NEWS IN SALA: WOLF CREEK 2 di Greg Mclean in sala dal 10 giugno

Ricevo e volentieri pubblico

WOLF CREEK 2 – La preda sei tu: DA MERCOLEDÌ 10 GIUGNO NEI CINEMA

 

CAMiMOVIE presenta WOLF CREEK 2 – La preda sei tu, una distribuzione MEDUSA

DOPO LO STRAORDINARIO SUCCESSO DI PUBBLICO E CRITICA DI WOLF CREEK, RITORNA MICK TAYLOR, IL FOLLE SERIAL KILLER CHE HA TERRORIZZATO L’AUSTRALIA E IL MONDO INTERO. ANCORA UNA VOLTA, SARÀ L’INCUBO DI AUTOSTOPPISTI E TURISTI CON SACCO A PELO CHE SI ADDENTRANO NELLE SPLENDIDE E REMOTE AREE INTERNE DEL CONTINENTE AUSTRALIANO.

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Wolf Creek 2 – La preda sei tu (regia di Greg Mclean con John Jarratt, Ryan Corr, Shannon Ashlyn, Philippe Klaus, scritto da Greg Mclean e Aaron Sterns e prodotto da Helen Leake, Greg Mclean e Steve Topic), è il tanto atteso sequel del primo incubo nell’outback, il film australiano vietato ai minori che ha ottenuto il più grande successo di botteghino di tutti i tempi. Da mercoledì 10 Giugno, CAMiMOVIE, in partnership con Medusa, lo distribuisce nelle sale italiane.

{IL PRECEDENTE DEL 2005: TUTTO COMINCIÒ CON WOLF CREEK

Nel gennaio del 2005, al Sundance Film Festival di Robert Redford, viene presentato l’horror australiano di Greg Mclean Wolf Creek. La pellicola, che si lascia apprezzare subito anche dai non appassionati del genere, viene poi proiettata nella sezione Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes e, nel novembre dello stesso anno, riesce ad arrivare anche nelle nostre sale accolta come un grande successo di pubblico e critica.

Greg Mclean, infatti, è un giovane e talentuoso esordiente che è riuscito a girare il film in soli 25 giorni, facendo conoscere a tutto il mondo la storia del ferocissimo serial killer Mick Taylor – interpretato da un bravissimo John Jarratt e conosciuto dal pubblico del grande schermo per il suo ruolo da protagonista nel celebre film del 1975 di Peter Weir Picnic a Hanging Rock. Il film, realizzato con scarsissime risorse, è un low budget senza alcun nome di richiamo nel cast, con un panorama mozzafiato – il cratere meteoritico ed il mitico outback, infatti, sono esaltati da una fotografia ed una regia che si attestano a metà fra visionarietà e realismo – e con una trama, sicuramente già vista, ma con una caratterizzazione dei personaggi assolutamente innovativa per il genere.

Partendo da agghiaccianti dati reali – ogni anno, infatti, in Australia scompaiono nel nulla 30.000 persone, delle quali il 90% viene ritrovato nel giro di un mese mentre alcuni ricompaiono entro un anno e del resto non se ne sa più nulla – Mclean realizza una storia ispirata alla serie di omicidi chiamata “The Backpacker Murders” (ossia gli omicidi di coloro che hanno lo zaino sulle spalle e dormono nel sacco a pelo) compiuta da Ivan Milat, condannato nella prima metà degli anni Novanta per l’omicidio di sette autostoppisti. Da queste basi nasce il film del giovane australiano, edificato secondo i principi estetici del Dogma 95 – il gruppo di registi danesi guidato da Lars Von Trier, la cui cifra stilistica risponde a criteri di essenzialità e di un realismo al limite del documentaristico, al fine di realizzare una messa in scena quanto più scarna e minimalista. Tenendo conto della lezione danese, quindi, l’autore concepisce un impianto visivo che si snoda intono ad una feroce ed intollerabile crudeltà. Il ritmo è scandito da un funzionale gioco di continui colpi di scena che conducono ad una visione quasi frustrante dello spettatore, totalmente incapace di prevedere le mosse del regista. Ma il vero elemento di forza del film risiede nel fatto che questo non ha nulla a che vedere con i torture porn o i classici splatter. In Wolf Creek, infatti, la violenza c’è ed è assolutamente devastante ma non è mai eccessivamente ostentata. La brutalità dell’opera, infatti, viene accentuata più che dalle scene di tortura – appena accennate – dall’imprevedibilità con cui i personaggi scompaiono nel nulla, spiazzando totalmente lo spettatore.

E, se la solida sceneggiatura su cui può appoggiarsi il film punta ad una dettagliata costruzione di ciascun personaggio, il ritratto che ci viene concesso dell’assassino è assolutamente encomiabile. Mick Taylor è un degno erede di colossi della storia del cinema come M il mostro di Düsseldorf, Frankenstein, Dracula o i più recenti serial killer di Elm Street e di Halloween. Folle, xenofobo e motivato da un patriottismo al limite del grottesco, il furioso autore dei Backpacker Murders è un attento e minuzioso conoscitore della storia australiana da cui è letteralmente ossessionato. Una psicosi, questa, che lo porta ad odiare ogni viaggiatore perché visto come una sorta di “nemico” deputato al deturpamento paesaggistico della sua terra.

