67° FESTIVAL DI BERLINO – MR. LONG di Sabu

201713905_4_img_fix_700x700TITOLO: MR. LONG; REGIA: Sabu; genere: drammatico; anno: 2017; paese: Giappone, Cina, Taiwan; cast: Chen Chang, Sho Aoyagi, Yiti Yao; durata: 129′

Presentato in concorso alla 67° edizione del Festival di Berlino, Mr. Long è l’ultimo lungometraggio diretto dall’attore e regista giapponese Hiroyuki Tanaka, in arte Sabu.

C’era una volta un gangster taiwanese – Mr. Long, appunto – che, di notte, era solito aggirarsi per le strade della città, al fine di commettere su commissione delitti di ogni genere. Un bel giorno il suo capo gli chiese di partire alla volta del Giappone, al fine di terminare uno dei suoi compiti. Le cose, però, non andranno secondo i piani e il nostro eroe sarà costretto a scappare ad una banda di malviventi, per poi trovare rifugio presso delle baracche di periferia. Sarà compito, a questo punto, di un bambino con una madre eroinomane e di un gruppo di bizzarri teatranti aiutare Mr. Long a rifarsi una vita onesta in quella città nuova e sconosciuta.

Cinema gangsteristico, cinema poetico e contemplativo. Sono questi i due generi che Sabu – quasi da abile prestigiatore – riesce ad alternare in maniera fluida all’interno del lungometraggio. E tutto sembra scorrere in modo naturale, con snodi narrativi a volte scioccanti e soluzioni di grande impatto emotivo. Il resto del lavoro viene fatto esclusivamente dalla macchina da presa: i dialoghi sono ridotti all’osso, la parola va direttamente alle immagini – talvolta anche grazie all’aiuto di flashback. Ed ecco che, per oltre due ore che sembrano durare solo poche decine di minuti, assistiamo ad una favola contemporanea, a tratti scherzosa, a tratti addirittura surreale e tanto, tanto commovente.

Grande peculiarità di questa pellicola di Sabu è, in realtà, il già menzionato gruppo di teatranti: personaggi sì fuori dagli schemi ma mai sopra le righe, dai modi di fare decisamente naïf che, quasi in funzione di deus ex machina, decidono di aiutare il misterioso sconosciuto che non parla la loro lingua ad aprire un chiosco di noodles. In poche parole, ad iniziare una nuova vita in cui, a quanto pare, c’è posto anche per nuovi affetti, per una vera e propria famiglia di cui il bambino-aiutante e sua mamma sembrano fare parte.

Di andamento – a differenza di quanto inizialmente si possa intuire – tutt’altro che lineare, questo ultimo lavoro di Sabu attinge sì a piene mani da gran parte della produzione cinematografica giapponese degli ultimi anni – in particolare in molti potrebbero pensare vagamente al bellissimo L’estate di Kikujiro, di Takeshi Kitano, ad esempio – ma riesce a creare a sua volta qualcosa di totalmente nuovo, una favola poetica che vede al suo interno elementi tipici dei gangster movies seminati sapientemente qua e là. In poche parole, uno dei migliori lungometraggi presentati durante la 67° Berlinale, che, anche soltanto per la commovente scena finale, meriterebbe di certo più di un riconoscimento. E vissero tutti felici e contenti.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA BIENNALE DI VENEZIA: JEAN-PAUL BELMONDO E JERZY SKOLIMOVSKI LEONI D’ORO ALLA CARRIERA ALLA 73° MOSTRA D’ARTE CINEMATOGRAFICA

Ricevo e volentieri pubblico

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Sono stati attribuiti all’attore francese Jean-Paul Belmondo e al regista polacco Jerzy Skolimowski i Leoni d’oro alla carriera della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2016).

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera.

A partire da quest’anno, il Cda ha deciso l’attribuzione di due Leoni d’Oro alla carriera in ciascuna delle edizioni future della Mostra: il primo assegnato a registi o appartenenti al mondo della realizzazione; il secondo a un attore o un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo dell’interpretazione.

