LA RECENSIONE DI MARINA – MISTER FELICITA’ di Alessandro Siani

1483002320-sianiTITOLO: MISTER FELICITÀ; REGIA: Alessandro Siani; genere: commedia; anno: 2016; paese: Italia; cast: Alessandro Siani, Diego Abatantuono, Carla Signoris; durata: 93′

Nelle sale italiane dal 1° gennaio, Mister Felicità è l’ultimo lungometraggio diretto ed interpretato dal comico partenopeo Alessandro Siani.

La situazione iniziale da cui prende il via tutta la vicenda è assai semplice: Martino è un giovane disoccupato napoletano che, dopo essere stato licenziato in seguito alla chiusura dell’azienda per la quale lavorava, si trasferisce in Svizzera a casa di sua sorella Caterina, la quale lavora come donna delle pulizie presso lo studio del Dottor Gioia, mental coach di successo. In seguito ad un incidente d’auto, però, Caterina resta con una gamba di tre centimetri più corta dell’altra. Per correggere tale difetto serviranno ventimila euro e, di conseguenza, a Martino non resterà che farsi assumere dal Dottor Gioia al posto di sua sorella. L’occasione per un’importante svolta economica si presenterà nel momento in cui il ragazzo avrà la possibilità di sostituirsi al proprio capo per far tornare la voglia di mettersi in gioco ad una giovane campionessa di pattinaggio sul ghiaccio, caduta in depressione dopo essere scivolata durante un’esibizione. Il resto lo si può facilmente intuire.

mister9-1000x600Eppure, tutto sommato, al di là della prevedibilità della storia in sé, questo ultimo lavoro di Siani ha dalla sua il fatto di presentarsi proprio per quello che è: una semplice commedia, con sporadici momenti riusciti al suo interno, senza troppe pretese. E, osservato da questo punto di vista, fa quasi tenerezza. Il problema è che, di fatto, vi sono non poche imperfezioni al suo interno, sia dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista stilistico. Ma andiamo per gradi.

In primo luogo, vediamo il conflitto iniziale – ossia la necessità di un intervento chirurgico di fronte a serie ristrettezze economiche – sparire magicamente nel nulla dopo pochi minuti. Sì, avete letto bene. Succede proprio così: dopo che Martino viene assunto da Gioia, ecco che nessuno sembra più porsi il problema della costosa operazione alla gamba di Caterina. Paradossalmente neanche la stessa Caterina, la quale, a sua volta, sembra semplicemente contenta di spassarsela con un impacciato fisioterapista. Tutto ciò fa pensare, di fatto, ad una grave disattenzione nel momento della stesura di una sceneggiatura già di per sé parecchio deboluccia.

mister-felicita-recensione-del-film-alessandro-siani-recensione-v6-31992-1280x16Un altro grande problema di Mister Felicità è rappresentato, inoltre, anche dalle numerose forzature create al fine di dar vita a pseudo-gag prevedibili, di dubbio gusto (come, ad esempio, la raffica di noci presso una festa di ricchi a cui Martino viene invitato insieme alla sua amica pattinatrice o il maldestro tentativo di Siani&co di introdursi all’interno di un pronto soccorso attraverso una finestra) e, soprattutto, delle quali, in generale, poco ci importa. Uno dei pochi momenti comici ben riuscito si svolge all’interno del bagno di un autogrill, quando vediamo un imbranato Martino improvvisare una sorta di “danza”, al fine di far funzionare almeno uno dei quattro lavandini automatici presenti: forti e chiari sono i rimandi alle slapstick comedies, in una scena che tutto sommato funziona bene e fa sorridere.

Circa le possibili risposte da parte del pubblico ad un film come Mister Felicità, si possono fare mille ipotesi: avranno ancora lo stesso successo di qualche anno fa film del genere, di cui esistono, ormai, infinite copie oppure anche il pubblico ha voglia di qualcosa di diverso? Solo il tempo saprà darci una risposta in merito. Circa il destino della gamba della povera Caterina, invece, non ci è dato nulla da sapere.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

RIFF 2016 – NON VOLTARTI INDIETRO di Francesco Del Grosso

1466156317815TITOLO: NON VOLTARTI INDIETRO; REGIA: Francesco Del Grosso; genere: documentario; anno: 2016; paese: Italia; durata: 75′

Presentato fuori concorso alla XV edizione del Rome Independent Film Festival, Non voltarti indietro è l’ultimo documentario di Francesco Del Grosso che, partendo dal fatto che ogni anno, in Italia, circa 1000 persone vengono arrestate a causa di errori giudiziari, ci racconta la storia di cinque innocenti – le vicende di ognuno dei quali hanno avuto epiloghi differenti – che hanno vissuto ingiustamente l’esperienza del carcere.

