LA RECENSIONE – MAL DI PIETRE di Nicole Garcia

31899d233c50b5de28de22c79caa3a2bTITOLO: MAL DI PIETRE; REGIA: Nicole Garcia; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Francia; cast: Marion Cotillard, Alex Brendemühl, Louis Garrel; durata: 120′

Nelle sale italiane dal 13 aprile, Mal di pietre è l’ultimo lungometraggio della regista ed attrice francese Nicole Garcia, tratto dall’omonimo romanzo di Milena Agus e presentato in concorso al Festival di Cannes 2016.

Gabrielle non è una persona semplice. Nata e cresciuta in un piccolo paesino nella Francia degli anni Cinquanta, ben poco sembra adattarsi al contesto in cui vive, alle tradizioni ed alla mentalità eccessivamente chiusa e provinciale dei suoi compaesani. È, al contrario, una donna libera, appassionata, fortemente bisognosa d’amore ed estremamente fragile. Talmente fragile da soffrire di “mal di pietre”, con tanto di dolorosi crampi addominali. Un male, il suo, del tutto psicosomatico, che soltanto curando mente e spirito potrà essere sconfitto. Per quanto riguarda la mente, però, i problemi sono ben altri, dal momento che proprio per questo suo modo di “urlare” i suoi bisogni affettivi, Gabrielle è, a detta di tutti, famigliari compresi, completamente pazza. Solo suo marito, sposato più per il desiderio di fuggire da quell’ambiente angusto ed ostile che per amore, sembra riuscire a “leggere tra le righe”, a capire quella persona così complessa e così ostinata che vive al suo fianco.

e5955d112404ae80cf599bd26814d7bcUn personaggio dalle mille sfaccettature, dunque, quello di Gabrielle. Un personaggio che viene reso magnificamente sullo schermo dalla bravissima Marion Cotillard (lei, si sa, può davvero tutto), ma a cui non viene reso giustizia dal punto di vista dello script in sé: quel che emerge della protagonista è solo la “punta dell’iceberg”. Nulla ci viene detto del suo passato, ben poco vengono approfonditi i legami con José – suo marito – ed André, il suo amante. Personaggi, anch’essi, di grande interesse e complessità (soprattutto per quanto riguarda José), ma che vengono qui sviluppati in modo eccessivamente raffazzonato e frettoloso. Il tentativo di narrare per immagini i tormenti interiori di ognuno di essi risulta, dunque, carente di una necessaria e più profonda introspezione, così come il buon Ingmar Bergman ci ha insegnato. Ma, si sa, non è affatto facile rifare Ingmar Bergman.

b51fc840866fe797501dd57f87f3bce7Ben poco, quindi, possono suggestive inquadrature di panorami mozzafiato o fedeli ricostruzioni di ambienti d’epoca. Il grande problema di Mal di pietre – oltre alla musica eccessivamente presente, smielata e quasi patetica – è proprio lo script. Uno script che, pur mantenendo di base la storia originale, ha voluto “spiccare il volo”, assumere una propria identità perdendo, però, il controllo della situazione e dando vita a qualcosa di banale ed inconsistente, malgrado le iniziali potenzialità. Uno script a cui si perdonano, tuttavia, soltanto i velati riferimenti/omaggi al cinema ed alle sue origini (vedi la cittadina di La Ciotat, dove vivono Gabrielle e José, ma anche la loro permanenza a Lione – città dei fratelli Lumière – presso l’hotel Langlois – proprio come il caro vecchio Henri Langlois!). Ma, si sa, tutto questo non è abbastanza. Ed ecco che anche Mal di pietre si andrà ben presto ad unire ai numerosi prodotti passati in sala e finiti quasi subito nel dimenticatoio. Triste, ma purtroppo molto, molto probabile.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – PER MIO FIGLIO di Frédéric Mermoud

per-mio-figlio-660x330TITOLO: PER MIO FIGLIO; REGIA: Frédéric Mermoud; genere: thriller, drammatico; anno: 2016; paese: Francia, Svizzera; cast: Emmanuelle Devos, Nathalie Baye, David Clavel; durata: 90′

Nelle sale italiane dal 17 novembre, Per mio figlio è il secondo lungometraggio del giovane Frédéric Mermoud, presentato in anteprima all’ultima edizione del Festival di Locarno e tratto dal romanzo Moka di Tatiana De Rosnay.