Jean-Paul Belmondo, icona del cinema francese e internazionale, ha saputo interpretare al meglio l’afflato di modernità tipico della Nouvelle Vague attraverso gli straniati personaggi di A doppia mandata (À double tour, 1959) di Claude Chabrol,Fino all’ultimo respiro (1960) e Il bandito delle 11 (1965, in concorso a Venezia) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia droga si chiama Julie (1969) di François Truffaut. In particolare, impersonando Michel Poiccard/László Kovács in Fino all’ultimo respiro, Belmondo ha imposto la figura di un antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli stereotipi hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava. La sua recitazione estroversa gli ha consentito poi di interpretare alcuni dei migliori gangster del cinema poliziesco francese, come in Asfalto che scotta (1960) di Claude Sautet, Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville e Il clan dei marsigliesi (1972) di José Giovanni, ottenendo un enorme successo popolare con i molti film successivi, da L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca a Il poliziotto della brigata criminale (1975) di Henri Verneuil, da Joss il professionista (1981) di Georges Lautner a Una vita non basta (1988) di Claude Lelouch. “Un volto affascinante, una simpatia irresistibile, una straordinaria versatilità – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione – che gli ha consentito di interpretare di volta in volta ruoli drammatici, avventurosi e persino comici, e che hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento”.

Jerzy Skolimovski_credits Robert Jaworski Jerzy Skolimowski – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione – è tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno alle nouvelles vague degli anni Sessanta e, insieme con Roman Polanski, il regista che ha maggiormente contribuito al rinnovamento del cinema polacco del periodo”. Lo stesso Polanski (che lo volle accanto come sceneggiatore nel suo film d’esordio Il coltello nell’acqua), ebbe a predire: “Skolimowski sovrasterà la sua generazione con la testa e le spalle”. In realtà, la carriera del “boxeur poeta” (secondo la definizione datane da Andrzej Munk, il “padre” cinematografico di Skolimowski), durata ben oltre cinquant’anni con diciassette lungometraggi realizzati, è stata tutt’altro che facile, segnata da continui dislocamenti – dalla Polonia al Belgio, dall’Inghilterra agli Stati Uniti, prima del definitivo ritorno in Patria avvenuto meno di dieci anni fa – che ne hanno contrassegnato l’opera: apolide in apparenza, perché assoggettata a strategie produttive eterogenee ed apparentemente diseguali, in realtà personalissima e originale in ciascuna delle opere in cui si è concretizzata. La trilogia realizzata in Polonia ai suoi esordi, Rysopis (1964), Walkover (1965) e Barriera (1966), fu per i Paesi dell’Est ciò che i primi film di Godard sono stati per il cinema occidentale, mentre i capolavori successivi – Il vergine (1967, Orso d’oro a Berlino), La ragazza del bagno pubblico (1970), L’australiano (1978, Grand Prix a Cannes), Mani in alto! (1981), Moonlighting (1982, migliore sceneggiatura a Cannes)sono tra i film più rappresentativi di un cinema moderno, libero e innovatore, radicalmente anticonformista e audace. I film più recenti realizzati dopo il ritorno in patria –Quattro notti con Anna (2008), Essential Killing (2010, Premio Speciale della Giuria a Venezia) e 11 minuti (2015, in concorso a Venezia)manifestano infine un’inesauribile e sorprendente capacità di rinnovamento, che lo collocano di diritto tra gli autori più combattivi e originali del cinema contemporaneo.

 Il programma completo della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia verrà presentato alla stampa il 28 luglio p.v. a Roma, all’Hotel Excelsior (ore 11).

 Venezia, 14 luglio 2016

BORSALINO CITY di Enrica Viola IN TOUR

Ricevo e volentieri pubblico

 

Al via il tour nelle sale del film doc

di Enrica Viola

applaudito al Festival di Torino e già un caso di vendite internazionali.

Da Alessandria in Piemonte a Robert Redford, l’avventura di un oggetto-mito della storia del Cinema

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una produzione UNA FILM

in collaborazione con APAPAJA, LES FILMS D’ICI 2, ARTE FRANCE

e con ISTITUTO LUCE CINECITTÀ, RAI CINEMA

Una distribuzione ISTITUTO LUCE CINECITTÀ

  Film riconosciuto di interesse culturale con il contributo economico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

 

Dopo gli applausi dell’ultimo Torino Film Festival, dove è stato presentato in prima mondiale con sale sold-out ad ogni proiezione, arriva finalmente nelle sale, distribuito da Istituto Luce-Cinecittà, con un tour di proiezioni-evento e programmazioni che durerà fino a maggio Borsalino City, il film doc di Enrica Viola dedicato a uno degli oggetti, dei marchi e dei simboli più famosi nel mondo e nella storia del cinema: il mitico cappello Borsalino.

