Water – Guillermo Del Toro

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA Foxtrot – Samuel Maoz

LEONE D’ARGENTO – MIGLIOR REGIA Jusqu’à la garde – Xavier Legrand

COPPA VOLPI MIGLIOR ATTRICE Charlotte Rampling (Hannah)

COPPA VOLPI MIGLIOR ATTORE Adel Karam (The insult)

PREMIO MIGLIOR SCENEGGIATURA Three Billboards Outside Ebbing, Missouri – Martin McDonagh

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA Sweet country – Warwick Thornton

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI MIGLIOR ATTRICE EMERGENTE Charlie Plummer (Lean on Pete)

PREMIO LEONE DEL FUTURO Jusqu’à la garde – Xavier Legrand

PREMI ORIZZONTI

PREMIO MIGLIOR FILM Nico, 1988 – Susanna Nicchiarelli

PREMIO ORIZZONTI MIGLIOR REGIA No date, no signature – Vahid Jalilvand

PREMIO SPECIALE GIURIA Caniba – Verena Paravel, Lucien Costaig-Taylor

PREMIO MIGLIOR ATTRICE Lyma Khaudri (Les bienheureux)

PREMIO MIGLIOR ATTORE Navid Mohammadzadeh (No date, no signature)

PREMIO MIGLIOR SCENEGGIATURA Los versos del olvido – Alireza Khatani

PREMIO MIGLIOR CORTOMETRAGGIO Gros chagrin – Céline Devaux

PREMI VENEZIA CLASSICI

PREMIO MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA The Prince and the Dybbuk – Elwira Newiera, Piotr Rosolowski

PREMIO MIGLIOR RESTAURO Va’ e vedi – Elem Klimov

VENICE VIRTUAL REALITY

PREMIO MIGLIOR STORIA Blodless – Gina Kim

PREMIO BEST EXPERIENCE La camera insabbiata – Laurie Anderson

PREMIO VIRTUAL REALITY Arden’s Wake – Eugene YK Chung

 

 

VENEZIA 74 – CONSIDERAZIONI E PRONOSTICI

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Ci siamo. Anche quest’anno siamo giunti alla conclusione della tanto attesa Mostra del Cinema di Venezia. Festival, questo, che, in linea di massima, è stato in grado di soddisfare le aspettative di pubblico e critica, data la qualità mediamente alta dei film presentati.

Tra il Concorso, il Fuori Concorso e le sezioni Orizzonti, Settimana della Critica e Giornate degli Autori, ce n’è stato davvero per tutti i gusti.

Ovviamente, come ogni buon festival che si rispetti, non sono mancati lungometraggi contestatissimi, che hanno diviso e fatto parlare di sé più di qualunque altro film. Quest’anno, ad esempio, è stata la volta di mother!, ultima fatica di Darren Aronofsky, in corsa per il Leone d’Oro.

Restando nell’ambito del concorso, particolarmente degni di not sono EX LIBRIS di Frederick Wiseman, The Third Murder di Kore’Eda Hirokazu, ma anche la sorpresa Three Billboards outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, La villa, del marsigliese Robert Guediguian e Angels wear white, della regista cinese Vivian Qu.

Fatta eccezione per il divertente Ammore e Malavita, dei Manetti Bros., nulla di particolarmente entusiasmante, per quanto riguarda i film italiani presenti in concorso, i quali possono sperare, però, in qualche Coppa Volpi.

Ormai, però, ci siamo. I giochi sono chiusi. Alle ore 19 prenderà il via, in Sala Grande, la cerimonia di premiazione. Nell’attesa di conoscere il verdetto della Giuria presieduta da Annette Bening, un po’ per gioco, un po’ per consuetudine, proviamo, di seguito, a fare qualche pronostico.

 

Leone d’OroEX LIBRIS (Frederick Wiseman), Three Billboards Outside Ebbing, Missouri (Martin McDonagh), Mektoub, My Love: Canto Uno (Abdellatif Kechiche)

Leone d’Argento alla Miglior RegiaThe Third Murder (Kore’Eda Hirokazu)

Miglior sceneggiaturaThree Billboards Outside Ebbing, Missouri (Martin McDonagh), Angels wear white (Vivian Qu)

Coppa Volpi alla miglior interpretazione maschile – Donald Southerland (The Leisure Seeker), Sam Rockwell (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri)

Coppa Volpi alla miglior interpretazione femminile – Frances McDormand (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), Charlotte Rampling (Hannah), Helen Mirren (The Leisure Seeker)

Premio Marcello Mastroianni Miglior Attore Emergente – Charlie Plummer (Lean on Pete)

 

A più tardi con tutti i premi della 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia! Buon Cinema a tutti!

