VENEZIA 74 – MARVIN di Anne Fontaine

0Y1A8539TITOLO: MARVIN; REGIA: Anne Fontaine; genere: drammatico; paese: Francia; anno: 2017; cast: Finnegan Oldfield, Jules Porier, Isabelle Huppert; durata: 115′

Presentato in concorso nella sezione Orizzonti alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Marvin è l’ultimo lavoro della regista lussemburghese, ma francese di adozione, Anne Fontaine.

La storia raccontata è quella del giovane Marvin Bijoux, il quale abita con la sua famiglia in un paesino di provincia e, maltrattato dai compagni di classe che già sospettano la sua omosessualità, riesce ad accettarsi e a ritrovare sé stesso soltanto dopo aver iniziato un corso di teatro, spinto da un’illuminata insegnante. Una volta finite le scuole, il ragazzo continuerà a dedicarsi al teatro ed assumerà il nome d’arte di Martin Clément.

Due nomi, due vite diverse, la stessa persona. E, pertanto, seguendo passo passo il protagonista, la regista Anne Fontaine ha deciso di sviluppare il film stesso su due livelli: da un lato vediamo il bambino – Marvin, interpretato dall’enfant prodige Jules Porier – e tutte le difficoltà legate alla sua età; dall’altro vediamo il ragazzo – diventato nel frattempo Martin – ormai consapevole di sé stesso che, nel rielaborare i suoi difficili anni passati, si accinge a scrivere la sua prima pièce teatrale.

La soluzione adottata, seppur non semplicissima da portare avanti, inizialmente pare funzionare: le due storie scorrono e si sviluppano in parallelo senza particolari intoppi, riuscendo ad incastrarsi alla perfezione l’una con l’altra e sviluppando entrambi i personaggi – Marvin e Martin – in modo soddisfacente, evitando ogni pericoloso cliché. Fino ad arrivare al momento in cui Martin riesce finalmente a riconciliarsi con il proprio padre. Se il lungometraggio fosse finito qui, sarebbe stato un prodotto di tutto rispetto. E invece no, la storia viene tirata per le lunghe fino allo stremo, senza una reale necessità, facendo sì che tutto il lavoro perda di mordente. Peccato, soprattutto perché, in genere, una regista come Anne Fontaine è sempre riuscita a mettere in scena in modo decisamente dignitoso situazioni non facili da sviluppare (basti anche solo pensare all’interessante Agnus Dei, probabilmente uno dei suoi lavori migliori). Eppure, qui, a quanto pare, ha voluto strafare. Che sia proprio Venezia a fare questo effetto ai registi? A giudicare da molti altri autori che, nel contesto lidense, pare siano affetti da pericolosa megalomania, pare proprio di sì.

Cosa portiamo, dunque, a casa, dopo la visione di Marvin? Di sicuro, la suggestiva immagine del teatro – e dell’arte, in generale – come strumento salvifico, unica ancora di salvezza in un mondo dove se non si è tutti uguali, si viene inevitabilmente tagliati fuori. Di notevole impatto anche la scena in cui il giovane Marvin viene accompagnato da suo padre in stazione, al fine di trasferirsi in un’altra città per proseguire gli studi: emozionante il momento in cui il ragazzino, sorridente per le goffe dimostrazioni di affetto del rude genitore, non si accorge che quest’ultimo lo sta ancora guardando prima che il treno si metta in moto. Non basta questo, però, a salvare un intero lavoro. Nemmeno lo pseudo-cameo di un’interprete del calibro di Isabelle Huppert, qui nel ruolo di sé stessa. Quest’ultima trovata, al contrario, risulta come una vera e propria forzatura.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – CATTIVISSIMO ME 3 di Pierre Coffin e Kyle Balda

despicablemeTITOLO: CATTIVISSIMO ME 3; REGIA: Pierre Coffin, Kyle Balda; genere: animazione; paese: USA, Francia; anno: 2017; durata: 98′

Nelle sale italiane dal 24 agosto, Cattivissimo me 3 è l’ultimo (per ora) capitolo della fortunata saga di animazione iniziata nel 2010 con Cattivissimo me, a cui sono seguiti Cattivissimo me 2 (2013) e lo spin-off Minions (2015). Anche in occasione di questo ultimo capitolo, la regia è stata affidata al francese Pierre Coffin – a lui, tra l’altro, il compito di doppiare i simpatici minions – mentre il suo braccio destro Chris Renaud è stato sostituito da Kyle Balda.

