12° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – THE ONLY LIVING BOY IN NEW YORK di Marc Webb

only_boyTITOLO: THE ONLY LIVING BOY IN NEW YORK; REGIA: Marc Webb; genere: commedia; paese: USA; anno: 2017; cast: Callum Turner, Pierce Brosnan, Kate Beckinsale, Jeff Bridges; durata: 88′

Presentato in anteprima, all’interno della Selezione Ufficiale, alla 12° edizione della Festa del Cinema di Roma, The Only Living Boy in New York è l’ultimo lungometraggio diretto da Marc Webb.

La storia qui messa in scena è quella del giovane Thomas Webb, neo laureato che per arrotondare dà ripetizioni ed è follemente innamorato di Mimi, la sua migliore amica che, però, non sembra ricambiare i suoi sentimenti. Un giorno, il ragazzo scopre che suo padre ha una relazione extraconiugale, mentre sua madre, che da anni soffre di depressione, sembra essere all’oscuro di tutto. Sarà compito suo, grazie anche all’aiuto di uno stravagante vicino di casa che ben presto diventerà suo mentore, gestire la situazione ed affrontare, così, anche un nuovo percorso di crescita che lo porterà a conoscere meglio sé stesso ed a capire quale sia il suo posto nel mondo.

Nulla di nuovo? Nulla di nuovo, senza dubbio. Ma allora, perché un lungometraggio come The Only Living Boy in New York risulta un prodotto tanto gradevole quanto ben riuscito? Senza dubbio è l’universalità della storia – qui trattata con estrema delicatezza, senza mai scadere nella retorica – uno dei fattori che maggiormente funziona, unitamente alla caratterizzazione dei personaggi. Sono, tuttavia, le atmosfere create – con una New York trattata alla stregua di un vero e proprio coprotagonista, con suggestivi colori autunnali ed intense panoramiche – il vero fiore all’occhiello di questo ultimo lungometraggio di Marc Webb. Questo, unito ad un commento musicale che assume qui un ruolo addirittura centrale – lo stesso titolo si rifà alla celebre canzone di Simon e Garfunkel – è in grado di dar vita ad un prodotto piccolo – non soltanto per quanto riguarda i soli 88 minuti di durata – ma ben confezionato, che, salvo che per la mancanza della sua tipica, tagliente ironia, farebbe addirittura pensare ad una sorta di Woody Allen (nell’ambito di questa edizione della Festa del Cinema di Roma inaspettatamente menzionato più e più volte) particolarmente “moderato”, ma comunque incisivo. Chi meglio di lui, d’altronde, ha messo in scena vere e proprie dichiarazioni d’amore alla sua amata New York, con tutti i suoi rumori, i suoi colori e la sua vita frenetica?

Ed ecco che The Only Living Boy in New York si è rivelato, dunque, una piacevole sorpresa all’interno di una programmazione che, spesso e volentieri, ha fatto storcere il naso a pubblico e critica. Siamo d’accordo, non si tratta certo di un film fondamentale. Si potrebbe addirittura affermare che, passato qualche tempo dalla visione, non verrà ricordato da molti, probabilmente. Eppure, nel suo piccolo, questo lavoro di Marc Webb funziona. Cosa, questa, assolutamente non da poco.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

67° FESTIVAL DI BERLINO – ON BODY AND SOUL di Ildiko Enyedi

on-bodyTITOLO: ON BODY AND SOUL; REGIA: Ildiko Enyedi; genere: commedia, sentimentale; anno: 2016; paese:Ungheria; cast: Geza Morcsanyi, Alexandra Borbély; durata: 116′

Presentato in concorso alla 67° edizione del Festival di Berlino, On body and soul è l’ultimo lungometraggio della regista ungherese Ildiko Enyedi.