Wolf Creek è l’unico film che il critico Roger Ebert non è riuscito a finire di vedere, giudicando la sua violenza “insopportabile”.}

 

E OTTO ANNI DOPO… ARRIVA IL SEQUEL, WOLF CREEK 2!

Arriviamo al 2013 e, nel frattempo, di Mclean sappiamo ben poco. Ha girato un altro horror dal titolo Rogue, ma tutti attendono un sequel di Wolf Creek. L’autore, che certo non si aspettava di raggiungere il risultato ottenuto (il più alto incasso in Australia per un film vietato ai minori di 18 anni), sembra non comprendere la potenza del suo esordio. Mick Taylor, infatti, pare già essere entrato ufficialmente nell’immaginario horror del panorama cinematografico internazionale.

E se è cosa nota che per un regista l’opera seconda è sempre la più complessa, nel caso del giovane australiano, forse, la terza lo è a maggior ragione. Con queste premesse non è certo semplice approcciarsi ad un seguito di Wolf Creek, il rischio è quello di ripetere gli stessi codici e strutture narrative del precedente senza quella spinta innovativa che lo aveva precedentemente caratterizzato. Così, Mclean si è avvalso del supporto di Aaron Sterns per la stesura della sceneggiatura ed entrambi si sono ben guardati dal ripetere meccanicamente la stessa formula – seppure risultata vincente – del primo film.

Gli elementi di base, però, rimangono gli stessi. Al centro dell’opera c’è ancora l’ancestrale rapporto che lega Mclean al suo Paese e che finisce per sfociare in un dissennato nazionalismo, così come la carica visionaria del paesaggio che, come nella miglior tradizione antononiana, diventa un vero e proprio protagonista. Ritroviamo anche gli ignari ed innocenti turisti che, animati dalla visione di immagini mozzafiato e da un audace spirito di viaggio, si addentrano nei meandri dell’outback australiano in cui si trasformeranno ben presto in vittime della furia omicida del killer – in particolare l’inglese Paul Hammersmith (interpretato da Ryan Corr) preda prediletta dell’assassino perché diretto discendente di quei “bastardi inglesi” che, nel 1786, iniziarono la colonizzazione dell’allora “Nuova Olanda” divenuta, poi, Australia.

A cambiare radicalmente è l’impianto estetico e narrativo. Infatti, se nel primo Wolf Creek l’autore si attesta su una regia più seria e rigorosa, in Wolf Creek 2 abbandona gli insegnamenti danesi per virare verso una messa in scena dagli echi tarantiniani. Momenti colmi di ironia, in cui l’elemento paradossale viene enfatizzato da un preponderante utilizzo ludico della musica, si alternano ad un citazionismo tipicamente cinefilo che ripercorre le immagini cinematografiche di classici come Le Iene, passando per Duel, fino a Babe – Maialino coraggioso e alla serie tv Skippy.

Un’opera, quindi, che pur mantenendo una personalissima cifra stilistica, può essere facilmente accostata ai film dei vari Rob Zombie o Marcus Nispel (regista del remake di Non aprite quella porta).

Wolf Creek 2 – presentato fuori concorso alla 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – si apre con l’assassino che, dopo avere “sistemato” due poliziotti che avevano osato trattarlo come una sorta di “rozzo bifolco”, incontra due giovani sventurati turisti tedeschi, Rutger (Philippe Klaus) e Katarina (Shannon Ashlyn).

La loro fine sarà molto rapida ma non indolore, dato che l’atteggiamento di irriverenza nei confronti della vita umana dell’omicida si è innalzato ad un nuovo livello di sadismo. Ma sarà Paul (Ryan Corr), turista inglese, che avrà a che fare maggiormente con lo psicopatico, colui che conoscerà fino in fondo il volto nero del clone spietato di Mr Crocodile Dundee. Il mostruoso protagonista australiano si divertirà a condurre un gioco impari del gatto con il topo con il giovane inglese, il cui massacro sembra essere inevitabile. Un faccia a faccia memorabile – anche grazie alle performance di Jarratt e Corr – in cui il maniaco mette in scena un sadico “quiz show” sulla storia e la cultura australiana. Ad ogni risposta sbagliata “dell’invasore inglese” il prezzo da pagare sarà altissimo. Una beffa da cui, forse, ci si potrà salvare solo ricordandosi il nome dell’esploratore inglese James Cook. Una sorta di game show caratterizzato da un forte umorismo nero in cui Taylor, pur di confermare l’esattezza delle sue folli teorie nazional-popolari, è pronto a tutto dimostrando, così, come il mondo sia diviso in due categorie: quella dei winner (vincenti) a cui lui appartiene, e quella dei looser (perdenti) di cui invece fa parte l’inglese.

