LA RECENSIONE – THE BIG SICK di Michael Showalter

hero_Big-Sick-2017TITOLO: THE BIG SICK; REGIA: Michael Showalter; genere: commedia; paese: USA; anno: 2017; cast: Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Holly Hunter; durata: 119′

Nelle sale italiane dal 16 novembre, The big Sick è l’ultimo lungometraggio diretto da Michael Showalter.

Il lungometraggio ci racconta la storia vera tra il comico Kumail Nanjiani (qui, tra l’altro, nel ruolo di sé stesso) e sua moglie Emily V. Gordon, i quali si sono conosciuti durante uno spettacolo di lui e, con il passare del tempo, hanno dovuto farei conti con la diversità delle loro culture di origine, oltre che con la singolare malattia di lei, la quale, però, ha permesso a Kumail di capire quali fossero i suoi veri sentimenti nei confronti della ragazza stessa.

Molto più che una gradevole commedia, questa diretta da Showalter. Se ad uno script pulito sommiamo ottime trovate comiche perfettamente unite al dramma della malattia, ecco che abbiamo un prodotto piuttosto raffinato e da tenere d’occhio.

Malgrado, inoltre, la forte attualità, anche il tema della diversità di culture, così come la questione dell’11 settembre e del terrorismo non vengono mai trattati in modo retorico o buonista. Al contrario, il regista, così come lo stesso Nanjiani, che ha preso parte alla stesura della sceneggiatura, non hanno paura di osare, di scadere nel “politically scorrect”, quando necessario.

Il risultato è una commedia gradevole e ben realizzata, che per l’attenzione ai dettagli e la riuscita contaminazione di generi si è rivelata davvero una piacevole sorpresa.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

12° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – LOGAN LUCKY di Steven Soderbergh

DSC_3663.nefTITOLO: LOGAN LUCKY; REGIA: Steven Soderbergh; genere: commedia; paese: USA; anno: 2017; cast: Channing Tatum, Adam Driver, Daniel Craig, Hilary Swank; durata: 118′

Presentato in anteprima, all’interno della Selezione Ufficiale, alla 12° edizione della Festa del Cinema di Roma, Logan Lucky è l’ultimo lavoro del celebre cineasta statunitense Steven Soderbergh.

La storia raccontataci è quella di due fratelli: Jimmy e Clyde Logan. Il primo è separato, ha una figlioletta che adora ed è appena stato licenziato, mentre il secondo, in seguito alla perdita di un braccio durante una missione in Iraq, gestisce un bar. Al fine di risollevare le proprie sorti economiche, i due progettano una rapina alla Charlotte Motor Speedway, durante una corsa di auto, e, al fine di realizzare ciò, radunano un gruppo di vecchi amici (uno di loro viene addirittura aiutato ad evadere, per un solo giorno, dal carcere). Il piano sembra perfetto, gli imprevisti, tuttavia, sono sempre dietro l’angolo.

Basterebbe solo una sommaria lettura della sinossi per essere catturati fin da subito da questo ultimo lavoro di Soderbergh. Ed il bello è che, una volta entrati nel vivo della vicenda, il tutto si rivela come inizialmente auspicato: una singolare storia di una banda sgangherata ma, a suo modo, affiatata, ricca di colpi di scena, dai ritmi giusti e, soprattutto, con riuscite gag e momenti di pura ilarità. Merito di uno script inattaccabile? Indubbiamente. Eppure, come è ovvio, anche la regia – unita ad un montaggio (realizzato, come di consueto, dallo stesso Soderbergh) ed alle musiche giuste – fa sì che il prodotto non viva neanche un minuto di stanca, ma che, al contrario, veda al suo interno un vero e proprio crescendo. Particolarmente riusciti, ad esempio, la scena in cui i carcerati chiedono, in cambio del rilascio di tre guardie tenute come ostaggi, gli ultimi capitoli della saga letteraria Il Trono di Spade o il momento in cui, durante la rapina, il braccio finto di Clyde viene risucchiato da un bocchettone per l’aria. Lo stesso Soderbergh, come si può facilmente immaginare, pare si sia divertito non poco nella realizzazione di questo suo ottimo progetto e, per l’occasione, non ha esitato nemmeno ad auto-citarsi, quando in televisione si parla della rapina chiamando la banda “Ocean’s Seven-Eleven” (dal nome della nota catena di supermercati).