Un bosco d’inverno. La neve, ormai, ha coperto quasi tutto, alberi e terreno. Due cervi, un maschio ed una femmina, sono intenti a cercare del cibo. Il maschio, nello specifico, sembra particolarmente attento alle esigenze della sua compagna. Scena delicata e dal forte impatto visivo, al termine della quale, però, ci troviamo in un ufficio di Budapest, ai giorni nostri, dove una timida biondina, da poco assunta, viene notata dal direttore, anch’egli, a sua volta, timido, impacciato e non più giovanissimo. In che modo le due situazioni presentateci sono collegate tra loro? Lo scopriremo presto – e, in questo caso, non si tratta di spoiler! – nel momento in cui una giovane psicologa dovrà esaminare tutti i dipendenti dell’azienda per scoprire chi possa aver commesso dei furti. In seguito ad alcune sue domande riguardanti l’inconscio di ognuno degli impiegati, la dottoressa verrà a sapere – convinta che si tratti di uno scherzo – che sia il direttore che la giovane impiegata sono soliti sognare sé stessi nelle sembianze di cervi.

Ebbene sì, avete letto bene. Il lungometraggio in questione indubbiamente si presenta come una commedia romantica con non pochi momenti ironici al suo interno. Il fatto, però, di prendersi fin troppo seriamente nel raccontare l’incipit della potenziale storia d’amore trai due protagonisti fa drasticamente calare di livello tutto il lungometraggio. Eppure l’Est Europa, in fatto di comicità, quando ci si mette sa riuscire davvero bene nel suo intento. Basti pensare, ad esempio, ad alcuni lavori di registi del calibro di Petr Zelenka o di Ladislav Smoljak, giusto per fare un paio di nomi. Tale sottile comicità, basata talvolta sul surreale e sul paradosso, è, salvo in rari momenti (come quando la ragazza riceve la telefonata del suo capo mentre è intenta a tagliarsi le vene), in On body and soul soltanto lievemente accennata. O, per meglio dire, mal sviluppata. Così come scarsamente approfondito è il tema dell’ansia sociale e dei disturbi nell’ambito della sfera sessuale, entrambe caratteristiche della giovane protagonista. Peccato. Soprattutto perché, da un punto di vista prettamente registico, la cineasta ungherese ha più volte dimostrato di avere una buona gestione del quadro e degli spazi in generale. In questo suo ultimo lavoro, ad esempio, di grande impatto visivo sono le scene ambientate nel bosco, così come le inquadrature di alcuni esterni della città stessa.

Il risultato finale è, nonostante ciò, un film che poco o niente riesce a trasmettere allo spettatore. Un prodotto dalle interessanti potenzialità, ma che, di fatto, risulta quasi “incompiuto”, non del tutto sviluppato. Piuttosto modesto per far parte della selezione ufficiale di un festival come quello della Berlinale, senza ombra di dubbio. Non ci resterà che rivolgere la nostra attenzione ad altri lidi, a questo punto!

VOTO: 5/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – VI PRESENTO TONI ERDMANN di Maren Ade

toni-erdmann-3-rcm0x1920uTITOLO: VI PRESENTO TONI ERDMANN; REGIA: Maren Ade; genere: commedia; anno: 2016; paese: Germania; cast: Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn; durata: 162′

Nelle sale italiane dal 23 febbraio, Vi presento Toni Erdmann, diretto dalla giovane regista tedesca Maren Ade, è attualmente candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero perla Germania, oltre ad aver vinto ben cinque Premi EFA ed il Premio FIPRESCI Critica Internazionale all’ultima edizione del Festival di Cannes.

Un padre, una figlia. Decisamente anticonvenzionale il primo, tutta dedita alla carriera la seconda. Due mondi che, con il passare del tempo, si sono allontanati sempre di più. È questa la storia di Winfried, il quale, pur di recuperare il rapporto con sua figlia Ines – diventata, per lui, ormai quasi un’estranea – e di insegnarle a prendere la vita con più leggerezza, la raggiunge per un breve periodo a Bucarest. Le cose, ovviamente, non sembrano mettersi troppo bene per il bizzarro Winfred, il quale viene sempre visto come una presenza estranea ed invadente. L’uomo, però, non si dà per vinto e, pur di trovare un modo di avvicinarsi alla figlia, inizia a spacciarsi per un diplomatico tedesco di nome Toni Erdmann, indossando una parrucca ed una vistosa dentiera. Sua figlia Ines accetta la sfida e, da quel momento, ne accadranno di tutti i colori.

