SPECIALE CANNES A ROMA: DOG EAT DOG di Paul Schrader

dog-eat-dog-paul-schrader-nicolas-cage-willem-dafoe-6TITOLO: DOG EAT DOG; REGIA: Paul Schrader; genere: drammatico, azione, thriller, commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Willem Dafoe, Nicholas Cage; durata: 95′

Presentato in anteprima in occasione della rassegna Cannes a Roma, Dog eat dog è l’ultima fatica di Paul Schrader – colonna portante della New Hollywood. Il lungometraggio è stato selezionato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs all’ultima edizione del Festival di Cannes.

Troy, Diesel e Mad Dog sono tre ex detenuti. Varie circostanze hanno fatto in modo che i tre diventassero amici per la pelle, una vera e propria famiglia. Una volta usciti di galera, devono trovare il modo di poter ricominciare daccapo, pur non avendo un soldo in tasca. Dopo vari, maldestri tentativi di mettere qualcosa da parte, i tre progetteranno un’estorsione. La realizzazione del loro piano, però, sarà molto più problematica del previsto.

Arclight_Dog%20Eat%20Dog_screen%20grabs.pdfSalvo per quanto riguarda poche eccezioni, Paul Schrader è quasi sempre una garanzia. Ed anche in questo suo ultimo lavoro – tratto dall’omonimo racconto di Edward Bunker – l’autore si è rivelato all’altezza delle aspettative. Ben scritto, ben interpretato (persino Nicholas Cage è stato perfettamente all’altezza del suo ruolo, incredibile!), dai ritmi giusti e con una sceneggiatura sì semplice, ma efficace per quanto riguarda ciò che si vuole comunicare, Dog eat dog vede i suoi massimi punti di forza in una regia impeccabile ed in un montaggio dinamico che fa largo uso – in modo appropriato e mai gratuito o autocompiacente – di ralenty, di fast motion e, di quando in quando, di un suggestivo e malinconico bianco e nero. Il risultato finale è una serie di scene memorabili, destinate, addirittura, a diventare quasi dei cult. Tutto ciò a partire dai primi minuti, in cui vediamo uno spaesato Willem Dafoe, che, appena uscito dal carcere, deve vedersela con una ex compagna rompiscatole ed “ingombrante” e con la figlia adolescente di lei, il cui unico problema sembra non essere altro che la mancata possibilità di cucinare dei cupcakes insieme ad un’amica. Ora, in una situazione del genere, a chiunque capiterebbe di perdere la pazienza. Cosa che capita, ovviamente, anche al nostro protagonista, il quale – in una sequenza pulp che più pulp non si può – si libera in modo decisamente poco convenzionale dei suoi “ostacoli”. E che dire della scena riguardante l’inseguimento con la polizia? Anche qui, con un montaggio libero da ogni convenzione, Schrader riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo minuto per minuto. Senza mai abbandonare, però, quella crudele ironia che ha sempre caratterizzato molte delle sue opere.

Dog-Eat-Dog-e1452220915586-620x349Ovviamente, però, tutti gli sbagli commessi dai nostri protagonisti hanno un proprio prezzo. Ed il prezzo stesso può essere caro come non mai. Così, il tema della colpa e della redenzione torna anche in questo ultimo lungometraggio, senza mai essere banale o ridondante. Emblematica, a questo proposito, la frase finale pronunciata in voice over dallo stesso Troy/Nicholas Cage: “Non si può dire che io volessi a tutti i costi giustizia. Volevo ciò che volevo. Come tutti, del resto”. Ognuno di noi, a seconda delle situazioni, è vittima o carnefice. Non vi sono buoni, non vi sono cattivi, ma siamo tutti pronti ad azzannarci a vicenda, nel momento in cui vogliamo ottenere qualcosa. Cani che mangiano altri cani.

Arclight_Dog%20Eat%20Dog_screen%20grabs.pdfCiò che viene raccontato è importante, ma come lo si racconta è – la maggior parte delle volte – determinante. E questo è anche il caso di Dog eat dog, la cui semplice trama viene dignitosamente messa in scena da una mano matura e sapiente. Una visione che – finalmente! – fa sì che al suo termine ci si senta pienamente soddisfatti ed appagati.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA: JOE di David Gordon Green in sala dal 16 ottobre

Nelle sale italiane dal 16 ottobre, “Joe”, di David Gordon Green, tratto dall’omonimo romanzo di Larry Brown, è uno dei lungometraggi presentati in concorso alla penultima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

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Joe (Nicholas Cage) assume il giovane Gary (Tye Sheridan) ed il padre alcolizzato nella sua squadra di lavoro per somministrare veleni agli alberi. Tra lui ed il giovane nasce subito una forte intesa e, in seguito, una profonda amicizia che porterà entrambi a crescere, affrontando insieme, allo stesso tempo, parecchie difficoltà.
Il rapporto tra il protagonista ed il ragazzino è il tema centrale dell’opera. Si tratta di un rapporto intenso e ben delineato. Quello che lascia parecchio perplessi sono gli altri personaggi presenti nel film. La figura dell’  “antagonista”, un ubriacone attaccabrighe, nello specifico, risulta poco ben delineata, piuttosto improvvisata e, di conseguenza, a tratti decisamente ridicola. A parte il rapporto tra i due protagonisti, la sceneggiatura, in generale, lascia parecchio a desiderare.
Lo stile di David Gordon Green, tutto sommato, ha una propria autorialità. Autore inizialmente indipendente, si è specializzato nel raccontare storie nel genere del “Rough South”, il sud sporco, creando queste vicende di personaggi alle prese con tutte le numerose problematiche che la vita nelle città di periferia del sud degli Stati Uniti può riservare. I primissimi piani ed il frequente uso di camera a spalla si rivelano ottime trovate per raccontare ciò che l’autore vuole comunicarci.
Particolare nota di merito per il giovane Tye Sheridan, nel ruolo di Gary, il quale, per questo film, si è aggiudicato, a Venezia, il Premio Marcello Mastroianni per un giovane attore esordiente.
VOTO: 6/10
Marina Pavido