A distanza di ben quattro anni dall’ultimo capitolo, ritroviamo, come sempre l’ex cattivissimo Gru, felicemente sposato con la simpatica spia Lucy e papà realizzato delle tre orfanelle – Margot, Edith e Agnes – adottate nel primo film. Il capo della Lega Anti Cattivi, Silas Caprachiappa, è ormai andato in pensione e la nuova direttrice non ci metterà molto a licenziare, senza tanti complimenti, Gru e Lucy, dopo che entrambi hanno fallito la loro ultima missione, che consisteva nel catturare un nuovo, pericoloso criminale: Balthasar Bratt, ex bambino prodigio degli anni ’80 intenzionato a radere al suolo Hollywood, che, a distanza di anni, sembra averlo del tutto dimenticato. Le novità, però, non finiscono qui: ormai senza lavoro, Gru riceve, un giorno, una lettera inaspettata che lo informa circa l’esistenza di un suo fratello gemello – Dru – intenzionato a conoscerlo ed a riallacciare i rapporti. A cosa porterà la nascita di questo nuovo legame?

downloadRicco di spunti l’incipit, perfettamente all’altezza degli altri film – se non, per certi versi, addirittura più interessante – il resto del lungometraggio, Cattivissimo me 3, rispetto ad altre fortunate saghe di animazione che, man mano che si è andati avanti con i capitoli, hanno perso di mordente – come, ad esempio, la saga di Madagascar o di Kung fu Panda – si classifica come un prodotto ricco di interessanti riflessioni sul passato, sul presente, sulla società del consumismo e, non per ultimo, su Hollywood e sul mondo del cinema e dello star system in generale.

A tal proposito, la figura del cattivo Balthasar Bratt è emblematica: ex bambino prodigio, amante delle gomme da masticare – diventate, in seguito, la sua arma più terribile – e di Michael Jackson, di cui imita alla perfezione il look e le movenze, il criminale sta a rappresentare un passato che sembra ormai dimenticato da una “società dell’usa e getta”, la società dei fast food, degli speed date e di tutto ciò che non richieda troppo tempo e dedizione e che possa essere facilmente sostituito ogni volta da qualcosa di “nuovo”. Ed Hollywood stessa, in questo caso, non ne esce del tutto pulita, in quanto artefice della rovina dello stesso Bratt, così come di molti altri divi del passato.

cattivissimo-me-3-trailer-italiano-1280x720Alla luce di tali riflessioni, però, c’è qualcosa che, sebbene nato nei nostri giorni, sembra essere destinato, in un modo o nell’altro, a “passare alla storia”? Sembra proprio di sì. E sono proprio i minions il fortunato cavallo di battaglia di tutta la saga, che – piccoli, gialli e spassosi, pensati come una grade e chiassosa scolaresca di soli alunni maschi – fin dal primo Cattivissimo me hanno saputo conquistare grandi e piccini, al punto di diventare delle vere e proprie icone, spingendo la Universal a produrre uno spin-off a loro dedicato prima ancora di finire la saga. Senza contare che la Illumination Mac Guff, dove i simpatici esserini gialli hanno visto la luce, da grande sconosciuta qual era prima, adesso è diventata grazie a loro uno dei più acclamati studi di animazione. D’altronde, come non affezionarsi e divertirsi con questi simpatici personaggi?

Al termine della visione di Cattivissimo me 3, non possiamo affermare con esattezza se questo sia o meno l’ultimo capitolo della saga, dal momento che il finale è stato volutamente lasciato in sospeso. Eppure ci auguriamo soltanto che la Universal stessa trovi sempre la chiave giusta per portare avanti la storia di Gru, dei minions, delle bambine e di tutti i personaggi a cui noi tutti siamo affezionati. Chissà come ne sarebbe contento Stefano – cugino della sottoscritta – a cui è dedicato questo articolo!

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – MAL DI PIETRE di Nicole Garcia

31899d233c50b5de28de22c79caa3a2bTITOLO: MAL DI PIETRE; REGIA: Nicole Garcia; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Francia; cast: Marion Cotillard, Alex Brendemühl, Louis Garrel; durata: 120′

Nelle sale italiane dal 13 aprile, Mal di pietre è l’ultimo lungometraggio della regista ed attrice francese Nicole Garcia, tratto dall’omonimo romanzo di Milena Agus e presentato in concorso al Festival di Cannes 2016.