peter-simonischek-ist-in-toni-erdmann-in-einer-doppelrolle-zu-sehen-als-toni-und-als-winfriedGià da una sommaria lettura della trama si può intuire che Vi presento Toni Erdmann è un vero e proprio crescendo di gag e situazioni al limite del reale. Ciò che fin da subito colpisce, però, è la singolare messa in scena adottata, la quale fa sì che ciò che vediamo sullo schermo non sia mai eccessivamente “urlato”, mai del tutto esplicito, ma, al contrario, grazie ad una regia essenziale e priva di ogni qualsivoglia orpello e, soprattutto, grazie ad una colonna sonora che prevede la quasi totale assenza delle musiche – fatta eccezione, ovviamente, per quelle prettamente diegetiche – si tratti di qualcosa di fortemente sottile, grottesco e raffinato allo stesso tempo. Basti pensare, ad esempio, alle sole espressioni di Winfried/Toni Erdmann o a situazioni al limite del reale come l’improvvisata festa per nudisti organizzata “involontariamente” da Ines. Il risultato finale ricorda, addirittura, alcune tra le migliori commedie scandinave degli ultimi anni (di Ruben Östlund e di Hans Peter Moland, ad esempio), le quali, si sa, proprio per queste loro caratteristiche “estreme”, o le si odia o le si ama. Ma tant’è.

toniOvviamente, una così accurata messa in scena degli espedienti comici presuppone anche una grande attenzione ai rapporti umani raccontati: apparentemente freddo, ma in realtà tenerissimo il rapporto tra Winfried ed Ines, si evolve in modo lineare nella sua complessità, fino ad arrivare all’agognato abbraccio finale ed al bellissimo gesto della ragazza che decide di indossare, scherzosamente, la dentiera usata dal padre per impersonare Toni Erdmann. Gli interpreti Peter SImonischek e Sandra Hüller, dal canto loro, hanno fatto di tutto per rendere sullo schermo degli ottimi protagonisti, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Winfried, vero cavallo di battaglia di tutto il lungometraggio.

Forse tutti i premi assegnati a Vi presento Toni Erdmann sono stati eccessivi? Può darsi. Il punto, però, è questo: se si pensa al lungometraggio della Ade come a qualcosa di sottile, raffinato e ben confezionato, di sicuro non si resterà delusi al termine della visione. E questa, ovviamente, non è cosa da poco.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – LES OGRES di Léa Fehner

les-ogres-de-lea-fehner_5558197TITOLO: LES OGRES; REGIA: Léa Fehner; genere: drammatico, commedia; anno: 2016; paese: Francia; cast: Adéle Haenel, Marc Barbé, François Fehner; durata: 144′

Nelle sale italiane dal 26 gennaio, Les ogres è l’ultimo lungometraggio della regista francese Léa Fehner, vincitrice, con questa sua opera del Premio Lino Miccichè e del Premio del Pubblico all’ultima edizione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro.

Sullo schermo ci vengono raccontate le vicende amorose e lavorative della compagnia teatrale itinerante Davaï Théatre. Problemi familiari, legami amorosi, un’imminente nascita ed il ritorno, improvviso, di una vecchia amante stravolgeranno la routine dei teatranti rompendo quella sorta di equilibrio venutosi a creare e facendo riemergere vecchi rancori e ferite evidentemente mai cicatrizzate.

les-ogres-2-e1485282952785Scorrono via senza neanche che il pubblico se ne accorga i 144 minuti di durata. Questo ultimo lavoro della Fehner, infatti, è un vero e proprio alternarsi di emozioni, ben messe in scena, nello specifico, non solo da attori capaci (all’interno del cast, inoltre, vi sono anche alcuni famigliari della regista stessa), ma anche da una regia attenta e sapiente che dimostra di saper ben muovere la macchina da presa nei momenti giusti, Basti pensare, ad esempio, alle numerose carrellate presenti durante le scene degli spettacoli, quando ci si ritrova grazie a movimenti fluidi ma repentini allo stesso tempo, ora sul palco, ora dietro le quinte. Oppure basti pensare agli intensi primi piani dei personaggi, durante i loro momenti di crisi.