Borsalino City - 1 Lazzaro - Immagine concessa dalla Collezione Opere d'arte della Fondazione Cassa di Risparmio di AlessandriaUn ‘mito d’oggi’ impresso nella memoria di milioni di uomini e donne e di spettatori di pellicole legate indelebilmente all’immaginario collettivo: Casablanca, Fino all’ultimo respiro, decine di gangster-movie americani e tanti altri film che fino a oggi hanno più o meno consapevolmente citato un oggetto di scena in grado di entrare nell’espressione degli attori più grandi (basti pensare all’addio di Bogart e Bergman all’aeroporto di Casablanca…).

Prima tappa del tour di Borsalino city nei cinema, mercoledì 13 aprile– e non poteva essere altrimenti – è stata Alessandria, la città dove il 4 aprile del 1857 Giuseppe Borsalino, il capostipite di una grande avventura industriale e di stile, fondò la sua fabbrica di cappelli. E da questa settimana il film arriverà a Roma, Milano, Torino, Genova, Firenze, ed altri centri in un calendario di proiezioni lungo il mese di maggio.

E se dopo una kermesse internazionale come Torino il film è già stato presentato ai festival di Melbourne e Barcellona, si registra l’interesse dei broadcaster esteri che lo hanno preacquistato per televisioni nazionali in Francia, Germania, Svizzera, Finlandia, Portogallo, Grecia e Singapore, e sono in corso trattative per la diffusione in USA, Cina e Giappone. Un piccolo caso internazionale per un documentario dal cuore e dalla storia italiani, con un appeal però molto forte per il richiamo di un simbolo vivente della moda e del Made in Italy.

 

GUARDA IL TRAILER

https://www.youtube.com/watch?v=o6SbBlHJk20

IL FILM

 Borsalino City - Robert Redford  2

“Dear vittorio, you may remember me…my name is Robert Redford” così inizia la lettera che una delle più grandi star di sempre del cinema americano scrisse a un erede della famigliaBorsalino, per richiedere il cappello che aveva visto indossato da Mastroianni in 8 1/2. Questa lettera è rappresentativa per capire la storia di un oggetto, fatto con amore e passione in una piccola città di provincia del Nord Italia, e sbarcato poi in tutto il mondo per diventare un mito.

Il cappello Borsalino è diventato un’icona grazie al cinema. Nell’epoca d’oro di Hollywood tutti ne indossavano uno.

Ciò che s’ignora è che questo mito nasce in una città della provincia italiana, Alessandria, e che per più di centoventicinque anni una sola famiglia è stata a capo di questo impero fondato dal capostipite, Giuseppe Borsalino.

Rievocando la memoria dei lavoratori di un tempo, di appassionati di storia locale, e di grandi nomi del cinema come Redford, Jean Claude Carrière, Piero Tosi, Deborah Nadoolman Landis,  Dante Spinotti, e attraverso immagini d’archivio e di memorabili film dove il cappello è ben più di una comparsa, il documentario racconta la storia del favoloso incontro tra il sogno di un imprenditore partito dal nulla e la grande industria dei desideri che è il cinema del XX° secolo.

Tracciando la storia non di un semplice oggetto, ma di uno dei simboli più famosi dell’immaginario mondiale.

Borsalino City - Enrica Viola

Dichiara Enrica Viola nelle sue note di regia: ‘Borsalino City racconta anche la storia di capitalismo familiare che domina la vita di una piccola città per oltre 120 anni. Perché, come afferma un’ex operaia: “la Borsalino ha dato da mangiare, si può dire, a tutta Alessandria “  

Se da un lato ad Alessandria, come in tante altre città ex industriali, oggi non esistono più i segni tangibili dello “splendore della sua fabbrica”, dall’altro invece in tutto il mondo, c’è ancora una grande potenza immaginativa legata al suo marchio.

E il processo della creazione del mito Borsalino, della sua icona, passa necessariamente attraverso le mani esperte di chi li sapeva fare bene i cappelli, ovvero di chi li lavorava.

Per questo, utilizzando dei meravigliosi ritratti fotografici d’archivio, abbiamo fatto rivivere alcune testimonianze di operai che nel 1957 celebravano il centenario della fabbrica: nei loro volti e nelle loro parole c’è tutta la dignità della classe lavoratrice e l’orgoglio del “saper fare” .

In qualche maniera con questo film, passando da Alessandria ad Hollywood, si è cercato di colmare il divario tra l’ignoto e il glamour.