Una montatura sofisticata che vuole strizzare l’occhio alle perverse idee che hanno attraversato il sanguinoso secolo precedente e che, oggi, stanno prendendo sempre più drammaticamente piede. Mick, infatti, pur essendo originario del sud – quindi non un vero “nativo” secondo l’originaria accezione – vuole ostentare a tutti i costi la purezza della sua “razza” con modalità esasperate ed esasperanti.

Greg Mclean è un artista a tutto tondo che spazia dalla pittura alla regia. Nella sua poliedricità, si diverte a scardinare gli stereotipi e a rovesciarli nel loro esatto contrario – tanto da aver creato l’archetipo di un maniaco cinematografico ferocemente radicato in ambienti sconfinati che lo hanno generato e che, quotidianamente, nutrono la sua violenza. Mick Taylor, infatti, trasporta maiali e li sventra come fa con gli esseri umani, nessuna diversità di trattamento. Insegue le sue vittime col suo pick-up o col suo camion investendo canguri che saltellano beatamente nelle immense strade assolate mentre, in sottofondo, canta The Lion Sleeps Tonight nella versione anni Sessanta di Hank Medress. Poi, l’obiettivo inquadra un cartello che cita: “Benvenuti in Australia!

Wolf Creek 2 – La preda sei tu paralizzerà e sconvolgerà. Gli spettatori parteciperanno al momento in cui Mick non lascerà scampo alle sue vittime, con tanto di girone infernale nel quale Paul si ritroverà sprofondato. Vi sono molte scene che lasceranno un segno nell’immaginario del pubblico, dall’incipit, di cui vi abbiamo parlato, ad un finale da brividi che ci trascina in un vero e proprio sotterraneo, un antro oscuro e profondo popolato da creature ingiustamente punite e maledette.

“Wolf Creek 2 è un’esplorazione della suspense cinematografica, ma dirigere il sequel di un film che ha avuto molto successo produce sempre un’interessante tensione creativa. Da un lato c’è il desiderio di rispettare il film precedente ma, dall’altro, c’è anche la voglia di espandersi, di allargare la visione e di andare più a fondo nell’esplorazione dei temi e delle idee che erano state al centro del film originale. Come nel primo film, infatti, in Wolf Creek 2 il paesaggio è uno dei protagonisti del film. I viaggiatori sono attratti da questo luogo esotico che inizialmente può sembrare un paradiso ma che, ben presto, si trasforma in un luogo da incubo dove bisogna lottare per la sopravvivenza. Da questo punto di vista, Mick e il paesaggio sono una cosa sola. I personaggi che s’imbattono in lui o che attraversano quei paesaggi, lo fanno a proprio rischio e pericolo perché, come l’affabile e amichevole Mick, anche l’outback può trasformarsi in un batter d’occhio in un luogo terrificante. Quello che sembra il paradiso è in realtà l’inferno sotto mentite spoglie, una nozione che era ben presente nella mente dei primi coloni che s’insediarono in Australia, i cui racconti violenti e raccapriccianti ambientati nell’inospitale e infinito deserto sono scolpiti nella memoria culturale australiana. Mick rappresenta l’incubo culturale collettivo, il nostro vero e unico ‘uomo nero’. Il personaggio di Mick Taylor è un’esplorazione della natura dell’identità nazionale australiana. Elementi del passato coloniale del paese, rancori storici e profonde ferite culturali covano sotto la superficie dell’affabile e stereotipato personaggio di Mick Taylor, ‘il bravo australiano dell’outback’.” (Greg Mclean)

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La CAMiMOVIE che, in partnership con Medusa, ha distribuito, come loro primo film French Connection (uscito il 26 marzo 2015), è una nuova società del Gruppo Abate (Industrie Abate Holding). Dopo l’ingresso nel mondo televisivo, avvenuto lo scorso gennaio con la nascita dell’emittente a carattere regionale (Campania) Piuenne, entra anche nel mondo del cinema con una nuova società che va ad ampliare ed arricchire le numerose e solide realtà del Gruppo. La CAMiMOVIE, infatti, si occuperà di produzione e di distribuzione cinematografica.

È giunto ora il momento dell’uscita del secondo film del listino, Wolf Creek 2 – La preda sei tu (questo il titolo italiano, nelle sale da mercoledì 10 giugno) di Greg Mclean, sequel del geniale Wolf Creek, basato sulla storia vera di un serial killer australiano – il film fu presentato al Sundance Film Festival nel 2005 e, in seguito, vinse molti premi in diverse manifestazioni cinematografiche. L’appuntamento successivo sarà con una divertentissima e scorretta commedia ambientata in un college made in Germany: Fack ju Göhte di Bora Dagtekin. E se qualcuno pensa che i tedeschi non abbiano senso dell’umorismo si ricrederà con questo film che ha ottenuto un enorme successo di pubblico in Germania: sei milioni di biglietti dalla sua uscita, guadagnando più di 60 milioni di euro al box office tedesco.