les-ogres-2015-lea-fehner-02Signore e signori:la commedia umana sullo schermo, dunque! E, onestamente, bisogna proprio ammettere che questa commedia umana – dai vaghi rimandi felliniani – è davvero ben rappresentata: luci, colori, un’appropriata colonna sonora rendono il prodotto finale vivo, urlato, passionale. Una vera e propria dichiarazione d’amore alla vita. Non a caso, gli equilibri perduti sembrano riassestarsi nel momento in cui una giovane attrice della compagnia dà alla luce un bambino.

Si tratta di un piccolo miracolo cinematografico, Les ogres. D’accordo, non racconta nulla di nuovo, in fin dei conti. Eppure lo fa in un modo talmente raffinato, genuino ed onesto che il meraviglioso mondo che ci ritroviamo davanti agli occhi non verrà dimenticato tanto facilmente.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

 

LA RECENSIONE DI MARINA – MAESTRO di Alexandre Valenti

crop2_visuel-du-film-pour-que-vive-la-musique-des-camps-le-maestro-d-alexandre-valenti_imgTITOLO: MAESTRO; REGIA: Alexandre Valenti; genere: documentario; anno: 2016; paese: Italia, Francia; cast: Francesco Lotoro; durata: 75′

Nelle sale italiane dal 23 gennaio, Maestro è l’ultimo documentario di Alexandre Valenti.

Il regista ci mostra l’appassionante viaggio attraverso l’Europa di Francesco Lotoro, musicista e studioso alla ricerca di testimonianze e documenti che gli permettano di rintracciare ed archiviare tutta la musica composta dagli internati dei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale.

unnamed-6-1024x575Josef Kropinski, Viktor Ullman, Gideon Klein, Rudolf Karel sono solo alcuni nomi che ci hanno lasciato in dono intense melodie direttamente dai campi di concentramento. Musiche che sono, di fatto, l’anima di questo ultimo lavoro di Valenti. Maestro, a sua volta, è pensato principalmente con una struttura narrativa lineare, schematica, con un’importante voce narrante presente in quasi tutto il lungometraggio e che, a tratti, risulta un po’ troppo didascalica. A fare da contorno, ci sono, oltre ai filmati di repertorio, le interviste: talvolta sono i compositori stessi rimasti ancora in vita a raccontarci le origini della loro musica, altre volte sono i loro eredi. E poi, finalmente, è l’ora di ascoltare i brani.

lotoro-696x463Scelta azzeccata, quella di avere optato per una regia semplice e priva di qualsiasi orpello. Dato il tema trattato, però, e data, soprattutto, la poesia di ciò che si è messo in scena, si sarebbe potuto scegliere un andamento narrativo più vicino al flusso di coscienza stesso. Mirate didascalie, ad esempio, avrebbero potuto venire in aiuto. Ma queste, ovviamente, sono solo ipotesi azzardate.

Fatto sta che  tra tutti i film in uscita in sala in occasione della Giornata della Memoria, Maestro si è rivelato, quest’anno, uno dei prodotti maggiormente interessanti e caratterizzato da una ben marcata identità. Una piccola opera, in pratica, a cui vale decisamente la pena dedicare poco meno di un’ora e mezza del nostro tempo.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA: QUA LA ZAMPA! di Lasse Hallstrom

2qualazampa-600TITOLO: QUA LA ZAMPA!; REGA: Lasse Hallström; genere: drammatico, commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Dennis Quaid, Britt Robertson, John Ortiz; durata: 100′

Nelle sale italiane dal 19 gennaio, Qua la zampa! è l’ultimo lungometraggio del celebre regista svedese (ma statunitense di adozione) Lasse Hallström.