Un cast stellare e ben affiatato – capeggiato da Channing Tatum e da Adam Driver nel ruolo dei fratelli Lucky, insieme a Daniel Craig, Hilary Swank e Seth MacFarlane – si dimostra, inoltre, perfettamente a proprio agio nel progetto, dando vita a personaggi che potrebbero facilmente, in breve tempo, entrare a far parte dell’immaginario collettivo.

Che cos’è, dunque, questo ultimo lavoro di Steven Soderbergh? A pensarci bene, lo si potrebbe quasi definire una vera e propria corsa sulle montagne russe, dove raramente si riesce a tirare il fiato (salvo alcuni momenti di “pausa”, come quando la figlia di Jimmy canta una canzone dedicata al padre durante un concorso scolastico), ma che, al suo termine, fa sì che ci si senta pienamente soddisfatti e carichi di adrenalina. Una visione che dura quasi due ore, ma che va giù come un bicchiere d’acqua fresca. Un’esperienza consigliata a grandi e piccini. A chi lo vedrà, buon divertimento!

VOTO: 8/10

Marina Pavido

12° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – ABRACADABRA di Pablo Berger

escena-de-abracadabraTITOLO: ABRACADABRA; REGIA: Pablo Berger; genere: comico, grottesco; paese: Spagna; anno: 2017; cast: Maribel Verdù, Antonio de la Torre, José Mota; durata: 96′

Presentato in anteprima alla 12° edizione della Festa del Cinema di Roma, Abracadabra è l’ultimo lungometraggio – dopo l’interessante Blancanieves, omaggio ai fratelli Grimm ed al cinema muto – del cineasta spagnolo Pablo Berger.

Ci troviamo nella periferia di Madrid. Carmen è una casalinga frustrata, che da anni vive una crisi coniugale a causa di un marito scontroso e distratto, Carlos, il cui unico interesse è il Real Madrid. Un giorno, durante una festa di matrimonio, l’uomo viene sottoposto ad un esperimento di ipnosi da un parente che si diletta nell’esibirsi in spettacoli di magia. In seguito a tale esperimento, però, le cose prenderanno una piega inaspettata e lo spirito di un pericoloso (ma estremamente gentile e galante) serial killer vissuto trent’anni prima finirà per impossessarsi del corpo di Carlos.

Per le atmosfere, per la regia che tende sapientemente a giocare con sguardi e riflessi e, soprattutto, per la spiccata componente comica e surreale tendente decisamente al grottesco, inevitabilmente questo lavoro di Pablo Berger ci fa pensare ad un Alex de la Iglesia al massimo della forma. L’Alex de la Iglesia di Azione mutante (1993) o di Le streghe sono tornate (2013), per intenderci. E, analogamente a quest’ultimo film, anche Abracadabra tende a partire in quarta con una sfilza di gag esilaranti, per poi rientrare nei margini e portare avanti la storia raccontata usando dei toni decisamente più contenuti. Dopo le risate iniziali, infatti, ecco che, pur mantenendo una forte componente ludica, Berger sembra voler quasi dare un attimo di respiro allo spettatore, per poi sviluppare, successivamente, una storia che pian piano sembra sempre più assumere i toni del thriller. Il risultato finale – grazie ad un ribaltamento tanto interessante quanto inaspettato – è un vero e proprio manifesto dell’emancipazione femminile, che, anche nel 2017, risulta sempre attuale ed appropriato. Ovviamente, da grande cinefilo quale è, Berger, pur non avendo dato vita ad un esplicito omaggio al cinema del passato, come è avvenuto per Blancanieves, anche in questo suo ultimo lavoro non ha esitato ad attingere a piene mani da ciò che nei decenni scorsi è stato prodotto. Impossibile, ad esempio, non pensare ad Edipo relitto – fortunato cortometraggio del 1989 firmato Woody Allen e facente parte del progetto collettivo New York Stories – quando avviene l’incidente dopo l’esperimento di ipnosi, o, allo stesso modo, non si può non ricordare il grande Alfred Hitchcock, quando vediamo la macchina da presa giocare con sguardi riflessi su coltelli o con specchi collocati nei punti giusti. Il tutto, però, viene realizzato in modo assolutamente soggettivo, senza mai apparire forzato, ma risultando, al contrario, perfettamente in linea con il resto del lavoro.