Marina Pavido

VENEZIA 74 – L’ENIGMA DI JEAN ROUCH A TORINO di Marco di Castri, Paolo Favaro e Daniele Pianciola

L_Enigma_di_Jean_Rouch_a_Torino_18-1-655x430TITOLO: L’ENIGMA DI JEAN ROUCH A TORINO – CRONACA DI UN FILM RATÉ; REGIA: Marco di Castri, Paolo Favaro, Daniele Pianciola; genere: documentario; paese: Italia; anno: 2017; durata: 90′

Presentato in anteprima alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Venezia Classici documentari, L’enigma di Jean Rouch a Torino – Cronaca di un film raté è un interessante documentario dei registi Marco di Castri, Paolo Favaro e Daniele Pianciola, i quali hanno collaborato con il maestro Jean Rouch tra il 1984 e il 1986, durante la realizzazione del film Enigma.

Maestro del cinema d’Oltralpe, stimato documentarista, modello per i cineasti della Nouvelle Vague e, in particolare, per Jean-Luc Godard, verso la metà degli anni Ottanta Jean Rouch decise di allontanarsi temporaneamente dall’Africa – dove aveva già girato un gran numero di documentari – per girare un film che avesse come protagonista la città di Torino. Un film “demente e dionisiaco”, a detta dello stesso Rouch. Al suo fianco, tre giovani aspiranti registi, oltre ad una nutrita squadra di collaboratori. Ed ecco iniziare un’avventura singolare e bizzarra, dove la grammatica cinematografica veniva riscritta ogni giorno, senza avere paura di osare, e dove, finalmente, tutte le arti sembravano entrare in contatto tra loro per poi trovare una nuova, fluida armonia.

Particolarmente d’effetto, dunque, i momenti in cui vediamo il maestro Jean Rouch diventare un tutt’uno con la macchina da presa, prenderla in mano, danzare quasi con essa, sperimentare nuovi movimenti. Così come ci sentiamo parte del gruppo nel momento in cui lo vediamo scherzare con il resto della troupe nei momenti di pausa.

Di Castri, Favaro e Pianciola, dal canto loro, fatta eccezione per qualche breve frammento di intervista qua e là e per una voce fuori campo che non vuol togliere spazio alle immagini, hanno deciso di sfruttare al massimo il gran numero di filmati di repertorio arrivati fino ad oggi, rispettosi e riverenti nei confronti del loro maestro, oltre che perdutamente innamorati del suo modo di fare cinema.

Non molto ci viene detto della carriera di Rouch al di fuori del periodo di lavorazione del film, così come, in chiusura, non viene fatta menzione alcuna circa gli anni successivi ad Enigma o la morte stessa del regista: ciò che davvero conta è vivere il set, vivere il cinema di Rouch allo stato puro. È anche per questo che l’ultima immagine di lui che qui ci viene mostrata risale, appunto, alla fine della lavorazione, quando si poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Soluzione più che appropriata, dunque, quella adottata dai tre documentaristi, i quali, al di là delle loro notevoli capacità, preferiscono fare qui quasi un passo indietro, ad omaggiare e, in qualche modo, ringraziare, colui che è stato maestro non solo per loro, ma per intere generazioni di cineasti. Per questo un documentario come L’Enigma di Jean Rouch a Torino è un lavoro prezioso da vedere e custodire dentro di sé a lungo. Un vero e proprio gioiellino all’interno di un contesto ricco e variegato come quello della Mostra del Cinema di Venezia.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

VENEZIA 74 – PIAZZA VITTORIO di Abel Ferrara

PIAZZA_VITTORIO_PIC002TITOLO: PIAZZA VITTORIO; REGIA: Abel Ferrara; genere: documentario; paese: Italia; anno: 2017; durata: 82′

Presentato fuori concorso alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Piazza Vittorio è l’ultimo documentario del celebre cineasta statunitense, ma di origini italiane, Abel Ferrara.

Sulla scia degli attuali dibattiti circa l’immigrazione e la difficoltà a far sì che i nuovi arrivati possano integrarsi nel nostro paese, Ferrara – con la sua piccola troupe e nell’arco di soli pochi giorni – ha realizzato una serie di interviste a clandestini, immigrati, artisti, clochards, politici e storici abitanti del posto, in modo da darci un ritratto completo e fedele di ciò che è oggi piazza Vittorio. Tra i vari interventi ricordiamo, in particolar modo, quello di Matteo Garrone e di Willem Dafoe, i quali, proprio per il fascino della piazza dato dalla sua multietnicità, hanno deciso di trasferircisi.