La storia si apre nel 1962 con la nascita di Bailey, bellissimo cucciolo di Golden Retriever, il quale – a pochi giorni dalla nascita – viene salvato dalla strada dal piccolo Ethan, insieme alla madre di lui. Da qui inizierà un’amicizia destinata a durare negli anni. Anni felici in cui Bailey non smetterà mai di chiedersi quale sia il proprio scopo nel mondo e, durante i quali, il cane morirà e si reincarnerà più volte fino ad incontrare, diversi decenni dopo, il suo primo padroncino Ethan (il quale – udite udite! – non ci metterà molto a capire che il suo Bailey si è reincarnato in un altro cane). A questo punto il proprio scopo nel mondo sarà ben chiaro. Ma non diciamo null’altro, per evitare eventuali spoiler.

a-dogs-purpose-imageIl punto, però, è questo: volendo sorvolare su vere e proprie pacchianerie tecniche (in primis le dissolvenze in stile trip allucinogeno con colori psichedelici che stanno indicare il passaggio dalla morte ad una nuova rinascita di Bailey – e che ricordano tanto le stesse soluzioni adottate in Hachiko per mettere in scena la morte del cane, ma anche la fotografia con le luci eccessivamente bruciate che sta a ricordare più che altro un prodotto televisivo da palinsesto estivo), il vero problema di Qua la zampa! è proprio l’eccessiva sdolcinatezza, che, unita a dialoghi retorici, ridondanti e che spesso a volentieri, soprattutto per quanto riguarda la voice over rappresentante il pensiero del cane (doppiato per noi nientepopodimeno che da Gerry Scotti!), tendono pericolosamente a doppiare le immagini, fa perdere totalmente di qualità ad un prodotto che già di per sé – vista la storia messa in scena – sembra non promettere troppo bene. Perché, di fatto, di lavori in cui le vicende vengono raccontate dal punto di vista di un animale domestico, ce ne sono eccome. Basti pensare, ad esempio (giusto per citare i titoli maggiormente noti) a Senti chi parla…adesso! o al bellissimo cortometraggio della Disney Feast. La scelta, dunque, di mettere in scena una storia del genere presuppone un qualcosa in più che dia al prodotto una propria identità e, nel nostro caso, l’idea di raccontare le varie vite del cane con lo scopo di tornare dal primo padrone per aiutarlo a rimettere a posto la propria di vita, di certo non si è rivelata una soluzione vincente. Ma, si sa, Lasse Hallström, di fatto, è contento così. E a noi, a questo punto, non può che strappare un sorriso benevolo ed indulgente.

VOTO: 4/10

Marina Pavido

EVENTO SPECIALE: IL VIAGGIO DI FANNY di Lola Doillon

fannys-journey-460x230TITOLO: IL VIAGGIO DI FANNY; REGIA: Lola Doillon; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Francia; cast: Cécile De France, Léonie Souchaud, Fantine Harduin; durata: 94′

Nelle sale italiane esclusivamente il 26 e 27 gennaio-in occasione della Giornata della MemoriaIl viaggio di Fanny è l’ultimo lungometraggio diretto dalla regista francese Lola Doillon, ispirato ad una storia vera.

La tredicenne Fanny viene lasciata dai genitori – insieme alle due sorelline più piccole – in una colonia, dove alcuni insegnanti si occupano di proteggere dai nazisti i bambini ebrei. Le cose cambiano quando le SS scoprono l’attività segreta della colonia. A quel punto, a Fanny, alle sue sorelline e ad i nuovi amici, non resterà che intraprendere un lungo e pericoloso cammino al fine di raggiungere il confine svizzero.

il-viaggio-di-fanny-immagine-dal-set-con-il-gruppo-di-bambini-protagonisti-e-madame-forman-maxw-1280Interessante operazione, quella compiuta dalla Francia,la quale, a differenza della Germania, di rado ha trattato un tema come quello dell’olocausto. Eppure Il viaggio di Fanny ha dalla sua innanzitutto il merito di raccontarci qualcosa di sconosciuto ai più,ossia l’esistenza di case-famiglia disposte ad occuparsi dei figli di genitori ebrei al fine di salvarli dai nazisti. Visto da un punto di vista prettamente divulgativo, dunque, questo ultimo lungometraggio della Doillon si rivela alquanto interessante.