Siamo d’accordo, Abracadabra, pur confermandosi un prodotto ben realizzato e ben riuscito, non riesce a reggere il confronto con un lungometraggio come Blancanieves. Ma, d’altronde, un esordio del genere può spesso rivelarsi un’arma a doppio taglio e non sempre è facile mantenersi, nel corso degli anni, sullo stesso livello. Eppure, oltre ad essere un prodotto complessivamente gradevole e ben realizzato, Abracadabra è soprattutto un’ulteriore conferma dell’eccezionale talento di Pablo Berger, il quale ha dimostrato grande abilità nel passare da un registro all’altro restando, ogni volta, perfettamente a proprio agio all’interno del progetto stesso. Cosa, questa, di certo non da tutti.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – VI PRESENTO TONI ERDMANN di Maren Ade

toni-erdmann-3-rcm0x1920uTITOLO: VI PRESENTO TONI ERDMANN; REGIA: Maren Ade; genere: commedia; anno: 2016; paese: Germania; cast: Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn; durata: 162′

Nelle sale italiane dal 23 febbraio, Vi presento Toni Erdmann, diretto dalla giovane regista tedesca Maren Ade, è attualmente candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero perla Germania, oltre ad aver vinto ben cinque Premi EFA ed il Premio FIPRESCI Critica Internazionale all’ultima edizione del Festival di Cannes.

Un padre, una figlia. Decisamente anticonvenzionale il primo, tutta dedita alla carriera la seconda. Due mondi che, con il passare del tempo, si sono allontanati sempre di più. È questa la storia di Winfried, il quale, pur di recuperare il rapporto con sua figlia Ines – diventata, per lui, ormai quasi un’estranea – e di insegnarle a prendere la vita con più leggerezza, la raggiunge per un breve periodo a Bucarest. Le cose, ovviamente, non sembrano mettersi troppo bene per il bizzarro Winfred, il quale viene sempre visto come una presenza estranea ed invadente. L’uomo, però, non si dà per vinto e, pur di trovare un modo di avvicinarsi alla figlia, inizia a spacciarsi per un diplomatico tedesco di nome Toni Erdmann, indossando una parrucca ed una vistosa dentiera. Sua figlia Ines accetta la sfida e, da quel momento, ne accadranno di tutti i colori.

peter-simonischek-ist-in-toni-erdmann-in-einer-doppelrolle-zu-sehen-als-toni-und-als-winfriedGià da una sommaria lettura della trama si può intuire che Vi presento Toni Erdmann è un vero e proprio crescendo di gag e situazioni al limite del reale. Ciò che fin da subito colpisce, però, è la singolare messa in scena adottata, la quale fa sì che ciò che vediamo sullo schermo non sia mai eccessivamente “urlato”, mai del tutto esplicito, ma, al contrario, grazie ad una regia essenziale e priva di ogni qualsivoglia orpello e, soprattutto, grazie ad una colonna sonora che prevede la quasi totale assenza delle musiche – fatta eccezione, ovviamente, per quelle prettamente diegetiche – si tratti di qualcosa di fortemente sottile, grottesco e raffinato allo stesso tempo. Basti pensare, ad esempio, alle sole espressioni di Winfried/Toni Erdmann o a situazioni al limite del reale come l’improvvisata festa per nudisti organizzata “involontariamente” da Ines. Il risultato finale ricorda, addirittura, alcune tra le migliori commedie scandinave degli ultimi anni (di Ruben Östlund e di Hans Peter Moland, ad esempio), le quali, si sa, proprio per queste loro caratteristiche “estreme”, o le si odia o le si ama. Ma tant’è.

