LA RECENSIONE – LA GUERRA DEL MAIALE di David Maria Putortì

la guerra del maialeTITOLO: LA GUERRA DEL MAIALE; REGIA: David Maria Putortì; genere: drammatico, grottesco; paese: Italia, Argentina; anno: 2012; cast: Victor Laplace, Arturo Goetz, Vera Carnevale; durata: 99′

Nelle sale italiane dal 28 giugno, La Guerra del Maiale è il primo lungometraggio di David Maria Putortì, tratto dal romanzo Diario de la Guerra del Cerdo di Adolfo Bioy Casares.

Isidoro è ufficialmente entrato nella terza età. Non lavora e vive a casa di suo figlio, che è avvocato e continua a trattarlo in malo modo. Ogni giorno è solito incontrarsi con i suoi amici per giocare a carte. Le giornate sembrano scorrere tranquille fino a quando, tramite un canale online, ci si inizierà a scagliare contro gli anziani, visti sempre più come un peso per la società. Le cose degenereranno al punto da scatenare una vera e propria guerriglia urbana.

Una situazione paradossale che ha anche del grottesco e si scaglia contro un sistema all’interno del quale l’essere umano non sembra più essere considerato tale e dove i giovani, a causa del mancato ricambio generazionale sui posti di lavoro, fanno sempre più fatica a trovare degli impieghi.

Fatta eccezione per qualche incongruenza dal punto di vista della sceneggiatura, La Guerra del Maiale si contraddistingue principalmente per la messa in scena surreal-grottesca (non dimentichiamo che Putortì è stato per anni aiuto regia del grande Marco Ferreri). Una scelta indubbiamente coraggiosa, questa. Coraggiosa, ma anche incredibilmente difficile da gestire. Ed ecco che i primi piani esageratamente marcati, così come la recitazione a tratti straniante di alcuni personaggi in particolare, non sempre convincono. Peccato. Soprattutto perché con questa sua opera prima – coproduzione italo-argentina – Putortì ha dimostrato di non aver paura di osare e di volersi, in qualche modo, “liberare” dai canoni all’interno dei quali troppo spesso viene racchiuso il cinema italiano contemporaneo.

Ben venga, dunque, quando ci sono registi che hanno voglia di sperimentare e di sperimentarsi. Stiamo a vedere quale strada prenderà la cinematografia di questo nuovo nome del cinema nostrano.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – PEGGIO PER ME di Riccardo Camilli

peggio per meTITOLO: PEGGIO PER ME; REGIA: Riccardo Camilli; genere: commedia; paese: Italia; anno: 2018; cast: Riccardo Camilli, Claudio Camilli, Tania Angelosanto; durata: 108′

Nelle sale italiane dal 12 luglio grazie a Distribuzione Indipendente, Peggio per me è l’ottavo lungometraggio del regista e montatore Riccardo Camilli.

Ci troviamo a Roma, nel 1986. Francesco e Carlo hanno dodici anni e sono amici per la pelle. Invece di studiare, il giorno sono soliti remixare con un mangianastri televendite televisive e film per adulti. Le loro giornate trascorrono così, fino al momento in cui la madre di Carlo li interromperà e li separerà bruscamente. Trascorrono trent’anni e Francesco è padre di una ragazzina di dodici, si è appena separato dalla moglie e ha perso il lavoro. L’unica soluzione che ritiene possibile è suicidarsi. Nel momento in cui sta per buttarsi da un ponte, però, sentirà, tramite una delle vecchie cassette nello stereo della sua macchina, la sua voce da bambino che si rivolge a lui, impedendogli di saltare.

Lo spunto da cui prende il via tutta la vicenda è indubbiamente interessante. La storia nel complesso funziona e il risultato finale è una commedia brillante con un retrogusto amaro che fa riflettere ma che riesce a intrattenere il pubblico per quasi due ore di visione. Visione gradevole, dove, tuttavia, non mancano piccole imperfezioni, come l’attribuzione degli eventi soprannaturali alla figura di uno zio stregone (trovata eccessivamente debole e quasi improvvisata) o alcune soluzioni in chiusura che, malgrado le buone intenzioni, non riescono ad arrivare allo spettatore con la potenza inizialmente auspicata.