Gabrielle non è una persona semplice. Nata e cresciuta in un piccolo paesino nella Francia degli anni Cinquanta, ben poco sembra adattarsi al contesto in cui vive, alle tradizioni ed alla mentalità eccessivamente chiusa e provinciale dei suoi compaesani. È, al contrario, una donna libera, appassionata, fortemente bisognosa d’amore ed estremamente fragile. Talmente fragile da soffrire di “mal di pietre”, con tanto di dolorosi crampi addominali. Un male, il suo, del tutto psicosomatico, che soltanto curando mente e spirito potrà essere sconfitto. Per quanto riguarda la mente, però, i problemi sono ben altri, dal momento che proprio per questo suo modo di “urlare” i suoi bisogni affettivi, Gabrielle è, a detta di tutti, famigliari compresi, completamente pazza. Solo suo marito, sposato più per il desiderio di fuggire da quell’ambiente angusto ed ostile che per amore, sembra riuscire a “leggere tra le righe”, a capire quella persona così complessa e così ostinata che vive al suo fianco.

e5955d112404ae80cf599bd26814d7bcUn personaggio dalle mille sfaccettature, dunque, quello di Gabrielle. Un personaggio che viene reso magnificamente sullo schermo dalla bravissima Marion Cotillard (lei, si sa, può davvero tutto), ma a cui non viene reso giustizia dal punto di vista dello script in sé: quel che emerge della protagonista è solo la “punta dell’iceberg”. Nulla ci viene detto del suo passato, ben poco vengono approfonditi i legami con José – suo marito – ed André, il suo amante. Personaggi, anch’essi, di grande interesse e complessità (soprattutto per quanto riguarda José), ma che vengono qui sviluppati in modo eccessivamente raffazzonato e frettoloso. Il tentativo di narrare per immagini i tormenti interiori di ognuno di essi risulta, dunque, carente di una necessaria e più profonda introspezione, così come il buon Ingmar Bergman ci ha insegnato. Ma, si sa, non è affatto facile rifare Ingmar Bergman.

b51fc840866fe797501dd57f87f3bce7Ben poco, quindi, possono suggestive inquadrature di panorami mozzafiato o fedeli ricostruzioni di ambienti d’epoca. Il grande problema di Mal di pietre – oltre alla musica eccessivamente presente, smielata e quasi patetica – è proprio lo script. Uno script che, pur mantenendo di base la storia originale, ha voluto “spiccare il volo”, assumere una propria identità perdendo, però, il controllo della situazione e dando vita a qualcosa di banale ed inconsistente, malgrado le iniziali potenzialità. Uno script a cui si perdonano, tuttavia, soltanto i velati riferimenti/omaggi al cinema ed alle sue origini (vedi la cittadina di La Ciotat, dove vivono Gabrielle e José, ma anche la loro permanenza a Lione – città dei fratelli Lumière – presso l’hotel Langlois – proprio come il caro vecchio Henri Langlois!). Ma, si sa, tutto questo non è abbastanza. Ed ecco che anche Mal di pietre si andrà ben presto ad unire ai numerosi prodotti passati in sala e finiti quasi subito nel dimenticatoio. Triste, ma purtroppo molto, molto probabile.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

EVENTO SPECIALE: IL VIAGGIO DI FANNY di Lola Doillon

fannys-journey-460x230TITOLO: IL VIAGGIO DI FANNY; REGIA: Lola Doillon; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Francia; cast: Cécile De France, Léonie Souchaud, Fantine Harduin; durata: 94′

Nelle sale italiane esclusivamente il 26 e 27 gennaio-in occasione della Giornata della MemoriaIl viaggio di Fanny è l’ultimo lungometraggio diretto dalla regista francese Lola Doillon, ispirato ad una storia vera.