toniOvviamente, una così accurata messa in scena degli espedienti comici presuppone anche una grande attenzione ai rapporti umani raccontati: apparentemente freddo, ma in realtà tenerissimo il rapporto tra Winfried ed Ines, si evolve in modo lineare nella sua complessità, fino ad arrivare all’agognato abbraccio finale ed al bellissimo gesto della ragazza che decide di indossare, scherzosamente, la dentiera usata dal padre per impersonare Toni Erdmann. Gli interpreti Peter SImonischek e Sandra Hüller, dal canto loro, hanno fatto di tutto per rendere sullo schermo degli ottimi protagonisti, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Winfried, vero cavallo di battaglia di tutto il lungometraggio.

Forse tutti i premi assegnati a Vi presento Toni Erdmann sono stati eccessivi? Può darsi. Il punto, però, è questo: se si pensa al lungometraggio della Ade come a qualcosa di sottile, raffinato e ben confezionato, di sicuro non si resterà delusi al termine della visione. E questa, ovviamente, non è cosa da poco.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – MISTER FELICITA’ di Alessandro Siani

1483002320-sianiTITOLO: MISTER FELICITÀ; REGIA: Alessandro Siani; genere: commedia; anno: 2016; paese: Italia; cast: Alessandro Siani, Diego Abatantuono, Carla Signoris; durata: 93′

Nelle sale italiane dal 1° gennaio, Mister Felicità è l’ultimo lungometraggio diretto ed interpretato dal comico partenopeo Alessandro Siani.

La situazione iniziale da cui prende il via tutta la vicenda è assai semplice: Martino è un giovane disoccupato napoletano che, dopo essere stato licenziato in seguito alla chiusura dell’azienda per la quale lavorava, si trasferisce in Svizzera a casa di sua sorella Caterina, la quale lavora come donna delle pulizie presso lo studio del Dottor Gioia, mental coach di successo. In seguito ad un incidente d’auto, però, Caterina resta con una gamba di tre centimetri più corta dell’altra. Per correggere tale difetto serviranno ventimila euro e, di conseguenza, a Martino non resterà che farsi assumere dal Dottor Gioia al posto di sua sorella. L’occasione per un’importante svolta economica si presenterà nel momento in cui il ragazzo avrà la possibilità di sostituirsi al proprio capo per far tornare la voglia di mettersi in gioco ad una giovane campionessa di pattinaggio sul ghiaccio, caduta in depressione dopo essere scivolata durante un’esibizione. Il resto lo si può facilmente intuire.

mister9-1000x600Eppure, tutto sommato, al di là della prevedibilità della storia in sé, questo ultimo lavoro di Siani ha dalla sua il fatto di presentarsi proprio per quello che è: una semplice commedia, con sporadici momenti riusciti al suo interno, senza troppe pretese. E, osservato da questo punto di vista, fa quasi tenerezza. Il problema è che, di fatto, vi sono non poche imperfezioni al suo interno, sia dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista stilistico. Ma andiamo per gradi.