Funzionano molto bene sullo schermo, invece, i due fratelli Riccardo (anche regista) e Claudio Camilli, nel ruolo dei due protagonisti da adulti. La loro è una collaborazione che va avanti da anni, dalla quale sono nati ben otto lungometraggi, tutti realizzati con un budget molto basso (si pensi che Peggio per me è stato girato con soli 6000 euro), tutti che, in un modo o nell’altro, sono riusciti a vedere la luce. Un buon esempio, questo, per il cinema indipendente italiano, all’interno del quale si trovano sempre più nomi e titoli da tenere d’occhio assolutamente.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – TITO E GLI ALIENI di Paola Randi

titoTITOLO: TITO E GLI ALIENI; REGIA: Paola Randi; genere: commedia, fantascienza; paese: Italia; anno: 2017; cast: Valerio Mastandrea, Luca Esposito, Chiara Stella Riccio; durata: 92′

Nelle sale italiane dal 7 giugno, Tito e gli Alieni è il secondo lungometraggio della regista Paola Randi, presentato in concorso al 35° Torino Film Festival.

Il Professore (interpretato da Valerio Mastandrea), rimasto prematuramente vedovo, vive isolato nel deserto del Nevada presso l’Area 51. Il suo compito è quello di lavorare a un progetto segreto per il governo degli Stati Uniti, anche se passa intere giornate a contemplare lo spazio, cercando invano un modo per comunicare con sua moglie. Un giorno, tuttavia, la sua vita cambierà, dal momento che andranno a vivere con lui i due nipotini, Anita, di 16 anni, e Tito, di 7, figli di suo fratello rimasti recentemente orfani.

Un’interessante operazione, quella messa in scena da Paola Randi. Nato dall’esigenza di raccontare in modo del tutto soggettivo il tema dell’elaborazione del lutto, il suo Tito e gli Alieni si è ben presto rivelato un vero e proprio gioiellino all’interno del panorama cinematografico nostrano, diverso da qualsiasi altro prodotto contemporaneo e sincero e sentito nella messa in scena.

Una piccola opera di fantascienza dagli echi spielberghiani (impossibile non pensare, in alcuni momenti e, nello specifico, man mano che ci si avvicina al finale, al bellissimo Incontri ravvicinati del Terzo Tipo), con suggestiva ambientazioni costruite con un modesto budget ma ben realizzate e con il concetto di famiglia come tema centrale e personaggi che entrano fin da subito nel cuore di ogni spettatore, Tito e gli Alieni ha tra i suoi punti di forza proprio le figure dei due ragazzini (interpretati dai giovanissimi Luca Esposito e Chiara Stella Riccio) e in particolare il personaggio di Tito. Due nomi da tenere d’occhio per i prossimi anni e che, siamo certi, ci regaleranno tante belle sorprese.

In poche parole, questa opera seconda della Randi – realizzata addirittura otto anni dopo il primo lungometraggio, Into Paradiso – è una piccola, graziosa sorpresa presente in palinsesto. Un lavoro che per la sua delicatezza e per la sua originalità riuscirà a conquistare grandi e piccini.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE: RABBIA FURIOSA – ER CANARO di Sergio Stivaletti

rabbiafuriosaTITOLO: RABBIA FURIOSA – ER CANARO; REGIA: Sergio Stivaletti; genere: thriller; paese: Italia; anno: 2018; cast: Riccardo de Filippis, Romina Mondello, Virgilio Olivari; durata: 116′

Roma, quartiere Portuense, 18 febbraio 1988. Il toelettatore Pietro De Negri, detto “Er Canaro della Magliana”, uccide, dopo ore e ore di torture, il pugile Giancarlo Ricci. I due, amici e complici da anni, avevano architettato tempo prima una rapina, di cui era stato accusato solamente De Negri, e il forte rancore covato da quest’ultimo nei confronti di Ricci, lo porterà a compiere uno dei delitti più efferati d’Italia. Un delitto, ancora oggi, tristemente impresso nella memoria collettiva.