La tredicenne Fanny viene lasciata dai genitori – insieme alle due sorelline più piccole – in una colonia, dove alcuni insegnanti si occupano di proteggere dai nazisti i bambini ebrei. Le cose cambiano quando le SS scoprono l’attività segreta della colonia. A quel punto, a Fanny, alle sue sorelline e ad i nuovi amici, non resterà che intraprendere un lungo e pericoloso cammino al fine di raggiungere il confine svizzero.

il-viaggio-di-fanny-immagine-dal-set-con-il-gruppo-di-bambini-protagonisti-e-madame-forman-maxw-1280Interessante operazione, quella compiuta dalla Francia,la quale, a differenza della Germania, di rado ha trattato un tema come quello dell’olocausto. Eppure Il viaggio di Fanny ha dalla sua innanzitutto il merito di raccontarci qualcosa di sconosciuto ai più,ossia l’esistenza di case-famiglia disposte ad occuparsi dei figli di genitori ebrei al fine di salvarli dai nazisti. Visto da un punto di vista prettamente divulgativo, dunque, questo ultimo lungometraggio della Doillon si rivela alquanto interessante.

I principali problemi, in realtà, sono altri. E riguardano la realizzazione del lungometraggio in sé: eccessivamente invadente, di fatto, è la musica presente, la quale fa in modo che l’intero prodotto somigli quasi ad un lavoro pensato per la tv. Stesso discorso va fatto per lo script in sé: dialoghi troppo espliciti tendono a doppiare le immagini e non poche forzature rendono il tutto poco credibile (nonostante, appunto, si tratti di una storia vera).

fannys-journey-01-460x230Discorso a parte va fatto sui bambini protagonisti: i giovani attori hanno sì parecchie potenzialità, ma tuttavia risultano a volte eccessivamente ingessati, protagonista compresa. Peccato. Soprattutto perché la storia in sé è davvero molto promettente e ricca di spunti. Chissà se qualcun altro deciderà di raccontarla nuovamente a modo proprio. Staremo a vedere! Nel frattempo, Il viaggio di Fanny, in sala in occasione della Giornata della Memoria, è senza dubbio un altro importante documento di una delle più grandi disgrazie del secolo scorso.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

RIFF 2016 – WOMEN AGAINST ISIS di Pascale Bourgaux

_Viyan_2-®Cineteve2015TITOLO: WOMEN AGAINST ISIS; REGIA: Pascale Bourgaux; genere: documentario; anno: 2016; paese: Francia; durata: 53′

Presentato in anteprima alla XV edizione del Rome Independent Film Festival, Women against Isis è l’ultimo lavoro della documentarista e giornalista francese Pascale Bourgaux, che, qui, ci racconta come alcune donne abbiano deciso di arruolarsi nell’esercito curdo per difendere il proprio paese dai jihadisti.

Tante donne, tante storie, tanti volti con i segni di chi – ormai – nella vita ha visto davvero di tutto: è questo che ci mostra l’ultimo lavoro della Bourgaux. Le donne qui raccontate, ognuna con un passato differente alle spalle, si allenano duramente e combattono ogni giorno per contrastare una delle più grandi minacce dei giorni nostri. Quello che ci viene mostrato è la loro quotidianità fatta di momenti di calma – quando si attende l’arrivo del nemico semplicemente scrutando l’orizzonte – di momenti di duro addestramento e, infine, di momenti di vero e proprio combattimento, dove il rischio di perdere la vita si fa ben alto per le nostre protagoniste. E poi, ognuna di loro non manca di raccontarsi davanti alla macchina da presa: c’è chi è dovuta scappare di casa ed arruolarsi di nascosto dalla propria famiglia, come anche chi, al contrario, ha sempre avuto dalla sua il supporto dei suoi famigliari. Tutte quante, però, hanno in comune un destino simile: l’impossibilità – vista la scelta effettuata – di sposarsi, di avere dei bambini o relazioni di qualsiasi genere, per una vita dedicata esclusivamente all’esercito. Ma, malgrado le mille difficoltà, ciò che in ognuna di loro colpisce è proprio la serenità con cui viene affrontata la vita, atteggiamento tipico di chi non ha rimpianti e sa di aver fatto la scelta giusta.

Ovviamente, nonostante la dura vita dell’esercito, non mancano momenti di gioia e di condivisione, come ad esempio, quando le ragazze ricevono la visita di alcuni bambini, quando – prima di andare a dormire – possono condividere momenti di scherzi e confidenze con le proprie amiche o quando, sempre durante gli allenamenti, si dedicano a particolari danze e canti – finalizzati a far allontanare il nemico, il quale è costretto a scappare all’idea di venire ucciso da una donna.