In primo luogo, vediamo il conflitto iniziale – ossia la necessità di un intervento chirurgico di fronte a serie ristrettezze economiche – sparire magicamente nel nulla dopo pochi minuti. Sì, avete letto bene. Succede proprio così: dopo che Martino viene assunto da Gioia, ecco che nessuno sembra più porsi il problema della costosa operazione alla gamba di Caterina. Paradossalmente neanche la stessa Caterina, la quale, a sua volta, sembra semplicemente contenta di spassarsela con un impacciato fisioterapista. Tutto ciò fa pensare, di fatto, ad una grave disattenzione nel momento della stesura di una sceneggiatura già di per sé parecchio deboluccia.

mister-felicita-recensione-del-film-alessandro-siani-recensione-v6-31992-1280x16Un altro grande problema di Mister Felicità è rappresentato, inoltre, anche dalle numerose forzature create al fine di dar vita a pseudo-gag prevedibili, di dubbio gusto (come, ad esempio, la raffica di noci presso una festa di ricchi a cui Martino viene invitato insieme alla sua amica pattinatrice o il maldestro tentativo di Siani&co di introdursi all’interno di un pronto soccorso attraverso una finestra) e, soprattutto, delle quali, in generale, poco ci importa. Uno dei pochi momenti comici ben riuscito si svolge all’interno del bagno di un autogrill, quando vediamo un imbranato Martino improvvisare una sorta di “danza”, al fine di far funzionare almeno uno dei quattro lavandini automatici presenti: forti e chiari sono i rimandi alle slapstick comedies, in una scena che tutto sommato funziona bene e fa sorridere.

Circa le possibili risposte da parte del pubblico ad un film come Mister Felicità, si possono fare mille ipotesi: avranno ancora lo stesso successo di qualche anno fa film del genere, di cui esistono, ormai, infinite copie oppure anche il pubblico ha voglia di qualcosa di diverso? Solo il tempo saprà darci una risposta in merito. Circa il destino della gamba della povera Caterina, invece, non ci è dato nulla da sapere.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – IL GGG di Steven Spielberg

gggTITOLO: IL GGG; REGIA: Steven Spielberg; genere: animazione, fantasy; anno: 2016; paese: USA; cast: Mark Rylance, Rebecca Hall, Ruby Barnhill; durata: 110′

Nelle sale italiane da 30 dicembre, Il GGG è l’atteso lungometraggio diretto da Steven Spielberg tratto dall’omonimo romanzo per ragazzi di Roald Dahl.

Sophie ha dieci anni e vive in un orfanotrofio di Londra. Una notte una misteriosa creatura va a farle visita: si tratta di un gigante buono proveniente dalla Terra dei Giganti che, essendo stato notato dalla ragazzina, decide di rapirla affinché nessuno venga a conoscenza della sua esistenza.

ilggg-e1449670628617Che dire? Per quanto riguarda la maestria di Spielberg, ormai non vi è più nulla da dover dimostrare. Se ad essa aggiungiamo una storia d’effetto come quella inizialmente ideata da Dahl (e magistralmente adattata per il grande schermo dalla grande Melissa Mathison, purtroppo recentemente scomparsa), insieme alle sempre giuste musiche del maestro John Williams, a scenografie ben dettagliate e ad un cast di tutto rispetto dove tra tutti si distingue il bravo Mark Rylance (già apprezzato – e pluripremiato – ne Il ponte delle spie, sempre per la regia di Spielberg), oltre a Rebecca Hall, Penelope Wilton e Rafe Spall, ecco che otteniamo un lungometraggio che di certo farà impazzire grandi e piccini, destinato a diventare un grande classico del periodo natalizio. Una favola senza tempo che diverte e fa riflettere e che -perché no? – insegnerà a tutti, in qualche modo, a “diventare grandi”.