I principali problemi, in realtà, sono altri. E riguardano la realizzazione del lungometraggio in sé: eccessivamente invadente, di fatto, è la musica presente, la quale fa in modo che l’intero prodotto somigli quasi ad un lavoro pensato per la tv. Stesso discorso va fatto per lo script in sé: dialoghi troppo espliciti tendono a doppiare le immagini e non poche forzature rendono il tutto poco credibile (nonostante, appunto, si tratti di una storia vera).

fannys-journey-01-460x230Discorso a parte va fatto sui bambini protagonisti: i giovani attori hanno sì parecchie potenzialità, ma tuttavia risultano a volte eccessivamente ingessati, protagonista compresa. Peccato. Soprattutto perché la storia in sé è davvero molto promettente e ricca di spunti. Chissà se qualcun altro deciderà di raccontarla nuovamente a modo proprio. Staremo a vedere! Nel frattempo, Il viaggio di Fanny, in sala in occasione della Giornata della Memoria, è senza dubbio un altro importante documento di una delle più grandi disgrazie del secolo scorso.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – MAGIC ISLAND di Marco Amenta

magic-island-2-1024x576TITOLO: MAGIC ISLAND; REGIA: Marco Amenta; genere: documentario; anno: 2016; paese: Italia, USA; durata: 74′

Nelle sale italiane dal 12 gennaio, Magic Island è l’ultimo prodotto del documentarista Marco Amenta, il quale, in questo suo lavoro, ci racconta in modo trasversale il celebre attore e caratterista statunitense, ma di origini siciliane, Vincent Schiavelli.

La vicenda prende il via da Los Angeles, dove vive e lavora come musicista Andrea, figlio ventisettenne dell’attore, il quale – pur essendo legatissimo al padre – negli ultimi anni non è più riuscito a coltivare il loro rapporto. Un giorno Andrea riceve la telefonata di Katia, compagna del padre scomparso, la quale gli chiede di recarsi nel loro paese, al fine di ritirare alcuni soldi che Schiavelli aveva lasciato in eredità in un conto corrente da estinguere. Anche se non sarà facile, Andrea partirà alla volta di Polizzi Generosa e qui avrà modo di conoscere realmente il genitore scomparso.

vincent-schiavelli-600x400D’accordo, di storie del genere ne abbiamo viste tante, quello sì. Eppure questo ultimo documentario di Amenta, vuoi per l’enigmatica – ma non troppo – figura di Vincent Schiavelli, vuoi per la tecnica narrativa utilizzata, vuoi per la magia dei posti raccontati, a fine visione lascia una piacevole quanto rara sensazione di appagamento interiore.

Inizialmente vediamo giovane ragazzo su una nave, prossimo ad arrivare in Sicilia. Chi sarà mai questo giovane? Ed ecco che facciamo un salto temporale fino a qualche settimana prima, al fine di fare la conoscenza di Andrea e della sua vita, fino al momento in cui il ragazzo decide di partire per la Sicilia. È questo, forse, il momento più debole di tutto il documentario, in quanto la macchina da presa, spesso e volentieri, tende ad indugiare eccessivamente sulla quotidianità del ragazzo, dandoci informazioni talvolta decisamente ridondanti. Amenta, però, riesce a riprendersi immediatamente in seguito all’arrivo del ragazzo in Sicilia. È qui, infatti, che – man mano che la figura di Vincent Schiavelli si fa meno misteriosa – assistiamo ad un vero e proprio crescendo visivo e sonoro, con una musica – composta dallo stesso Andrea – che si fa via via sempre più “presente” e gli abitanti, i profumi, i colori del paesino siciliano esplodono nel vero senso della parola sul grande schermo, facendoci sentire subito parte di quei posti magici, vera e propria trasfigurazione dello scomparso Schiavelli. Esplosione, questa, che lascia poi posto ad una rinnovata tranquillità, quando arriva il momento per Andrea di lasciare le terre del padre e di tornare, come rinato, alla vita di tutti i giorni.