Davanti a storie come queste, è molto facile che la macchina da presa si limiti ad interpretare il ruolo del testimone silente. A poco servirebbero particolari virtuosismi registici: il forte impatto con il pubblico avviene già da sé. E poco male se, alla qualità artistica, sia stata preferita la storia raccontata: considerando che Pascale Bourgaux lavora principalmente come giornalista, le scelte registiche adottate – di taglio prettamente televisivo – erano in ogni caso fortemente prevedibili.

Resta il fatto che Women against Isis è un importante documento che ci mostra una realtà insolita ed estremamente interessante, ma sconosciuta ai più. E che solo per questo motivo meriterebbe grande attenzione da parte degli illuminati distributori. Staremo a vedere quale sarà il suo destino.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

EVENTO SPECIALE – HOSTILE di Nathan Ambrosioni

Cinema : HOSTILETITOLO: HOSTILE; REGIA: Nathan Ambrosioni; genere: horror; anno: 2016; paese: Francia; cast: Shelley Ward, Julie Venturelli, Luna Belan; durata: 90′

Nelle sale italiane dal 31 ottobre al 2 novembre, Hostile è l’opera prima del giovanissimo regista francese Nathan Ambrosioni.

Anna ed Emilie sono due giovani sorelle orfane che vengono adottate dalla benestante Meredith Langston. Inizialmente tutto sembra andare per il meglio, ma, dopo pochi giorni, le tre donne iniziano a vedere una misteriosa presenza in casa. Le ragazze sembrano stare al gioco e Meredith, spaventata dai loro comportamenti decide di chiedere aiuto a S. O. S. Adoption, un programma TV che segue i bambini durante il periodo di adattamento presso le famiglie adottive.

Fin da subito notiamo che Hostile è, prima di tutto, un film citazionista. Molti, infatti, sono i riferimenti a pellicole come The Blair Witch Project (per quanto riguarda l’uso frequente di camera a mano e riprese amatoriali), The conjuring (la coppia di coniugi esperti del paranormale) e L’esorcista (per quanto riguarda il tema delle possessioni demoniache). Eppure, nonostante la giovanissima età del regista (solo 14 anni), il lungometraggio in questione una propria identità ce l’ha eccome.

hostile_movie_nathan_ambrosioni_french_horror_filmcourage_1Certo, è chiaro che non poche sono le imperfezioni all’interno del prodotto: una maldestra direzione attoriale, personaggi che vengono abbandonati a sé stessi (in particolare i due reporter televisivi), o anche situazioni poco credibili (sembra strano, infatti, che due reporter debbano addirittura trasferirsi a casa delle famiglie da loro seguite o che ad occuparsi di fenomeni paranormali siano due psicologi). Nonostante tutto, però, il giovane Nathan Ambrosioni ha senza dubbio dimostrato di avere carattere, oltre ad un grande amore per la Settima Arte. Le suddette imperfezioni, d’altronde, sono senz’altro frutto di poca esperienza in materia, quindi del tutto naturali e prevedibili. Qualche maligno potrebbe addirittura affermare che – nonostante, appunto, la giovane età e nonostante il fatto che Hostile sie un’opera prima – Ambrosioni è riuscito nella sua impresa molto meglio di chi fa questo lavoro da anni. Ma, ovviamente, non vogliamo, in questo contesto, aprire eventuali dibattiti in merito.

Come già è stato detto, Hostile si presenta come un piccolo ma sentito film, come un’operazione cinefila ed onesta, che non può che far sperare in interessanti lavori futuri dello stesso Ambrosioni. Per il momento, però, non resta che approfittare di questi pochi giorni per entrare appieno nell’atmosfera di Halloween.

VOTO. 6/10

Marina Pavido

11° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – LOUISE EN HIVER di Jean-François Laguionie

tumblr_o8amyndlfa1rb1rgoo10_1280TITOLO: LOUISE EN HIVER; REGIA: Jean-François Laguionie; genere: animazione; anno: 2016; paese: Francia, Canada; cast: Dominique Frot; durata: 75′

Presentato all’interno della Selezione Ufficiale – in collaborazione con Alice nella Città – all’11° Festa del Cinema di Roma, Louise en Hiver è l’ultimo lungometraggio diretto dal celebre animatore francese Jean-François Laguionie.