Ed ecco che, a trent’anni di distanza, sono ben due le pellicole cinematografiche a ispirarsi a tale fatto di cronaca. Se, infatti, da un lato, Matteo Garrone ha presentato in concorso alla 71° edizione del Festival di Cannes il suo Dogman (che ha visto la vittoria dell’esordiente Marcello Fonte, premiato con la Palma d’Oro alla Miglior Interpretazione Maschile), appena poche settimane dopo – e precisamente dal 7 giugno 2018 – vediamo in palinsesto un ulteriore prodotto che verte sul tema, realizzato questa volta dal maestro degli effetti speciali Sergio Stivaletti. Stiamo parlando di Rabbia Furiosa – Er Canaro, il quale differisce parecchio nella forma dal lavoro di Garrone, dimostrandosi, pertanto, una delle numerose, possibili declinazioni della Settima Arte nel momento in cui si vuol mettere in scena un determinato argomento.

Interessante sorpresa, dunque, questa presentataci da Stivaletti, il quale, forte della sua maestria nel campo degli effetti speciali e, non per ultima, della sua propensione verso lo splatter, ci ha regalato una rilettura del delitto del Canaro del tutto soggettiva, ma mai scontata. Se, infatti, i suoi precedenti lavori si sono contraddistinti (anche) per la violenza e i relativi spargimenti di sangue, questo suo Rabbia Furiosa prevede sì momenti del genere, ma è anche vero che relega questi agli ultimi minuti del lungometraggio stesso, prediligendo per quasi l’intera durata toni da thriller classico. Il risultato finale è un giustamente auspicato crescendo di tensione, smorzato, tuttavia, dal fatto di aver tirato un po’ troppo per le lunghe tutti i momenti che precedono il tanto atteso climax. Poco male, però. Ciò che alla fine arriva allo spettatore è l’interessante ricostruzione – senza edulcorazione alcuna – non soltanto di un fatto di cronaca, ma anche – e soprattutto – di uno spaccato di società odierno. A tal proposito, particolarmente interessante l’ambientazione scelta dal regista: con il quartiere del Mandrione sullo sfondo – che tanto sta a ricordare le location di alcuni film di Pier Paolo Pasolini, a cui viene anche fatto riferimento – vediamo una rilettura dei fatti in chiave contemporanea. Scelta, questa, dovuta anche a motivi di budget, ma che è stata ben gestita fin dall’inizio, rivelandosi infine del tutto azzeccata.

Se c’è, tuttavia, un qualcosa che nel presente lavoro di Stivaletti risulta particolarmente degno di nota, è il montaggio alternato che vede scene di violenza da parte del Pugile unite a momenti di tranquilla vita lavorativa del Canaro: gesti simili con uso di strumenti diversi ben si sposano con le note dell’aria Largo al Factotum de Il Barbiere di Siviglia come commento musicale. Ed è, dunque, (anche) con un copioso utilizzo del montaggio alternato, unito a dissolvenze incrociate che ci mostrano interessanti similitudini tra il Canaro e i suoi amici a quattro zampe (unici esseri viventi a cui il protagonista si sente realmente affine) che Sergio Stivaletti si è divertito a lasciare la propria firma.

Un lavoro di tutto rispetto, dunque, questo Rabbia Furiosa, il quale, tuttavia, poco convince nel momento in cui vengono realizzate poco appropriate scene oniriche che ci mostrano il protagonista e la sua cagnolina Bea mentre giocano spensierati sui prati. Scelte, queste, sempre rischiose, che spesso e volentieri finiscono per dare al tutto un che di stucchevole che – come in questo caso – mal si amalgama a un lavoro complessivamente dignitoso.

Ultima considerazione: se in Dogman Marcello Fonte si è rivelato una vera e propria sorpresa, nel presente Rabbia Furiosa, Riccardo de Filippis (nel ruolo del Canaro) altro non ha fatto che confermare ancora una volta il proprio talento. Un’altra delle (non poche) chicche di questa ultima fatica di Stivaletti.

VOTO: 7/10

Marina Pavido