Da quando Diane ha visto morire il suo unico figlio adolescente, investito da una macchina, non le è rimasto più nulla. L’unico suo scopo, ormai, è trovare l’automobilista pirata e vendicare il ragazzo. Grazie ad un investigatore privato, un giorno la donna scopre che i proprietari della macchina che ha ucciso suo figlio abitano ad Evian – sull’altra sponda del lago di Ginevra – e che quel giorno alla guida dell’auto c’era una donna bionda. A Diane, dunque, non resterà che partire sulle tracce degli assassini.

02Ad uno spettatore preparato ed esperto non sfuggirà, già dopo un primo, sommario sguardo, qualche rimando chabroliano non ufficialmente dichiarato, presente all’interno della trama stessa. Il problema è che quest’opera di Mermoud – al di là delle numerose similitudini dal punto di vista della storia stessa – di punti in comune con la cinematografia e le tematiche di Claude Chabrol ha ben poco. Di fatto, se vogliamo, Per mio figlio di potenzialità ne ha non poche, date le mille sfaccettature dell’animo umano ed il sempre attuale tema della giustizia personale. Peccato che nessuna di tali potenzialità è stata, qui, sufficientemente sfruttata, dal momento che Mermoud ha preferito donare al tutto un tono pericolosamente romanzesco che riesce a rendere il prodotto finale privo di una propria, marcata identità, nonché poco credibile fin dall’inizio. A partire dai dialoghi, eccessivamente macchinosi che danno quasi l’impressione di essere stati incollati in determinati punti dello script, senza mai del tutto amalgamarsi ad esso, però. Ne sono un esempio le scene che vedono protagoniste la Baye – titolare di una profumeria di Evian e proprietaria dell’auto che ha ucciso il figlio di Diane – ed Emmanuelle Devos, nel ruolo della protagonista. Triste figura, inoltre, quella del compagno della Baye: negativa e viscida al punto giusto, ma priva di quello spessore e di quella complessità che l’avrebbero resa davvero odiosa, oltre che – come spesso accade per gli antagonisti – decisamente interessante.

moka_4Le poche note positive di questo secondo lungometraggio di Mermoud sono, come si può ben intuire, le prestazioni attoriali delle brave Emmanuelle Devos e Nathalie Baye, le quali, seppur qui mal sfruttate, sanno sempre dar vita a personaggi complessi senza mai andare sopra le righe. E poi, non dimentichiamo i bellissimi paesaggi: il lago di Ginevra, i piccoli villaggi sulle sue sponde e le città di Losanna e di Evian. Ottime location che, solo al guardarle, sanno regalarci, in qualche modo, un certo appagamento.

Peccato che Per mio figlio abbia, di fatto, così pochi spunti di interesse. Eppure, come già è stato detto all’inizio, di potenzialità ne ha avute non poche. Con le scelte registiche e stilistiche qui effettuate, però, il rischio è quello di finire ben presto nel dimenticatoio, insieme ai numerosi lungometraggi del genere che – con la pretesa di essere il thriller del secolo – alla fine si sono rivelati soltanto enormi sprechi di tempo e di denaro.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

VENEZIA 73 – VOYAGE OF TIME: LIFE’S JOURNEY di Terrence Malick

f9d2848476cb28f4ce0cacc5df925881-e1457977034630TITOLO: VOYAGE OF TIME: LIFE’S JOURNEY; REGIA: Terrence Malick; genere: documentario; anno: 2016; paese: USA; cast: Cate Blanchett; durata: 90′

Presentato in concorso alla 73 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Voyage of Time: Life’s Journey è l’ultimo lungometraggio diretto dal celebre regista Terrence Malick, già in concorso a Venezia nel 2012 con il controverso To the Wonder.

Le origini dell’universo. La natura in tutte le sue declinazioni. Le prime forme di vita sulla Terra. L’alba dell’uomo. Lo sviluppo della civiltà, fino ad arrivare ai giorni nostri. Le origini di tutto, le nostre origini.