Siamo a Biligen. L’estate, ormai, volge al termine ed i bagnanti si accingono a lasciare la città per tornare a casa. Tra di essi vi è Louise, simpatica vecchietta solita passare le sue giornate estive in spiaggia scrivendo il suo diario ed osservando le persone che la circondano. L’ultimo treno della stagione sta per partire: ormai è tempo di tornare a casa. Louise, però, purtroppo non riesce a raggiungere la stazione in tempo. Non le resta, ormai, che aspettare che qualcuno venga a cercarla per riportarla a casa. Nel frattempo, però, dovrà organizzarsi al meglio per affrontare le ormai prossime giornate invernali.

Un vecchio album di cartoline appare, imponente, sul grande schermo. Vecchie fotografie ed immagini rimandanti i mesi estivi si susseguono, man mano che le pagine vengono sfogliate. Ed ecco che, come per magia, entrando dentro una vecchia cartolina proveniente da Biligen, ci troviamo su di una spiaggia affollata, dove i bagnanti stanno quasi a ricordare il celebre quadro di Picasso Le bagnanti a Biarritz d’estate. Colori pastello, delicati ma curati fondali – realizzati con la tecnica dell’acquerello e dei pastelli su carta – più che silenti spettatori diventano quasi co-protagonisti di questo ultimo lungometraggio di Laguionie. L’anziana Louise passeggia, di notte, lungo il viale deserto, ricordando le persone incontrate nei mesi estivi – ed ecco che ci troviamo in Sera sul viale Carl Johann di Edvard Munch. Di notte, magicamente, in seguito all’alta marea, il letto di Louise inizia a fluttuare tra le onde del mare. Siamo in un quadro di Magritte, nel momento in cui un uomo con la bombetta le rivolge un cenno di saluto, così come vediamo Salvador Dalì quando, nel giro di pochi secondi, le case – anch’esse fluttuanti tra le onde – diventano degli enormi orologi. Eppure, Louise en Hiver ha una sua marcata identità, che lo rende un lungometraggio prezioso e quasi unico nel suo genere, oltre che un’ulteriore conferma del grande valore artistico del cinema di animazione francese.

Sono il tempo e la memoria i veri protagonisti di questo ultimo lavoro di Laguionie, i quali, insieme ad una profonda riflessione sulla vita, sulla morte e sul diventare vecchi, prendono forma da un profondo flusso di coscienza che – con la voce di Dominique Frot – ci accompagna per tutto il lungometraggio e viene interrotto solo sporadicamente da poche battute pronunciate da Tom – lo scheletro, appeso ad un albero, di un soldato morto durante la guerra (facente parte dei ricordi di infanzia della protagonista) – e da Pepper, vecchio cane randagio, unica compagnia di Louise durante i mesi invernali.

Forte è la componente onirica, la quale sta a regalare al tutto un certo tocco di surrealismo che ben si sposa con il resto della messa in scena. Ciò che rimane – al termine della visione – è un raro senso di pace e tranquillità, come se noi stessi – insieme alla stessa Louise – avessimo iniziato a considerare la nostra stessa vita in un’ottica diversa.

Louise en Hiver, dunque, si è rivelato – secondo le aspettative – un prodotto particolarmente delicato e raffinato, dal grande valore artistico, ulteriore dimostrazione del talento di Laguionie, che, insieme ad autori come Rémy Chayé (Tout eh haut du monde), Stéphane Aubier, Vincent Patar e Benjamin Renner (Ernest e Celestine) ed il duo Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli (Un gatto a Parigi) ha fatto sì che la Francia sia attualmente uno dei paesi europei maggiormente produttivi ed attenti alla qualità nell’ambito del cinema di animazione.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

 

LA RECENSIONE DI MARINA – LA VITA POSSIBILE di Ivano De Matteo

8597TITOLO: LA VITA POSSIBILE; REGIA: Ivano De Matteo; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Italia; cast: Margherita Buy, Valeria Golino, Andrea Pittorino; durata: 107′

Nelle sale italiane dal 22 settembre, La vita possibile è l’ultimo lungometraggio diretto da Ivano De Matteo, con protagoniste Margherita Buy e Valeria Golino.