Borsalino City - Ombra

http://www.borsalinocity.com/

https://www.facebook.com/BorsalinoCity/

#BorsalinoCity

FEFF 17: TRIS D’ASSI A UDINE

Ricevo e volentieri pubblico

 FEFF 17 - immagine ufficiale

#FEFF17 – 23 aprile/2 maggio 2015 – Udine – Teatro Nuovo e Visionario

 

TRIS D’ASSI A UDINE

 

Il 17° Far East Film Festival comincia a scoprire le sue carte:

in anteprima internazionale,

ecco lo sci-fi horror Parasyte: Part 1 di Yamazaki Takashi,

la commedia romantica Women Who Flirt di Pang Ho-Cheung

e il gangster movie Gangnam Blues di Yu Ha.  

 

 

UDINE – Cos’hanno in comune uno sci-fi horror giapponese, una romantic comedy cinese e un noir sudcoreano? La risposta è fin troppo facile: hanno in comune il Far East Film Festival di Udine, che sta curando le ultime rifiniture dell’edizione 17 e che, con questo notevole tris di anteprime internazionali, sta appunto cominciando a scoprire le sue carte!

Closing Film:?PARASYTE?Se i raggi del Sol Levante hanno già fatto sentire il proprio calore, dato che il FEFF 2015 sarà inaugurato il 23 aprile dal super concerto di Joe Hisaishi (biglietti polverizzati nell’arco di un giorno e mezzo di prevendita!), il Giappone brilla ovviamente anche sul piano cinematografico: sarà proprio Udine, infatti, a presentare l’attesissimo Parasyte: Part 1 di Yamazaki Takashi!

Ben noto al popolo fareastiano per aver firmato i due Always – Sunset on Third Street e per aver stravinto l’Audience Award 2014 con il melodramma bellico The Eternal Zero (registrando la media voto più alta nella storia del FEFF), Yamazaki Takashi affronta ora il bestseller manga di Hitoshi Iwaaki: un autentico fumetto cult, molto conosciuto anche in Italia (RW Edizioni), brillantemente capace di fondere fantascienza, horror e guizzi di black comedy.

Parasyte: Part 1 descrive la bizzarra battaglia tra Shinichi, un teenager ombroso, e Migi, il parassita alieno che si è impossessato della sua mano destra, attualizzando l’evergeen di Don Siegel (L’invasione degli ultracorpi) e rispecchiando, in qualche modo, anche le nostre paure più attuali e profonde: impossibile non pensare all’ebola e al terrore di una contaminazione… Come andrà a finire? Ma soprattutto: è pronto o no, Parasyte: Part 2? La risposta, forse, potrà darla direttamente il FEFF!

A-moment-from-Women-who-FlirtDi tutt’altro segno, invece, l’adorabile e irriverente Women Who Flirt, che segna il ritorno del mitico Pang Ho-Cheung ai territori di Love in a Puff e Love in a Buff (visti a Udine tre anni fa). Angie e Marco, due vecchi amici praticamente cresciuti assieme e legati da un forte cameratismo, si ritrovano a lavorare per la stessa azienda. Tutto scorre liscio, come sempre, ma quando Marco confessa ad Angie di aver trovato una fidanzata, il castello crolla e i veri sentimenti della donna salgono a galla: riuscirà a sabotare la nuova coppia e a dichiarare apertamente il proprio amore? Battute, equivoci, ritmo, risate. E, occhi aperti, non perdetevi l’esilarante extra dopo i titoli di coda!

Affettuoso habitué del Festival udinese fin dalla quarta edizione (You Shoot, I Shoot), e autore dell’eccentrico FEFF trailer per la decima, Pang Ho-Cheung è ormai uno dei più affermati e talentuosi maestri del panorama asiatico, in grado di spaziare tra generi e stili (dal comico allo splatter) con una versatilità che rasenta il virtuosismo…

Gangnam-1970-Gangnam-Blues_35A chiudere il tris d’assi, ecco infine lo scuro e solenne Gangnam Blues di Yu Ha, un affascinante gangster movie, tanto duro quanto stiloso, che farebbe la gioia di Martin Scorsese. Ambientata nella Seoul degli anni Settanta, dove la corruzione politica s’intreccia con la criminalità, è la storia di due amici d’infanzia che finiscono per trovarsi protagonisti di una spietatissima guerra metropolitana. La zona meridionale della città, il quartiere di Gangnam, si sta rapidamente trasformando in un’area di sviluppo e le speculazioni imperversano: quale sarà il punto d’arrivo di tutte queste nerissime traiettorie?

Tra scontri feroci e un progressivo (implacabile) clima di tensione, Gangnam Blues è sicuramente destinato a lasciare il segno. E la vitalità del nuovo cinema coreano, ancora una volta, farà parlare di sé!

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