Malick, si sa, per la sua particolare poetica e per la sua personalissima tecnica narrativa viene spesso considerato un autore non facile, a volte addirittura eccessivamente autoreferenziale. Eppure, si tratta del suo modo di fare cinema: un approccio del tutto personale ai grandi quesiti esistenziali con storie di singoli personaggi narrate attraverso il flusso di coscienza. Uno stile, questo, che – se ripercorriamo le tappe principali della filmografia del regista statunitense – è diventato, nel corso del tempo, sempre più marcato ed estremo. Basti pensare, infatti, ai suoi primi lungometraggi – La rabbia giovane (1973) e I giorni del cielo (1978) – i quali presentano struttura e ritmi narrativi più classicheggianti. Lo stesso non si può dire per i suoi ultimi lavori, To the Wonder, appunto e Knight of Cups, presentato in concorso, nel 2015, al Festival di Berlino.

E proprio in questa sua ultima opera vediamo la sua estetica estremizzarsi ancora di più. Vengono abbandonate, qui, le storie personali e ci si concentra esclusivamente sull’universale. La vita – qui invocata più volte come “madre” dall’intensa voce di Cate Blanchett – fa da grande protagonista. Da lei ha origine il tutto. Ed ecco che, dopo pochi secondi di nero, appaiono sul grande schermo immagini di costellazioni, di pianeti, del sistema solare, per poi arrivare sulla Terra, dove oceani, montagne, pianure e suggestive scogliere hanno un’influenza magnetica su chi li osserva. Immagini di grande impatto e di grande potenza visiva, che, di quando in quando, vengono intervallate da filmati girati in super8 che ci mostrano l’umanità ai giorni nostri: uomini e donne che chiedono l’elemosina in strade affollate, danze folkloristiche, corride e bambini che giocano su un prato. Filmati, questi, fortemente in contrasto con le scene che ci raccontano la nascita dell’Universo e della vita sulla Terra. Queste ultime, infatti, si distinguono per un raffinato quanto meticoloso lavoro di computer grafica, il quale, a sua volta, risulta una scelta vincente per quanto riguarda la rappresentazione di costellazioni, di paesaggi naturali e di animali, ma decisamente eccessivo e macchinoso nelle scene in cui vengono mostrati i primi dinosauri a comparire sul nostro pianeta o l’alba dell’uomo stessa (per quanto riguarda quest’ultimo elemento, già Kubrick – a suo tempo – aveva creato qualcosa di simile, ma – diciamocelo – lo aveva fatto decisamente meglio).

Interessante operazione che – proprio per il massiccio utilizzo della computer grafica, appunto – anche visivamente si discosta dal resto della filmografia. Ed anche se i alcuni suoi estimatori dovessero rimpiangere la meravigliosa fotografia del maestro Nestor Almendros ne I giorni del Cielo, sarebbero comunque costretti a riconoscere la grande qualità delle immagini qui presenti e la loro pertinenza rispetto a ciò che si vuole raccontare.

In poche parole, per il tema trattato e per la sua rappresentazione, Voyage of Time sembrerebbe quasi il culmine della carriera di Malick. La conclusione di un coraggioso percorso iniziato, ormai, più di quarant’anni fa. Ma sappiamo bene che, in realtà, non si tratta affatto di una conclusione. Per il 2017, infatti, è atteso il suo nuovo lavoro, Weightless. Staremo a vedere che strada si prenderà. Ma – in ogni caso – per il suo talento e per una carriera di tutto rispetto, a Malick ormai tutto è concesso. O quasi.

VOTO: 7

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA: IL TRADITORE TIPO di Susanna White

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TITOLO: IL TRADITORE TIPO; REGIA: Susanna White; genere: thriller; anno: 2016; paese: Gran Bretagna; cast: Ewan McGregor, Stellan Skarsgard, Naomie Harris, Damian Lewis; durata: 107′

Nelle sale italiane dal 5 maggio, Il traditore tipo è l’ultimo lungometraggio diretto da Susanna White, tratto dal romanzo Il nostro traditore tipo dell’acclamato scrittore John Le Carré (Chiamata per il morto, La talpa).