Si apre fin da subito come una sorta di flusso di coscienza corale, Non voltarti indietro. Le voci dei protagonisti – prima ancora che i loro volti vengano mostrati – si alternano in una sorta di cantilena, nel raccontarci come tutto è per loro iniziato, ossia quando sono stati arrestati. Ed ecco che ci troviamo da subito nel vivo della vicenda, catapultati anche noi in un mondo di cui si è sentito molto parlare, ma che non abbiamo mai avuto l’occasione di vivere in prima persona. Si parte, appunto, dal momento dei loro arresti, fino al loro arrivo in carcere, alla loro vita in cella, alla loro scarcerazione – in alcuni casi avvenuta anche dopo parecchi mesi – al loro ultimo tragitto nel corridoio della prigione per raggiungere l’uscita – senza mai voltarsi indietro! – fino ad arrivare alla loro vita dopo il carcere, con tutte le conseguenze che l’immotivato arresto ha portato dietro di sé. Il tutto viene arricchito da suggestive immagini di disegni a matita – che illustrano, di volta in volta, ciò che viene raccontato – dai volti dei protagonisti – ora frontali, ora di profilo – che, in primissimo piano, ci parlano delle loro esperienze, e da anguste riprese a 360° – con abbondante uso del grandangolo – che ci mostrano le celle, i vari ambienti del carcere e – per quanto riguarda chi dopo la galera ha visto la sua vita andare a rotoli – le minuscole abitazioni occupate dopo la scarcerazione. Spazi stretti, chiusi, bui, ma che ben presto – e solo quando a parlare è qualcuno che è riuscito a risollevarsi dopo l’esperienza dell’arresto – diventano soleggiati parchi o belvedere, in cui anche lo spettatore – finalmente – può respirare a pieni polmoni.

La macchina da presa, dal canto suo, più che messaggero o testimone, diventa vero e proprio confidente dei protagonisti del documentario e – fortemente empatica, ma mai invasiva o giudicante – riesce a farci entrare nel vivo delle vicende facendoci sentire parte delle storie raccontate. Il risultato finale è un prodotto forte, emozionante e per niente retorico. Un vero e proprio urlo di rabbia: l’urlo di coloro che hanno visto le loro vite andare a rotoli per colpa di errori che non hanno commesso e l’urlo di tutti noi, che non ci sentiamo per niente tutelati dal sistema legislativo italiano, dal momento che – qualora dovessero verificarsi eventi del genere – nessuno pagherebbe per gli sbagli commessi e – salvo un misero risarcimento – saremmo abbandonati a noi stessi come gli ultimi tra i derelitti. Rabbia e sconforto, ma anche speranza ed una vera e propria iniezione di coraggio, nel momento in cui ascoltiamo le testimonianze di chi è riuscito a superare esperienze del genere.

In poche parole, tante emozioni in pochi minuti. E un documentario decisamente riuscito, a cui, dopo la visione, si continua a tornare con la mente. Cosa, questa, che, come sappiamo, non sempre accade.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

11° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – DENIAL di Mick Jackson

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TITOLO: DENIAL; REGIA: Mick Jackson; genere: drammatico; anno: 2016; paese: USA, UK; cast: Rachel Weisz, Timothy Spall, Tom Wilkinson; durata: 110′

Presentato in Selezione Ufficiale (e prossimo all’uscita in sala) all’11° Festa del Cinema di Roma, Denial (La verità negata) è l’ultimo lungometraggio diretto da Mick Jackson.

In seguito alla pubblicazione del libro Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory – in cui più volte vengono attaccate le teorie negazioniste dell’autore britannico David Irving – la professoressa americana Deborah Lipstadt viene citata in causa da quest’ultimo con l’accusa di diffamazione. In Inghilterra, però, le cose non funzionano come negli Stati Uniti. In casi del genere, infatti, è compito del presunto colpevole dimostrare la propria innocenza. Sarà, dunque, arduo compito di Deborah – insieme ad una squadra di prestigiosi avvocati guidati da Richard Rampton – dimostrare la veridicità dell’Olocausto stesso.

Quello che inizialmente si presentava come un lungometraggio visto e rivisto, che nulla di nuovo ha da offrire al pubblico e sul quale si è puntato eccessivamente, si è dimostrato, in realtà, un prodotto di tutto rispetto, che al suo interno ha sì delle problematiche, ma che, comunque, vanta una sceneggiatura di ferro, magistralmente interpretata da un ottimo cast, all’interno del quale spicca su tutti il grande Timothy Spall, nel ruolo di David Irving, oltre, ovviamente, a Rachel Weisz nel ruolo della protagonista.

Tale sceneggiatura – affiancata da una regia e da un montaggio dinamici, che, per tutta la durata del film, riescono a mantenere ritmi costanti e pertinenti alla narrazione, senza mai cadere di tono – contribuisce a rendere il lungometraggio quasi del tutto privo di sbavature. Quasi, perché – come può facilmente capitare nel momento in cui si tratta un argomento del genere – sono presenti determinate scene in cui – complice anche una musica decisamente troppo melodrammatica ed invadente, carrellate troppo enfatizzanti e primi piani che sembrano voler indugiare un po’ troppo a lungo su ciò che viene mostrato – si ha tutta l’impressione che Jackson abbia voluto a tutti i costi arruffianarsi il pubblico, facendo leva in modo piuttosto facile e scontato sui sentimenti. C’è anche da considerare, però, che tali scelte possono rappresentare uno degli errori più comuni che si possano fare – sempre che di errori si voglia parlare – nel momento in cui vengono trattati determinati argomenti. In pratica è come trovarsi su di una mina (giusto per citare uno dei titoli recentemente apparsi in palinsesto), rischiando, anche con un minimo movimento, di provocare l’irreparabile. Peccato veniale, dunque, questo di Jackson.