Anna, in fuga da un marito violento, parte alla volta di Torino con il figlioletto Valerio. Una volta giunta in città, verrà ospitata per i primi tempi dall’amica di vecchia data Carla, un’attrice di teatro vivace e pasticciona. Grazie al suo supporto ed a quello di Mathieu – un ristoratore francese che abita nel quartiere – per la donna sarà possibile affrontare un nuovo inizio.

la-vita-possibile-13Che delusione, questo ultimo lungometraggio di De Matteo! Nonostante il regista abbia creato, in passato, prodotti interessanti come Gli equilibristi, La bella gente e numerosi documentari, in questo suo ultimo lavoro pare abbia perso quello smalto che lo ha caratterizzato agli inizi di carriera, dando vita, pertanto, ad un film che – sotto molti punti di vista – ha fatto storcere il naso a non pochi spettatori.

In primis, uno dei grandi difetti alla base di tutto, sta nella sceneggiatura. A parte la banalità della storia raccontata (quante volte abbiamo visto un film del genere?), troviamo una scarsa indagine psicologica dei personaggi protagonisti, soprattutto in rapporto al loro vissuto ed alle conseguenze di determinate esperienze passate. Ed anche per quanto riguarda le sottotrame, purtroppo alcune storie vengono abbandonate a sé stesse e lasciate cadere nel vuoto come se niente fosse (basti pensare alla storia della prostituta di cui si invaghisce Valerio), oppure sono talmente deboli da non creare un minimo di interesse o di tensione nello spettatore (il personaggio del regista amico di Carla è, al fine dello sviluppo della vicenda, quasi inutile, in quanto decisamente mal sfruttato).

download-3Uno dei momenti peggiori del film è, senza dubbio, rappresentato dalla scena in cui Valerio decide di dire addio alla ragazza di cui si è invaghito. La musica di Jovanotti in sottofondo fa venire decisamente la pelle d’oca. E di certo non per l’emozione.

Nonostante tutto, però, La vita possibile un fattore positivo ce l’ha: le due protagoniste, Margherita Buy e Valeria Golino, ci hanno regalato, come sempre, due grandi prove attoriali. Ma questo potevamo già prevederlo prima della visione stessa del film. Che dire? Ci auguriamo che De Matteo torni presto in carreggiata. Che la sua strada sia, forse, proprio quella del documentario? Lo scopriremo, probabilmente, con i suoi prossimi lavori.

VOTO: 4/10

Marina Pavido

 

Nelle sale italiane dal 22 settembre LA VITA POSSIBILE di IVANO DE MATTEO

Ricevo e volentieri pubblico

06-ivano-De-MatteoLa vita possibile un film di IVANO DE MATTEO

soggetto VALENTINA FERLAN sceneggiatura VALENTINA FERLAN e IVANO DE MATTEO

con MARGHERITA BUY, VALERIA GOLINO, ANDREA PITTORINO, CATERINA SHULHA e con BRUNO TODESCHINIDopo Gli equilibristi e I nostri ragazzi, Ivano De Matteo torna alla regia con una storia d’amore e di amicizia, di speranza e cambiamento, un racconto emozionante sull’Italia di oggi con due protagoniste straordinarie: Margherita Buy e Valeria Golino.

In fuga da un marito violento, Anna (Buy) e il figlio Valerio (Pittorino) sono accolti a Torino in casa di Carla (Golino), attrice di teatro e amica di Anna di vecchia data.

I due cercano di adattarsi alla nuova vita tra tante difficoltà e incomprensioni, ma l’aiuto di Carla e quello inaspettato di Mathieu (Todeschini), un ristoratore francese che vive nel quartiere, gli faranno trovare la forza per ricominciare.

una coproduzione italo-francese RODEO DRIVE – BARBARY FILMS con RAI CINEMA

film riconosciuto di Interesse Culturale con il contributo del MINISTERO dei BENI e delle ATTIVITÀ CULTURALI e del TURISMO | DIREZIONE GENERALE CINEMA

in associazione con FACTORIT SpA Gruppo Banca Popolare di Sondrio ai sensi delle norme sul tax credit IREN SpA ai sensi delle norme sul tax credit  GTT SpA ai sensi delle norme sul tax credit

con la consulenza tax credit di FIP Film Investimenti Piemonte

con il sostegno di FILM COMMISSION TORINO PIEMONTE

distribuzione italiana TEODORA FILM

LA BIENNALE DI VENEZIA: JEAN-PAUL BELMONDO E JERZY SKOLIMOVSKI LEONI D’ORO ALLA CARRIERA ALLA 73° MOSTRA D’ARTE CINEMATOGRAFICA

Ricevo e volentieri pubblico

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Sono stati attribuiti all’attore francese Jean-Paul Belmondo e al regista polacco Jerzy Skolimowski i Leoni d’oro alla carriera della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2016).