news_178035Perché, di fatto, in questo documentario di Amenta è la terra la vera protagonista, trattata alla stregua di un vero e proprio essere vivente, con il suo potere salvifico. Ottimo espediente per raccontare un personaggio come Schiavelli, che abbiamo visto più e più volte, ma che, forse, non abbiamo mai avuto modo di conoscere a sufficienza. Alla terra è affidato, dunque, l’importante incarico di ridargli vita. Per il resto, pochissimi – e brevissimi – sono i filmati di repertorio utilizzati (spezzoni di film, filmati privati, ecc.) e addirittura assenti sono le interviste frontali. Il tutto è raccontato come una sorta di film a soggetto a tutti gli effetti.

Quali critiche si potrebbero muovere, dunque, ad un documentario come Magic Island? Che, forse, proprio per la tecnica narrativa adottata, manca talvolta di spontaneità e risulta eccessivamente costruito? Può darsi. Eppure, nonostante ciò, il risultato finale è un prodotto di tutto rispetto, contemplativo e poetico al punto giusto, ma anche vivo, commovente ed allegro allo stesso tempo e, ciononostante, mai eccessivo.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – MISTER FELICITA’ di Alessandro Siani

1483002320-sianiTITOLO: MISTER FELICITÀ; REGIA: Alessandro Siani; genere: commedia; anno: 2016; paese: Italia; cast: Alessandro Siani, Diego Abatantuono, Carla Signoris; durata: 93′

Nelle sale italiane dal 1° gennaio, Mister Felicità è l’ultimo lungometraggio diretto ed interpretato dal comico partenopeo Alessandro Siani.

La situazione iniziale da cui prende il via tutta la vicenda è assai semplice: Martino è un giovane disoccupato napoletano che, dopo essere stato licenziato in seguito alla chiusura dell’azienda per la quale lavorava, si trasferisce in Svizzera a casa di sua sorella Caterina, la quale lavora come donna delle pulizie presso lo studio del Dottor Gioia, mental coach di successo. In seguito ad un incidente d’auto, però, Caterina resta con una gamba di tre centimetri più corta dell’altra. Per correggere tale difetto serviranno ventimila euro e, di conseguenza, a Martino non resterà che farsi assumere dal Dottor Gioia al posto di sua sorella. L’occasione per un’importante svolta economica si presenterà nel momento in cui il ragazzo avrà la possibilità di sostituirsi al proprio capo per far tornare la voglia di mettersi in gioco ad una giovane campionessa di pattinaggio sul ghiaccio, caduta in depressione dopo essere scivolata durante un’esibizione. Il resto lo si può facilmente intuire.

mister9-1000x600Eppure, tutto sommato, al di là della prevedibilità della storia in sé, questo ultimo lavoro di Siani ha dalla sua il fatto di presentarsi proprio per quello che è: una semplice commedia, con sporadici momenti riusciti al suo interno, senza troppe pretese. E, osservato da questo punto di vista, fa quasi tenerezza. Il problema è che, di fatto, vi sono non poche imperfezioni al suo interno, sia dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista stilistico. Ma andiamo per gradi.

In primo luogo, vediamo il conflitto iniziale – ossia la necessità di un intervento chirurgico di fronte a serie ristrettezze economiche – sparire magicamente nel nulla dopo pochi minuti. Sì, avete letto bene. Succede proprio così: dopo che Martino viene assunto da Gioia, ecco che nessuno sembra più porsi il problema della costosa operazione alla gamba di Caterina. Paradossalmente neanche la stessa Caterina, la quale, a sua volta, sembra semplicemente contenta di spassarsela con un impacciato fisioterapista. Tutto ciò fa pensare, di fatto, ad una grave disattenzione nel momento della stesura di una sceneggiatura già di per sé parecchio deboluccia.