Fatto sta che Denial, in fin dei conti, si è rivelato un prodotto interessante per il tema trattato – come già è stato detto – e, nel complesso, ben confezionato. Un lavoro che nel suo genere decisamente funziona, senza mai voler essere didascalico e che, quasi sicuramente, verrà apprezzato da molti.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

SPECIALE CANNES A ROMA: DOG EAT DOG di Paul Schrader

dog-eat-dog-paul-schrader-nicolas-cage-willem-dafoe-6TITOLO: DOG EAT DOG; REGIA: Paul Schrader; genere: drammatico, azione, thriller, commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Willem Dafoe, Nicholas Cage; durata: 95′

Presentato in anteprima in occasione della rassegna Cannes a Roma, Dog eat dog è l’ultima fatica di Paul Schrader – colonna portante della New Hollywood. Il lungometraggio è stato selezionato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs all’ultima edizione del Festival di Cannes.

Troy, Diesel e Mad Dog sono tre ex detenuti. Varie circostanze hanno fatto in modo che i tre diventassero amici per la pelle, una vera e propria famiglia. Una volta usciti di galera, devono trovare il modo di poter ricominciare daccapo, pur non avendo un soldo in tasca. Dopo vari, maldestri tentativi di mettere qualcosa da parte, i tre progetteranno un’estorsione. La realizzazione del loro piano, però, sarà molto più problematica del previsto.

Arclight_Dog%20Eat%20Dog_screen%20grabs.pdfSalvo per quanto riguarda poche eccezioni, Paul Schrader è quasi sempre una garanzia. Ed anche in questo suo ultimo lavoro – tratto dall’omonimo racconto di Edward Bunker – l’autore si è rivelato all’altezza delle aspettative. Ben scritto, ben interpretato (persino Nicholas Cage è stato perfettamente all’altezza del suo ruolo, incredibile!), dai ritmi giusti e con una sceneggiatura sì semplice, ma efficace per quanto riguarda ciò che si vuole comunicare, Dog eat dog vede i suoi massimi punti di forza in una regia impeccabile ed in un montaggio dinamico che fa largo uso – in modo appropriato e mai gratuito o autocompiacente – di ralenty, di fast motion e, di quando in quando, di un suggestivo e malinconico bianco e nero. Il risultato finale è una serie di scene memorabili, destinate, addirittura, a diventare quasi dei cult. Tutto ciò a partire dai primi minuti, in cui vediamo uno spaesato Willem Dafoe, che, appena uscito dal carcere, deve vedersela con una ex compagna rompiscatole ed “ingombrante” e con la figlia adolescente di lei, il cui unico problema sembra non essere altro che la mancata possibilità di cucinare dei cupcakes insieme ad un’amica. Ora, in una situazione del genere, a chiunque capiterebbe di perdere la pazienza. Cosa che capita, ovviamente, anche al nostro protagonista, il quale – in una sequenza pulp che più pulp non si può – si libera in modo decisamente poco convenzionale dei suoi “ostacoli”. E che dire della scena riguardante l’inseguimento con la polizia? Anche qui, con un montaggio libero da ogni convenzione, Schrader riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo minuto per minuto. Senza mai abbandonare, però, quella crudele ironia che ha sempre caratterizzato molte delle sue opere.

Dog-Eat-Dog-e1452220915586-620x349Ovviamente, però, tutti gli sbagli commessi dai nostri protagonisti hanno un proprio prezzo. Ed il prezzo stesso può essere caro come non mai. Così, il tema della colpa e della redenzione torna anche in questo ultimo lungometraggio, senza mai essere banale o ridondante. Emblematica, a questo proposito, la frase finale pronunciata in voice over dallo stesso Troy/Nicholas Cage: “Non si può dire che io volessi a tutti i costi giustizia. Volevo ciò che volevo. Come tutti, del resto”. Ognuno di noi, a seconda delle situazioni, è vittima o carnefice. Non vi sono buoni, non vi sono cattivi, ma siamo tutti pronti ad azzannarci a vicenda, nel momento in cui vogliamo ottenere qualcosa. Cani che mangiano altri cani.

Arclight_Dog%20Eat%20Dog_screen%20grabs.pdfCiò che viene raccontato è importante, ma come lo si racconta è – la maggior parte delle volte – determinante. E questo è anche il caso di Dog eat dog, la cui semplice trama viene dignitosamente messa in scena da una mano matura e sapiente. Una visione che – finalmente! – fa sì che al suo termine ci si senta pienamente soddisfatti ed appagati.

VOTO: 8/10

Marina Pavido