7cd734caa9La riuscita commistione tra computer grafica e live action, unita ad una regia che ben sa gestire i tempi narrativi e l’alternarsi di momenti di riflessione con scene di vera e propria adrenalina fa sì che questo ultimo lungometraggio di Spielberg – pur non essendo al medesimo livello di suoi precedenti capolavori – abbia una certa, ben definita identità e possa essere annoverato tra le migliori trasposizioni dei classici per ragazzi, tra cui non possiamo non menzionare il Canto di Natale di Dickens (in particolare la versione Disney) ed Oliver Twist (sia il più recente – diretto da Polanski – che il classico di David Lean, con un indimenticabile Alec Guinness).

Ultima considerazione: le numerose gag ambientate all’interno di Buckingham Palace sono davvero irresistibili!

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – POVERI MA RICCHI di Fausto Brizzi

Poveri ma ricchiTITOLO: POVERI MA RICCHI; REGIA: Fausto Brizzi; genere: commedia, comico; anno: 2016; paese: Italia; cast: Christian De Sica, Enrico Brignano, Anna Mazzamauro; durata: 97′

Nelle sale italiane dal 15 dicembre, Poveri ma ricchi è l’ultimo lungometraggio diretto da Fausto Brizzi, remake del francese Les Tuche (2011), perla regia di Olivier Baroux.

Ci troviamo, innanzitutto, in un piccolo paesino sulla Prenestina, appena fuori dalla Capitale. La famiglia Tucci, mai stata particolarmente abbiente, vince inaspettatamente cento milioni di euro al superenalotto. Malgrado le iniziali intenzioni di tenere la cosa segreta in paese, presto si viene a conoscenza dell’identità dei fortunati vincitori e, di conseguenza, la famiglia intera – a causa delle insistenti richieste di aiuti economici da parte di amici e parenti – sarà costretta a lasciare la propria casa per trasferirsi nella città che registra il più alto reddito pro capite in Italia: Milano.

pmr-1Sarà per la scelta di far interpretare ad alcuni attori del cast personaggi a cui normalmente non si sono mai rapportati, sarà per l’idea di far ridere evitando la volgarità, sarà per la giusta gestione dei tempi comici, sarà per l’impiego, in sceneggiatura, di trovate più che indovinate, sarà (e questa è una cosa che potrebbero pensare i più “malignetti”) che il film stesso è tratto da una commedia che poco ha a che vedere con i cinepanettoni nostrani, ma Poveri ma ricchi si presenta in linea di massima come un lungometraggio onesto e ben riuscito, nel suo genere.

Convincente è un Christian De Sica nei panni di un lavoratore “burino” e di gran cuore, azzeccata la brava Anna Mazzamauro nel ruolo della nonna appassionata di fiction televisive ed innamorata di Gabriel Garko. Il vero pezzo forte di questo lungometraggio di Brizzi, però, è la comparsata di Al Bano nel ruolo di sé stesso e le conseguenti gag che ne vengono fuori: trovate fuori dagli schemi della comicità standard “da cinepanettone” che, in questo contesto, funzionano piuttosto bene.

poveri-ma-ricchi-bill-gates-clip-dal-film-youtubeIl problema principale di Poveri ma ricchi è, in realtà, un altro: per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi stessi, troppo repentini sono i cambiamenti interiori (in particolare per quanto riguarda il personaggio interpretato da De Sica) per poter essere credibili. Così come ripetitivi appaiono i contrasti tra nord e sud Italia qui messi in scena. Ripetitivi e, ormai, troppo inflazionati all’interno delle grandi produzioni cinematografiche italiane. Detto questo, però, questo ultimo lavoro di Brizzi resta comunque un prodotto che, in un certo senso, sorprende. E, proprio per la sua onestà, merita una priorità di visione rispetto ad altri cinepanettoni, nel caso in cui si desiderasse fruire esclusivamente di un certo tipo di cinema.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – UN NATALE AL SUD di Federico Marsicano

un-natale-al-sudTITOLO: UN NATALE AL SUD; REGIA: Federico Marsicano; genere: commedia; anno: 2016; paese: Italia; cast: Massimo Boldi, Biagio Izzo, Anna Tatangelo, Paolo Conticini; durata: 90′

Nelle sale italiane dal 1° dicembre, Un Natale al Sud è l’ultimo lungometraggio diretto da Federico Marsicano, interpretato da Massimo Boldi, Biagio Izzo, Anna Tatangelo e Paolo Conticini.

