LA BIENNALE DI VENEZIA: JEAN-PAUL BELMONDO E JERZY SKOLIMOVSKI LEONI D’ORO ALLA CARRIERA ALLA 73° MOSTRA D’ARTE CINEMATOGRAFICA

Ricevo e volentieri pubblico

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Sono stati attribuiti all’attore francese Jean-Paul Belmondo e al regista polacco Jerzy Skolimowski i Leoni d’oro alla carriera della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2016).

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera.

A partire da quest’anno, il Cda ha deciso l’attribuzione di due Leoni d’Oro alla carriera in ciascuna delle edizioni future della Mostra: il primo assegnato a registi o appartenenti al mondo della realizzazione; il secondo a un attore o un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo dell’interpretazione.

Jean-Paul Belmondo, icona del cinema francese e internazionale, ha saputo interpretare al meglio l’afflato di modernità tipico della Nouvelle Vague attraverso gli straniati personaggi di A doppia mandata (À double tour, 1959) di Claude Chabrol,Fino all’ultimo respiro (1960) e Il bandito delle 11 (1965, in concorso a Venezia) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia droga si chiama Julie (1969) di François Truffaut. In particolare, impersonando Michel Poiccard/László Kovács in Fino all’ultimo respiro, Belmondo ha imposto la figura di un antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli stereotipi hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava. La sua recitazione estroversa gli ha consentito poi di interpretare alcuni dei migliori gangster del cinema poliziesco francese, come in Asfalto che scotta (1960) di Claude Sautet, Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville e Il clan dei marsigliesi (1972) di José Giovanni, ottenendo un enorme successo popolare con i molti film successivi, da L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca a Il poliziotto della brigata criminale (1975) di Henri Verneuil, da Joss il professionista (1981) di Georges Lautner a Una vita non basta (1988) di Claude Lelouch. “Un volto affascinante, una simpatia irresistibile, una straordinaria versatilità – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione – che gli ha consentito di interpretare di volta in volta ruoli drammatici, avventurosi e persino comici, e che hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento”.

Jerzy Skolimovski_credits Robert Jaworski Jerzy Skolimowski – ha dichiarato il Direttore Alberto Barbera nella motivazione – è tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno alle nouvelles vague degli anni Sessanta e, insieme con Roman Polanski, il regista che ha maggiormente contribuito al rinnovamento del cinema polacco del periodo”. Lo stesso Polanski (che lo volle accanto come sceneggiatore nel suo film d’esordio Il coltello nell’acqua), ebbe a predire: “Skolimowski sovrasterà la sua generazione con la testa e le spalle”. In realtà, la carriera del “boxeur poeta” (secondo la definizione datane da Andrzej Munk, il “padre” cinematografico di Skolimowski), durata ben oltre cinquant’anni con diciassette lungometraggi realizzati, è stata tutt’altro che facile, segnata da continui dislocamenti – dalla Polonia al Belgio, dall’Inghilterra agli Stati Uniti, prima del definitivo ritorno in Patria avvenuto meno di dieci anni fa – che ne hanno contrassegnato l’opera: apolide in apparenza, perché assoggettata a strategie produttive eterogenee ed apparentemente diseguali, in realtà personalissima e originale in ciascuna delle opere in cui si è concretizzata. La trilogia realizzata in Polonia ai suoi esordi, Rysopis (1964), Walkover (1965) e Barriera (1966), fu per i Paesi dell’Est ciò che i primi film di Godard sono stati per il cinema occidentale, mentre i capolavori successivi – Il vergine (1967, Orso d’oro a Berlino), La ragazza del bagno pubblico (1970), L’australiano (1978, Grand Prix a Cannes), Mani in alto! (1981), Moonlighting (1982, migliore sceneggiatura a Cannes)sono tra i film più rappresentativi di un cinema moderno, libero e innovatore, radicalmente anticonformista e audace. I film più recenti realizzati dopo il ritorno in patria –Quattro notti con Anna (2008), Essential Killing (2010, Premio Speciale della Giuria a Venezia) e 11 minuti (2015, in concorso a Venezia)manifestano infine un’inesauribile e sorprendente capacità di rinnovamento, che lo collocano di diritto tra gli autori più combattivi e originali del cinema contemporaneo.

