VENEZIA 73 – LES BEAUX JOURS D’ARANJUEZ di Wim Wenders

fc_91d4ade28_420015290216TITOLO: LES BEAUX JOURS D’ARANJUEZ; REGIA: Wim Wenders; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Francia, Germania; cast: Reda Kateb, Sophie Semin, Jens Harzer; durata: 97′

Presentato in concorso alla 73° Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia, Les beaux jours d’Aranjuez è l’ultima fatica del celebre cineasta tedesco Wim Wenders.

Un giorno d’estate. Uno scrittore e la sua macchina da scrivere. Un uomo e una donna. La vita, la natura, la carne. La percezione femminile e quella maschile. Ma anche i ricordi, le prime esperienze sessuali e la scoperta di sé stessi.

Le note di A perfect day del compianto Lou Reed – insieme ad intense vedute di Parigi – aprono questo ultimo lungometraggio di Wenders, il quale fin da subito ci dà un’ulteriore conferma per quanto riguarda le ottime scelte registiche. Scelte che, durante tutta la turata del film, stanno a regalare una particolare quanto singolare atmosffera al tutto. Un’estetica altamente poetica e contemplativa che si sposa perfettamente con la calma dei due protagonisti nell’affrontare la loro lunga conversazione.

Tratto da un testo teatrale di Peter Handke, Les beaux jours d’Aranjuez pone e si pone mille domande sull’essere umano, attraverso un’accurata indagine psicologica ed antropologica. Non c’è che dire, il talento di Wenders non si smentisce mai. Eppure, volendo muovere delle critiche a questo suo ultimo lavoro, di sicuro si può affermare che – facendo un salto con la memoria ai auoi precedenti lavori – è come se il cineasta avesse già dato al cinema tutto quello che si può dare. Malgrado l’ottima realizzazione, infatti, questo suo ultimo lungometraggio manca di quella potenza, di quell’incisività che hanno contraddistinto l’opera del regista. I maligni potrebbero quasi indicarlo come una sorta di “canto del cigno”. Ma non è così. Pur avendo dato il meglio di sé in passato, per quanto riguarda il cinema di finzione, Wenders negli ultimi anni ha reallizzato dei documentari di tutto rispetto. Basti pensare al recente Il sale della terra, oppure a Pina – anch’esso in 3D – realizzato nel 2011. Questo cosa potrebbe stare a significare? Che forse la sua linea autoriale ha preso un’altra strada e funziona meglio con un determinato tipo di narrazione? Solo il tempo potrà dircelo. In compenso, Les beaux jours d’Aranjuez resta comunque un ottimo prodotto, tra i più curati e personali dei film presentati qui a Venezia in questi primi due giorni. E questo di certo non è poco.

Ultima considerazione: purtroppo, nonostante l’eccellente regia, in questo caso il 3D non si è rivelato una scelta del tutto vincente, dal momento che nulla di nuovo ha aggiunto alla narrazione in sé.

VOTO: 7/10

Marina Pavido