VENEZIA 74 – THE THIRD MURDER di Kore’Eda Hirokazu

the_third_murder_koji_yakusho2TITOLO: THE THIRD MURDER; REGIA: Kore’Eda Hirokazu; genere: thriller, drammatico; paese: Giappone; anno: 2017; cast: Fukuyama Masaharu, Yakusho Koji, Hirose Suzu; durata: 124′

Presentato in concorso alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, The Third Murder è l’ultima fatica dell’acclamato cineasta giapponese Kore’Eda Hirokazu.

La vicenda prende il via da un omicidio: un omicidio efferato, probabilmente premeditato. L’omicidio di un uomo – apparentemente a causa di problemi lavorativi – da parte di Misumi, un suo dipendente. Sarà compito del brillante avvocato Shigemori difendere l’assassino. La verità, però, si rivelerà essere ben diversa da come le cose possano inizialmente sembrare. Ed ecco entrare in gioco anche la figlia adolescente della vittima, la figlia dello stesso Shigemori e, non per ultima, la figlia di Misumi – o meglio, il ricordo di lei.

Ognuno dei personaggi sembra inizialmente avere un ruolo ben preciso. Salvo, poi, assistere ad un improvviso ribaltamento dei fatti. E poi ad un altro. E ad un altro ancora. Al punto da non riuscire mai a sapere chi sia veramente l’assassino e quale sia stato il reale movente dell’omicidio. Ma è davvero la soluzione del giallo la finalità ultima di questo lungometraggio di Kore’Eda? C’è realmente il bisogno di dare un nome al colpevole, oppure quello che qui viene messo in scena è ben altro? Ciò che il maestro giapponese qui ci racconta è la verità che ognuno di noi percepisce, l’idea che ogni essere umano ha del mondo. E il fatto che non è e non sarà mai una sentenza di tribunale a stabilire cosa sia vero e cosa no. Ed ecco che sapienti inquadrature che vedono i protagonisti riflessi attraverso vetri, volti che si sovrappongono e sghembi plongés che stanno a mostrarci lo spaesamento dei personaggi stessi diventano i cavalli di battaglia di The Third Murder, ulteriore conferma da parte di uno dei più interessanti e prolifici autori asiatici contemporanei.

E poi c’è il rapporto genitori-figli, costante di tutta la cinematografia di Kore’Eda. Rapporto non facile, spesso fonte di pesanti sensi di colpa che, a loro volta, generano un forte desiderio di espiazione ed altrettante colpe. I tre uomini protagonisti non sono realmente riusciti nel compito di crescere le loro figlie, in modo da prepararle ad affrontare il mondo e le sue brutture. Non a caso il regista ha deciso che due delle tre ragazze (le uniche due che vediamo realmente) debbano essere afflitte – in modo molto simbolico – da problemi di deambulazione. Letto da questo punto di vista, il lungometraggio, dunque, può essere anche classificato come la storia di tre padri e tre figlie, dove nessuno, alla fine, sembra “salvarsi” e dove il senso di inadeguatezza e la paura di non riuscire ad essere dei bravi genitori messi in scena nei bellissimi Father and Son e Ritratto di famiglia con tempesta vengono portati all’esasperazione. Fino ad arrivare ad un punto di non ritorno.

Ed ecco che il Kore’Eda apparentemente più “atipico” si rivela essere, in realtà, lo stesso Kore’Eda che tutti abbiamo fino ad ora amato ed apprezzato. Solo, se vogliamo, con maggiore voglia di sperimentare. Un Kore’Eda che come non mai sa leggerci dentro, rapirci, confonderci, spiazzarci. Un Kore’Eda di fronte al quale ci sentiamo piccoli piccoli. Ma del quale, in fin dei conti, non ne avremo mai abbastanza.

VOTO: 9/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA- FALCHI di Tony D’Angelo

falchi_michele_riondino_fortunato_cerlino_jpg_1003x0_crop_q85TITOLO: FALCHI; REGIA: Tony D’Angelo; genere: poliziesco, drammatico; anno: 2017; paese: Italia; cast: Fortunato Cerlino, Michele Riondino, Pippo Delbono, Stefania Sandrelli; durata: 97′

Nelle sale italiane dal 2 marzo, Falchi è l’ultimo lungometraggio diretto da Tony D’Angelo.

Peppe e Francesco sono due Falchi, ossia due poliziotti della sezione speciale della Squadra Mobile di Napoli, soliti usare spesso e volentieri metodi anticonvenzionali al fine di far rispettare la legge nei quartieri più malfamati della città. Un giorno si troveranno a dover fronteggiare una pericolosa banda della malavita cinese, dedita ai combattimenti clandestini tra cani ed allo sfruttamento della prostituzione.

00176-1150x748Non vi sono personaggi privi di colpe, in questo lungometraggio di Tony D’Angelo. Gli stessi protagonisti, infatti, si troveranno nelle condizioni di dover fare i conti con il proprio passato ed i propri sensi di colpa. E questo, ovviamente, avrà un peso decisivo nello svolgimento dei loro compiti.

Interessanti le atmosfere create appositamente per l’occasione. Fatta eccezione per qualche sbavatura di troppo (scene ed azioni a volte eccessivamente “urlate”, ad esempio), Falchi rivela ben precise intenzioni nel volere assumere l’aspetto dei poliziotteschi anni Settanta. E ci riesce particolarmente bene, dal punto di vista di una messa in scena dove non mancano anche, di quando in quando, anche interessanti panoramiche e dolly che ci mostrano la città di Napoli in tutto il suo fascino.

maxresdefault-2Ciò che convince meno, in questo ultimo lavoro di D’Angelo, è proprio lo script da cui parte il lavoro. Poco sviluppato, a tal proposito, è, ad esempio, il personaggio di Arianna, interpretato da Stefania Sandrelli. Personaggio, questo, che risulta quasi privo di spessore a causa di una mancata e necessaria caratterizzazione, malgrado le numerose potenzialità. Così come, ad esempio, particolarmente forzato risulta il finale stesso del lungometraggio, in cui la decisione di lasciare volutamente delle porte aperte risulta, una volta completatala realizzazione, decisamente inefficace e priva di nerbo, carente, dunque, di quel carico emotivo inizialmente immaginato.

Eppure, nonostante ciò, Falchi risulta un prodotto interessante nel suo genere. Chissà, magari, man mano l’arte di Tony D’Angelo finirà con l’affinarsi sempre di più. Le premesse di certo ci sono tutte!

VOTO: 6/10

Marina Pavido