 Il programma completo della 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia verrà presentato alla stampa il 28 luglio p.v. a Roma, all’Hotel Excelsior (ore 11).

 Venezia, 14 luglio 2016

CHE FINE HA FATTO “CINEMA IN STRADA”?

Ricevo e volentieri pubblico

A proposito di Cultura
Che fine ha fatto CinemaINStrada?
Che fine hannofatto, in Piemonte, le associazioni culturali che hanno saputo costruire progetti di qualità attenti a coinvolgere dal basso ampie fasce di popolazione ?
Nelle periferie sono rimasti solo sporadici progetti culturali una tantum

LETTERA DELL’ASSOCIAZIONE i313 AGLI ORGANI DI STAMPA ED AGLI ADDETTI AI LAVORI DEL SETTORE CULTURA NELLA REGIONE PIEMONTE.

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Il Festival itinerante CinemaINStrada nasce dieci anni fa, nel 2004, da un gruppo di giovani donne – l’Associazione Culturale “i313” – deciso a portare sul territorio di Torino (ma non solo) un “lavoro culturale e socio-culturale” di alta qualità e ampio coinvolgimento della popolazione.

Nell’arco di quasi dieci anni di attività i risultati ed il bilancio – sia amministrativo (non siamo mai andate “in rosso”), che di gradimento e successo di pubblico – sono stati assolutamente positivi: abbiamo realizzato nel corso del tempo molti festival e diverse rassegne cinematografiche, a Torino ed in tutto Piemonte; abbiamo organizzato molteplici attività e laboratori di formazione riguardo al linguaggio audio-visuale, rivolte sia ad associazioni che a gruppi informali, adolescenti ed adulti; abbiamo realizzato video documentari ed abbiamo coinvolto la popolazione di diversi quartieri cosiddetti “periferici” di Torino, così come di molti piccoli comuni piemontesi, nella realizzazione e programmazione degli stessi festival attraverso cui venivano animati quei territori. Nel corso degli anni di attività in strada e nelle piazze, abbiamo invitato registi, registe, attori, attrici, docenti universitari, mediatori e mediatrici culturali, attivisti/e ed artisti/e, per dialogare in modo aperto e diretto con il pubblico presente. Abbiamo collaborato con persone provenienti da diversi luoghi d’Italia e d’Europa, interessate a conoscere ed arricchire i nostri progetti.

Nel tempo, il Festival si è anche “espanso”, con il contributo di soci e socie sparsi per il mondo: sono già state realizzate diverse edizioni in Repubblica Dominicana e Guatemala, con il supporto di finanziatori ed enti internazionali interessati ad investire in un progetto “forte”, capace di coinvolgere popolazioni e territori complessi ed a volte conflittuali, in particolare nelle grandi città. Abbiamo portato un “Festival” degno di questo nome (con ospiti, anteprime internazionali, concorsi e tappeti rossi!) in luoghi dove non sempre è facile promuovere attività culturali all’aperto, chiudendo piazze e strade al traffico, trasformando uno spazio di mercato in una grande sala di CinemaINStrada, lasciando sempre libero accesso a tutte quelle persone e famiglie che sceglievano di seguire attività e proiezioni in quanto parte di un lavoro realmente collettivo e condiviso con il territorio sin dalle sue prime fasi, tanto a livello di contenuto quanto di logistica.

Nell’arco di tutti questi anni abbiamo guardato centinaia di pellicole e realizzato un grande lavoro di ricerca di film e documentari “dal mondo”, nel senso più letterale del termine: abbiamo portato in strada, in piazza e in piccoli cinema di quartiere e di paese, film provenienti da tutti i continenti, in lingua originale, sottotitolati in italiano. Decine e decine di film che non sarebbero mai stati visti a Torino e in Piemonte, all’aperto, gratuitamente, spesso con la presenza degli stessi realizzatori o realizzatrici pronti a dialogare con il pubblico a fine proiezione.