La storia è sempre la stessa: Peppino – carabiniere milanese – ed Ambrogio – fioraio napoletano – si recano insieme alle rispettive mogli nella stessa località turistica per festeggiare il Natale. Neanche a farlo apposta, però, i figli delle due coppie hanno scelto lo stesso villaggio per trascorrere le feste. Qui, i ragazzi dovrebbero incontrare per la prima volta le rispettive fidanzate, conosciute solo virtualmente. Tra gag ed equivoci di ogni genere, tutti, alla fine, avranno modo di capire quali siano i valori davvero importanti nella vita.

un-natale-al-sud-08-1150x748Fatta eccezione per la location, per le feste natalizie imminenti, per l’importante ruolo svolto – nello script – dal mondo del web, degli smartphones e delle chat e per qualche new entry all’interno del cast, questo è un film più e più volte riproposto, in cui i personaggi – così come le scelte registiche adottate – sono sempre gli stessi: genitori che non si rassegnano al fatto di non essere più dei ragazzini, figli adolescenti molto più maturi dei loro stessi padri, una famiglia del nord costretta a “convivere” con una famiglia del sud, l’inevitabile “scontro” tra i due capifamiglia e la solida amicizia tra le di loro mogli. Il tutto condito da una serie di gag viste e riviste – e, diciamolo pure, spesso e volentieri anche decisamente volgari – oltre a un poco velato product placement (in questo caso vediamo un Paolo Conticini pronunciare il nome del prodotto sponsorizzato guardando direttamente in macchina, ad esempio) che mal si colloca all’interno di una sceneggiatura che già di per sé non si distingue per qualità e che, al contrario, viene sottolineato da una regia più adatta ad una fiction televisiva che poco spazio lascia alla libera interpretazione e che, proprio con l’intento di voler mostrare tutto a tutti i costi, dà vita a immagini “finte” ed a personaggi eccessivamente affettati nei movimenti, tanto da sembrare artificiosi oltre ogni limite e decisamente poco credibili.

un-natale-al-sud-43-1150x748Con questo non vogliamo certo sminuire il lavoro degli interpreti e del regista stesso (che di sicuro in altri contesti avrebbe dato il meglio di sé). Il problema è alla base. Va benissimo produrre un certo tipo di cinema – in fondo ognuno ha il diritto di vivere la Settima Arte come meglio crede – ma quando tali prodotti tendono a monopolizzare la maggior parte delle sale cinematografiche a scapito di altri, allora la faccenda si fa grave. E ce ne rendiamo conto quando vediamo che, per la maggior parte delle persone, oggi il cinema è proprio questo – cosa, ovviamente, assolutamente inconcepibile qualche decennio fa, ossia prima dell’inizio del lungo processo di appiattimento delle menti che, al giorno d’oggi, sembra finalmente essere riuscito nel proprio intento.

C’è speranza, in qualche modo, di risalire dal baratro in cui siamo precipitati? La cosa sembra, ora come ora, piuttosto difficile. Triste ma vero.

VOTO: 3/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – LA CENA DI NATALE di Marco Ponti

1469625097218TITOLO: LA CENA DI NATALE; REGIA: Marco Ponti; genere: commedia; anno: 2016; paese: Italia; cast: Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Michele Placido, Maria Pia Calzone; durata: 95′

Nelle sale italiane dal 24 novembre, La cena di Natale è il sequel di Io che amo solo te. Entrambi i lungometraggi sono diretti da Marco Ponti e sono tratti dagli omonimi romanzi di Luca Bianchini.