mister-felicita-recensione-del-film-alessandro-siani-recensione-v6-31992-1280x16Un altro grande problema di Mister Felicità è rappresentato, inoltre, anche dalle numerose forzature create al fine di dar vita a pseudo-gag prevedibili, di dubbio gusto (come, ad esempio, la raffica di noci presso una festa di ricchi a cui Martino viene invitato insieme alla sua amica pattinatrice o il maldestro tentativo di Siani&co di introdursi all’interno di un pronto soccorso attraverso una finestra) e, soprattutto, delle quali, in generale, poco ci importa. Uno dei pochi momenti comici ben riuscito si svolge all’interno del bagno di un autogrill, quando vediamo un imbranato Martino improvvisare una sorta di “danza”, al fine di far funzionare almeno uno dei quattro lavandini automatici presenti: forti e chiari sono i rimandi alle slapstick comedies, in una scena che tutto sommato funziona bene e fa sorridere.

Circa le possibili risposte da parte del pubblico ad un film come Mister Felicità, si possono fare mille ipotesi: avranno ancora lo stesso successo di qualche anno fa film del genere, di cui esistono, ormai, infinite copie oppure anche il pubblico ha voglia di qualcosa di diverso? Solo il tempo saprà darci una risposta in merito. Circa il destino della gamba della povera Caterina, invece, non ci è dato nulla da sapere.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – ALPS di Yorgos Lanthimos

tumblr_m59ehykerd1rvpc5eo1_1280TITOLO: ALPS; REGIA: Yorgos Lanthimos; genere: drammatico; anno: 2011; paese: Grecia; cast: Aggeliki Papoulia, Ariane Labed, Aris Servetalis, Johhny Vekris; durata: 93′

Nelle sale italiane dal 28 dicembre, Alps è un interessante lungometraggio diretto dal regista greco Yorgos Lanthimos nel 2011 e presentato alla 68° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Un’infermiera, un paramedico, una ginnasta ed un allenatore si sono riuniti in una sorta di associazione segreta – denominata, appunto, “Alps” – al fine di fornire particolare supporto morale alle famiglie che anno appena subito un lutto, dietro il pagamento di un’elevata cifra. Le regole da rispettare per far parte di questo gruppo sono, però, estremamente rigide ed anche tentare di tornare ad una vita normale non sarà cosa semplice, come avrà modo di sperimentare sulla propria pelle l’infermiera.

alpstennis_1363259266_crop_550x366Dopo il successo – e la conseguente distribuzione in Italia – di The Lobster, ecco che alcuni dei primi film diretti da Lanthimos potranno essere visti – o rivisti – sul grande schermo. Se, però, l’ultimo lungometraggio del cineasta greco da un lato ha piacevolmente sorpreso, mentre dall’altro ha fatto un po’ storcere il naso a causa di importanti pecche all’interno dello script, sarà interessante visionare i suoi primi lavori e vedere da quali idee è partito il cinema di Lanthimos, che, di fatto, è tutt’altro che banale, anche se – ad una prima visione – può risultare piuttosto ostico.

La setta raccontata in Alps è – come per The Lobster – anche qui allegoria della società in cui viviamo, ma si tratta, in questo caso, di qualcosa di molto meno urlato, di assai implicito, che, tuttavia, colpisce dove deve colpire. Un ambiente angusto, una società che non perdona, un mondo fatto di menzogne. Non sono questi, forse, i temi che ricorrono spesso nella cinematografia di Lanthimos? È così per Alps, come è stato così per The Lobster, ma anche per Kynodontas, antecedente i due e, probabilmente, presto sui grandi schermi.

alpsfilmSpesso accusato di “furbizia”, di scarsa onestà intellettuale, insieme ai suoi colleghi della tanto controversa New Wawe greca, Lanthimos si presenta, tuttavia, come un cineasta piuttosto interessante, almeno per quanto riguarda i suoi primi lavori, ma che – e questo ci auguriamo possa accadere mai – rischia di farsi contaminare da pericolose manie di grandezza. La cosa, comunque, sarà da vedere. Nel frattempo, perché non approfittare della possibilità di visionare l’inizio di un percorso tanto controverso? Siamo sicuri che – chi nel bene chi nel male -molti spettatori ne saranno fortemente colpiti.

VOTO: 8/10

Marina Pavido