Dove, esattamente? È vero, questo non è un dettaglio da poco.

Siamo partire dalla Circoscrizione Sei, da Barriera di Milano, e poi ci siamo “allargate” perché ci interessavano prima di tutto le “periferie” (Ah, sì… certo! Le “periferie”… che di tanto in tanto destano interesse o fa comodo occuparsene, così di colpo, se succede qualcosa, riempiono le prime pagine della cronaca, ma dopo ritornano, molto velocemente, nella vita invisibile delle metropoli). Siamo partite da quei territori – da Barriera di Milano a Borgo Vittoria, Falchera, Vallette – perché rappresentano gli spazi più ricchi e densi di sogni e visioni, di convivenza e coesistenza, di conflitto, ma anche di precarietà e di povertà, intesa non solo in senso materiale, ma anche rispetto all’offerta culturale.
Da quei luoghi, dalle persone che li abitano e che hanno realizzato insieme a noi buona parte dei Festival messi in campo, abbiamo imparato tantissimo e per questo ci siamo sentite in grado di spostarci verso altri quartieri “ad alta densità migratoria” come Porta Palazzo, San Salvario, San Paolo, per poi arrivare anche in altri comuni, da Saluzzo, a Savigliano, Fossano, Barge e Bagnolo.

Per noi non si trattava di proporre “l’ennesimo festival di cinema a Torino”, per noi non era questione di organizzare rassegne di cinema d’autore o su tematiche strettamente “migratorie”, “interculturali”. Ancora meno si trattava di organizzare un progetto calato dall’alto per far vedere, a qualcuno, quattro film all’aperto d’estate.
Per noi il lavoro culturale è sempre stato una co-costruzione, un’articolazione di piani complessi, una ricerca costante non solo di “qualche film”, ma di linguaggi, di “forme culturali”, di iniziative diverse, sperimentali, di collaborazioni con altri individui, gruppi, associazioni, organizzazioni ed istituzioni, per creare eventi realmente condivisi. CinemaINStrada era una festa di cinema e di persone, di lingue e di suoni, di luoghi e storie autoctone e migranti, vicine e lontane, in strada ed in mezzo alle case.
Infatti del Festival, nel tempo, si sono appropriati un po’ tutti e tutte. Posso scommettere che anche quest’anno, in primavera, mentre camminerò per strada, qualcuno mi fermerà e mi chiederà: “Ma lo fate quest’anno il festival?”, e alla mia risposta negativa sentirò dire: “Era così bello” oppure, “Quando c’era il festival non sembrava neanche di stare a Torino!”.

Perché? Perché chi ci incontra dice queste cose?

Perché, secondo noi, il lavoro artistico e culturale deve cercare di andare in profondità, deve  arrivare alla radice delle questioni e sviluppare dei discorsi complessi, con strumenti diversi, per non appiattire la visione delle cose: deve saper “stare” nei luoghi e con i suoi abitanti, attraverso la pratica del rispetto, della reciprocità e del riconoscimento. Perché, se è fatto bene, è un lavoro che nel tempo “trasforma i luoghi”, li attraversa e li ri-crea, mette in relazione persone e spazi, è capace di abbattere barriere e confini, di smontare pregiudizi e farsi beffa degli stereotipi, delle rappresentazioni denigratorie, perché punta a lasciare senza armi chi discrimina.