Il risultato finale è, come ben si può immaginare, un ritratto variegato e pieno di vita, dove l’amore per una città come Roma, in generale, è palpabile fin dai primi minuti. Particolarmente suggestive, a tal proposito, immagini di artisti di strada, di balli, di canti, di persone intente a fare la spesa nello storico mercato coperto, di mamme con neonati, di anziani seduti al parco e di bambini intenti a giocare a pallone. Si potrebbe quasi affermare che basterebbero soltanto tali immagini a fornirci un quadro esaustivo del tutto. Dal canto suo, anche lo stesso Ferrara vuole entrare a far parte del gioco, non esitando ad entrare in campo egli stesso, mentre interagisce con gli intervistati. Ed ecco che il metacinema anche stavolta svolge un ruolo quasi centrale nel dare al tutto quel tocco in più che non guasta mai.

Il problema di un documentario come Piazza Vittorio è, in realtà, proprio il fatto di concentrarsi esclusivamente sulla questione dell’immigrazione, quando, invece, sarebbe stato interessante dar vita ad un lavoro più complesso, che ci permettesse di conoscere anche la storia della piazza stessa e di come sia cambiata la vita nel corso dei decenni, all’interno di essa. A poco, di fatto, servono i brevi filmati di repertorio inseriti. Ciò che però maggiormente disturba è una battuta – risultante fastidiosamente ipocrita e buonista – dello stesso Abel Ferrara, rivolta ad uno dei clandestini al termine di un’intervista: “Anch’io qui in Italia sono un immigrato, sto cercando di vivere con la mia arte”.

Che peccato, quando accadono certe cose. Fino a prova contraria, di fatto, Abel Ferrara il suo lavoro sa farlo eccome. E senza questa cadute di stile avrebbe potuto realizzare indubbiamente qualcosa di davvero, davvero importante. Che dire? Sarà per la prossima volta!

VOTO: 6/10

Marina Pavido

VENEZIA 74 – IL SIGNOR ROTPETER di Antonietta De Lillo

coverlg (1)TITOLO: IL SIGNOR ROTPETER; REGIA: Antonietta De Lillo; genere: drammatico; paese: Italia; anno: 2017; cast: Marina Confalone; durata: 37′

Presentato fuori concorso alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Il signor Rotpeter è l’ultimo lavoro della regista partenopea Antonietta De Lillo, tratto da un testo di Franz Kafka, interpretato da Marina Confalone e facente parte del film partecipato L’uomo e la bestia.

Una poltrona vuota davanti alla macchina da presa. Un grande giardino con una sedia di vimini. Una casa apparentemente disabitata. Eppure, qualcuno c’è. Percepiamo la sua presenza nel momento in cui lo sentiamo russare in camera da letto, per poi vederlo in primo piano, seduto in poltrona, mentre, intervistato da una voce fuori campo, si accinge a raccontarci la propria storia: quella di uno scimpanzé divenuto uomo.

Il testo di Kafka ed il carisma della Confalone riescono indubbiamente a coinvolgerci fin dai primi momenti. E la storia del signor Rotpeter stessa è, per quanto singolare, una storia universale: la storia di chi, snaturato da sé, sente il bisogno di combattere al fine di sopravvivere. Istinto di sopravvivenza, il suo, che presto lo porterà a preoccuparsi non solo per sé stesso, ma anche per gli altri.

Le scenografie, le locations – quasi tutte in interni, tra la casa del protagonista ed un’aula universitaria, fatta eccezione per brevi momenti in cui vediamo Rotpeter/Confalone passeggiare sul lungomare di Napoli – ed una regia fatta perlopiù di camera fissa, rendono il tutto eccessivamente – e volutamente – essenziale: in linea con l’universalità della storia, non c’è probabilmente il reale bisogno di inutili orpelli per arrivare allo spettatore. Idea condivisibile, quello sì. Però, a questo punto, più che parlare di cinema verrebbe quasi di considerare il lavoro come teatro filmato. La stessa macchina da presa, non allontanandosi mai dalla protagonista, ci mostra quest’ultima come se ci trovassimo in platea davanti ad un palcoscenico. Stesso discorso vale per le musiche, totalmente assenti. L’impressione che si ha è che la regista stessa voglia restare quasi del tutto invisibile, lasciando il campo esclusivamente all’interprete, oltre che al testo.

Soluzione interessante, quello sì. Però, quando viene adottato un tipo di messa in scena del genere, il rischio è sempre quello di far sì che il prodotto finale risulti, in qualche modo, quasi “snaturato” dalla sua natura cinematografica. E che, almeno nell’ambito della settima arte, perda molte, molte potenzialità.

Ciò che ci resta dopo la visione de Il signor Rotpeter è, di fatto, oltre al sopracitato e sempreverde testo kafkiano, la grande interpretazione di Marina Confalone. A lei il merito di catalizzare l’attenzione del pubblico per oltre mezz’ora, senza pause, senza interruzioni alcune. Ma, alla fine dei conti, il cinema dov’è?

VOTO: 6/10

Marina Pavido