Polignano a mare, Vigilia di Natale. Chiara è incinta di otto mesi del suo compagno Damiano, che, a quanto pare, non ha mai smesso di correre dietro alle altre donne. Ninella, madre di Chiara, riceve la proposta da parte di Don Mimì – il suo grande amore di gioventù, nonché padre di Damiano – di scappare insieme a Parigi. Orlando, fratello di Damiano, è un brillante avvocato gay che sta cercando di mettere incinta la sua migliore amica lesbica Daniela e che, allo stesso tempo, viene corteggiato da Mario, suo amico di infanzia. Tutti i protagonisti della pellicola si ritroveranno insieme durante la cena della Vigilia, dal momento che Matilde, madre di Damiano, ha voluto invitare tutti a casa sua per far sfoggio dell’ultimo regalo di suo marito: un prezioso anello di smeraldo. Durante la cena, però, ne succederanno di tutti i colori e molti nodi verranno al pettine.

download-4Bene, già dalla trama si ha una vaga quanto irritante sensazione di déjà vu. E infatti, La cena di Natale non racconta alla fin fine nulla di nuovo. Ma questo, forse, è il male minore di tutti. Volendo sorvolare tutte le banalità e gli imbarazzanti luoghi comuni del film, vediamo, all’interno di una location che senza dubbio è di una bellezza quasi ipnotica, un cast ben nutrito e con interpreti capaci, ma evidentemente non proprio a loro agio nei panni dei personaggi loro assegnati e costretti a pronunciare battute piatte e scontate, dal dubbio effetto comico. Ne è un esempio particolarmente lampante, a questo proposito, il personaggio di Daniela – interpretato da una convincente Eva Riccobono – che di per sé suscita anche simpatia, ma viene caricato a tal punto da risultare alla fine eccessivamente costruito e poco credibile, quasi una sorta di macchietta. Anche gli espedienti comici – che risultano, nel contesto, fortemente prevedibili, oltre che già visti e rivisti – uniti ad una trama debole e quasi inconsistente, fanno sì che il pubblico non veda l’ora di arrivare, finalmente, ai titoli di coda, dove, tra l’altro, leggendo la dedica al compianto Bud Spencer, ci si emozione più che durante tutto il lungometraggio.

la_cena_di_natale_clip_esclusiva-660x350Piatto e banale nella sua realizzazione, La cena di Natale, però, è particolarmente urticante proprio per il fatto di essersi dimostrato, in sostanza, un film ipocrita e buonista. Perché declamare a gran voce quanto sia bello l’amore tra persone dello stesso sesso e quanto sia lodevole il desiderio di diventare genitori in una coppia omosessuale (cose indubbiamente condivisibili), quando poi – viste le scelte di sceneggiatura in chiusura del lungometraggio – si trasmette il sottotesto che, al di là di bugie e tradimenti, la cosa importante è che la famiglia rimanga a tutti i costi unita agli occhi della gente (basti pensare ai personaggi di Don Mimì e Ninella che – perdonate lo spoiler – alla fine scelgono di buon grado e senza sofferenza alcuna di continuare le proprie vite ricche di menzogne e bugie)? In poche parole, si strizza l’occhio al tema scottante del momento – al fine di accattivarsi le simpatie del pubblico – trasmettendo, però, alla fine della fiera, il solito messaggio bigotto e conservatore.

Ora, gentili signori del pubblico, in luce dell’analisi appena fatta, proprio perché a Natale siamo tutti più buoni, cerchiamo anche di volerci davvero bene ed evitiamo di spendere soldi per un prodotto del genere, scegliendo, invece, qualcosa di più stimolante e gratificante. Facciamoci questo regalo. Tanto, in ogni caso, chi decide di produrre film del genere non farà mai la fame, visto che, a quanto pare, un sostanzioso numero di spettatori sarà di certo impaziente di vedere l’ennesimo cinepanettone di turno. Questo è poco ma sicuro.

VOTO: 3/10

Marina Pavido