Scriviamo queste poche righe per ricordare che se per quasi dieci anni siamo riuscite a fare tutto questo, è perché abbiamo potuto contare su di noi (inteso nel senso “esteso” di cui sopra) e sulle nostre idee, ma anche, naturalmente, su finanziamenti pubblici e sul co-finanziamento di molti altri enti ed istituzioni che hanno appoggiato i nostri progetti. Da due anni, però, siamo bloccate e non riusciamo più a fare il Festival perché, da quando si insediò Cota alla Regione, non abbiamo più contato sul finanziamento, per noi fondamentale, della Regione Piemonte. Non ci siamo mai fermate solo su quel contributo. Nel tempo abbiamo sempre “messo insieme” altri finanziatori, pubblici e privati, piccoli e grandi, che ci permettevano di realizzare un lavoro dignitoso e di qualità.
Ci sembra superfluo aggiungere, ma lo facciamo lo stesso, una domanda retorica: progetti come i nostri (ed il Festival di CinemaINStrada prima di tutto), se non ricevono l’interesse ed il contributo dell’ente pubblico, da chi potrebbero riceverlo? Le nostre iniziative sono sempre libere e gratuite, si svolgono all’aperto e questo comporta non pochi – ed onerosi – permessi, oltre allo sforzo logistico. Proiettiamo film da tutto il mondo, che non seguono le logiche commerciali e mainstream della distribuzione delle grandi multinazionali, ma cercano di portare nelle strade opere realizzate in paesi “poco” occidentali e da cui provengono buona parte degli abitanti dei territori in cui viviamo. Spesso questo festival un po’ troppo internazionale per “certe zone della città” viene definito come sociale e poco culturale, mentre alla base si nutre di forti ed originali contenuti creativi, di culture.

Non siamo più riuscite a realizzare le nostre attività per gli enormi tagli del governo regionale alla Cultura, iniziati con il governo Cota e poi proseguiti. La nostra piccola associazione non può anticipare i numerosi costi “vivi” che richiede una macchina come quella di CinemaINStrada  (ciò vale anche per tutti i progetti validi ed importanti per il territorio portati avanti da associazioni simili alla nostra, spazzati via da un anno all’altro), senza essere sicure di poter contare sul contributo regionale. Noi non possiamo chiedere alle persone che lavorano e collaborano con noi di lavorare gratis (questo lo lasciamo fare all’EXPO di Milano), per poi comunicare loro che non ci è stato assegnato il finanziamento 12 mesi dopo la chiusura di bilancio, nel caso ovviamente fosse rimasto qualcosa nelle casse dell’Assessorato dopo aver finanziato gli eventi che “contano” e le altre attività strutturali.

Abbiamo voluto condividere queste brevi riflessioni per raccontare, a chi avrà letto fin qui, che cosa è successo a Torino, ed in Piemonte, alle piccole associazioni culturali che hanno saputo costruire progetti di qualità, attenti a coinvolgere ampie fasce di popolazione.
Abbiamo voluto scrivere queste righe per mettere in luce ciò che viene immediatamente colpito, nei territori, quando si mettono in atto certi tagli e certe scelte che, piaccia o meno, hanno una forte connotazione politica. Non nel senso che una giunta di “centrodestra” avrebbe avuto il chiaro intento “politico” di eliminare i nostri progetti (e di altre associazioni): molto più banalmente, tagliando enormemente i contributi e dando priorità e visibilità ad altro (strutture, eventi e festival consolidati, che possono ampiamente anticipare costi e rischi) è evidente che le esperienze “dal basso”, come le nostre, sono le prime a cadere, ad essere tagliate fuori.
Per perseguire quali grandi obiettivi, poi? Cosa si fa per i territori meno “centrali” ed i loro abitanti? Come si fa realmente “Cultura” e “culture” nelle periferie? E come si dà visibilità alla grandissima produzione culturale delle tante periferie del mondo anche nel “centro”?

Magari a queste banali e semplici domande potranno rispondere i (relativamente) nuovi politici insediatisi in un consiglio regionale di “centrosinistra”, ma abbiamo l’impressione che le risposte saranno molto simili a quelle dei loro predecessori di “centrodestra”, poiché a nessuno o a pochi interessa sviluppare e promuovere un certo tipo di “lavoro culturale”. È più facile fare altro o non farlo proprio, come è evidente a coloro che i territori li vivono. Nei quartieri non c’è più nulla o restano sporadiche iniziative finanziate una tantum, quasi sempre da fondazioni bancarie, giusto per non far mancare “panem et circenses” alla gente, a quella gente che conta sempre meno o quasi nulla.

Torino, 19 febbraio 2015

Associazione Culturale “i313”