Durante una vacanza a Marrakech, Perry – un insegnante inglese – e sua moglie Gail hanno modo di conoscere Dima, appariscente uomo d’affari che presto si rivelerà essere un boss del riciclaggio di denaro appartenente alla mafia russa. L’uomo convincerà Perry ad aiutarlo a proteggere la sua famiglia da un pericoloso malvivente e, pertanto, gli chiederà di consegnare ai servizi segreti britannici una chiavetta contenente importanti informazioni. Il giovane accetta, ma, da quel momento in poi, sarà difficile per lui e sua moglie salvaguardare la propria incolumità.

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Un acclamato scrittore, un cast stellare, una regista che ha avuto non pochi consensi nell’ambito del cinema documentario e delle serie televisive. Il traditore tipo si è da subito preannunciato come uno dei prodotti di genere più accattivanti della stagione cinematografica. Eppure, che cos’è che di questo ultimo lavoro della White proprio non convince? Senza dubbio, una sceneggiatura che, pur partendo da un’idea interessante ed accattivante, fa acqua da tutte le parti, facendo in modo che tutto il lavoro perda di credibilità e diventi – a tratti – addirittura involontariamente ridicolo. Siamo troppo spietati? No, non lo siamo. Perché, parliamoci chiaro, è assai improbabile che una donna coinvolta suo malgrado nei traffici della mafia russa di punto in bianco sia ben lieta di trovarsi in quella situazione ed inizi a tenere molto più alle persone coinvolte – fino a poco tempo prima del tutto sconosciute – che quasi alla sua stessa vita. A meno che non si tratti di puro masochismo. Ma andiamo avanti. Il problema sopra citato porta con sé, purtroppo, tristi conseguenze che – soprattutto negli ultimi minuti del film – fanno scadere il tutto quasi nello stucchevole. Esemplare, a questo proposito, il momento in cui Dima (interpretato, tra l’altro, dal bravissimo Stellan Skarsgård) scopre – non si sa come – che l’elicottero su cui sta per salire contiene una bomba, ma, giusto per fare l’eroe della situazione, decide di imbarcarsi lo stesso, senza alcuna apparente giustificazione.

OKOT_JB_D06_00600.jpgSenza dubbio, è un peccato che un film su cui si è puntato molto sia stato rovinato in questo modo. Soprattutto perché, in genere, le trasposizioni dai romanzi di Le Carré difficilmente hanno deluso le aspettative. In questo caso, però, a quanto pare né l’idea di base né la presenza di un cast di tutto rispetto – tra cui vediamo, oltre a Skarsgård, anche Ewan McGregor, Damian Lewis e Naomie Harris – hanno potuto influire più di tanto sulla riuscita finale.

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Una nota di merito, però, va proprio alla regia. Strano ma vero, il lungometraggio della White si distingue per la maestria con cui determinate scene sono state girate: un intrigante gioco di riflessi e di sdoppiamento delle immagini unito ad inquadrature a tratti claustrofobiche, ma che vedono anche la presenza di paesaggi talmente suggestivi da incutere quasi timore, hanno contribuito a salvare in corner un lavoro mediocre e decisamente poco convincente. Sia ben chiaro, questo non basta a far sì che un prodotto possa dirsi ben riuscito, però almeno riesce a trasmettere qualcosa di positivo e a fare in modo che tutto il film possa mantenere una sua pur debole dignità. Cosa che, come sappiamo, non accade, purtroppo, tanto spesso.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

OROBIE FILM FESTIVAL – LAST CALL FOR ENTRIES

Ricevo e volentieri pubblico

Last call for entry/Ultimi giorni per iscrivere le proprie opere!                        9° edizione

OROBIE 
FILM FESTIVAL

Festival Internazionale del documentario di montagna e del film a soggetto

Visita il sito  per ulteriori informazioni

Ultimi giorni per iscrivere le proprie opere a OROBIE FILM FESTIVAL 2015!
Un solo tema: LA MONTAGNA.
Due i concorsi: cinematografico e fotografico.
Tre le sezioni, in base a dove è stata girata/scattata l’opera: Orobie e Montagne di Lombardia, Paesaggi d’Italia e Terre Alte del Mondo.

Scadenza: 15 novembre 2014!

Scarica q ui il bando ed il regolamento.