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera.

A partire da quest’anno, il Cda ha deciso l’attribuzione di due Leoni d’Oro alla carriera in ciascuna delle edizioni future della Mostra: il primo assegnato a registi o appartenenti al mondo della realizzazione; il secondo a un attore o un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo dell’interpretazione.

Jean-Paul Belmondo, icona del cinema francese e internazionale, ha saputo interpretare al meglio l’afflato di modernità tipico della Nouvelle Vague attraverso gli straniati personaggi di A doppia mandata (À double tour, 1959) di Claude Chabrol,Fino all’ultimo respiro (1960) e Il bandito delle 11 (1965, in concorso a Venezia) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia droga si chiama Julie (1969) di François Truffaut. In particolare, impersonando Michel Poiccard/László Kovács in Fino all’ultimo respiro, Belmondo ha imposto la figura di un antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli stereotipi hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava. La sua recitazione estroversa gli ha consentito poi di interpretare alcuni dei migliori gangster del cinema poliziesco francese, come in Asfalto che scotta (1960) di Claude Sautet, Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville e Il clan dei marsigliesi (1972) di José Giovanni, ottenendo un enorme successo popolare con i molti film successivi, da L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca a Il poliziotto della brigata criminale (1975) di Henri Verneuil, da Joss il professionista (1981) di Georges Lautner a Una vita non basta (1988) di Claude Lelouch. “Un volto affascinante, una simpatia irresistibile, una straordinaria versatilità – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione – che gli ha consentito di interpretare di volta in volta ruoli drammatici, avventurosi e persino comici, e che hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento”.

Jerzy Skolimovski_credits Robert Jaworski Jerzy Skolimowski – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione – è tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno alle nouvelles vague degli anni Sessanta e, insieme con Roman Polanski, il regista che ha maggiormente contribuito al rinnovamento del cinema polacco del periodo”. Lo stesso Polanski (che lo volle accanto come sceneggiatore nel suo film d’esordio Il coltello nell’acqua), ebbe a predire: “Skolimowski sovrasterà la sua generazione con la testa e le spalle”. In realtà, la carriera del “boxeur poeta” (secondo la definizione datane da Andrzej Munk, il “padre” cinematografico di Skolimowski), durata ben oltre cinquant’anni con diciassette lungometraggi realizzati, è stata tutt’altro che facile, segnata da continui dislocamenti – dalla Polonia al Belgio, dall’Inghilterra agli Stati Uniti, prima del definitivo ritorno in Patria avvenuto meno di dieci anni fa – che ne hanno contrassegnato l’opera: apolide in apparenza, perché assoggettata a strategie produttive eterogenee ed apparentemente diseguali, in realtà personalissima e originale in ciascuna delle opere in cui si è concretizzata. La trilogia realizzata in Polonia ai suoi esordi, Rysopis (1964), Walkover (1965) e Barriera (1966), fu per i Paesi dell’Est ciò che i primi film di Godard sono stati per il cinema occidentale, mentre i capolavori successivi – Il vergine (1967, Orso d’oro a Berlino), La ragazza del bagno pubblico (1970), L’australiano (1978, Grand Prix a Cannes), Mani in alto! (1981), Moonlighting (1982, migliore sceneggiatura a Cannes)sono tra i film più rappresentativi di un cinema moderno, libero e innovatore, radicalmente anticonformista e audace. I film più recenti realizzati dopo il ritorno in patria –Quattro notti con Anna (2008), Essential Killing (2010, Premio Speciale della Giuria a Venezia) e 11 minuti (2015, in concorso a Venezia)manifestano infine un’inesauribile e sorprendente capacità di rinnovamento, che lo collocano di diritto tra gli autori più combattivi e originali del cinema contemporaneo.

 Il programma completo della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia verrà presentato alla stampa il 28 luglio p.v. a Roma, all’Hotel Excelsior (ore 11).

 Venezia, 14 luglio 2016