Last call for entry!
Only one theme: the mountain.
Two contest: cinema and photo.
Three sections in according to the place in which they are shot/taken: Orobie and Lombardia mountain, Italian landscapes and Highlands of the world.

Deadline for application: 15th November 2014!

Download here regulation and entry form.

Seguici su:

     

OROBIE FILM FESTIVAL 2014 – I PREMI

Ricevo e volentieri pubblico

 

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL DOCUMENTARIO DI MONTAGNA E DEL FILM A SOGGETTO

Auditorium di Piazza della Libertà – Bergamo – 18.25 gennaio 2014

 

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GRANDE SUCCESSO PER IL GRAN GALA’ INTERNAZIONALE DELLA MONTAGNA

Platea gremita per la serata finale di OFF

Consegnati i Premi Montagna Italia 2014 ai registi e ai fotografi

Vince il film francese LE VILLAGE SUSPENDU di Véronique, Anne e Erik Lapied

Premi speciali per Mario Curnis e Giovan Battista Cagninelli

 

Sabato 25 gennaio un pubblico di appassionati ha gremito la platea dell’Auditorium Piazza della Libertà di Bergamo che ha ospitato il Gran Galà Internazionale della Montagna: la cerimonia ha chiuso gli otto giorni all’insegna del cinema di montagna portati in scena dall’Orobie Film Festival, iniziativa organizzata dall’Associazione Montagna Italia.

 

La serata si è aperta con i saluti iniziali della presentatrice Fabrizia Fassi.

 

Il Gran Galà Internazionale della Montagna ha visto subito la premiazione delle opere vincitrici del concorso fotografico, selezionate dalla Giuria presieduta dal nuovo Presidente Marco Caccia, che ha accompagnato Fabrizia Fassi durante la consegna delle tre targhe inviate appositamente dal Senato della Repubblica:

 

“Tramonto sul Maniva” di Andrea Zampatti, fotografia vincitrice per la sezione OROBIE E MONTAGNE DI LOMBARDIA.

“L’atmosfera sognante di questo crepuscolo trova il colpo di teatro nella luna piena e nello sbuffo di nebbia che pare levarsi verso di lei. L’equilibrio delle forme e dei colori ci regala una sensazione di maestosa serenità.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Andrea Zampatti dalla provincia di Brescia, premiato da Piermario Marcolin Presidente CAI-sezione di Bergamo.

 

“Opi di Pietro Cavalosci”, fotografia vincitrice per la sezione PAESAGGI D’ITALIA.

“Uno scatto perfetto per ritrarre una delle tante bellezze segrete d’Italia: l’antico borgo abruzzese di Opi, che sembra al tempo stesso a cavallo di un monte e del tempo.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Pietro Cavalosci, dalla provincia di Frosinone, premiato da Camillo (Mimmo) Pezzoli, Interior design della Maison Arreda che segue i progetti LESSMORE con gli arredi disegnati dall’architetto Giorgio Caporaso.

 

“I colori della preghiera” di Mauro Rovaris, fotografia vincitrice per la sezione TERRE ALTE DEL MONDO.

“L’atmosfera quasi aliena del Ladakh, terra mitica fra Karakorum e Himalaya, si fonde magicamente con i colori della presenza umana, e il risultato è una fotografia che sa toccare le corde dei sentimenti e del misticismo.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Mauro Rovaris premiato da Marco Caccia, Presidente di Giuria del Concorso fotografico.

 

 

Il Gran Galà Internazionale della Montagna è proseguito con la premiazione dei documentari e film a soggetto vincitori, suddivisi nelle tre sezioni previste:

– Orobie e Montagne di Lombardia;

– Paesaggi d’Italia;

– Terre Alte del Mondo.

 

Durante le premiazioni, Fabrizia Fassi ha avuto al suo fianco la doverosa presenza del Presidente di Giuria del concorso cinematografico Piero Carlesi.

 

Di seguito i film premiati per l’ottava edizione di Orobie Film Festival – Festival Internazionale del Documentario di Montagna e del Film a Soggetto.

 

SEZIONE OROBIE E MONTAGNE DI LOMBARDIA

 

Menzione speciale – Premio Camera dei Deputati

“In viaggio sulle Orobie” di Paola Nessi

“Il film vuole promuovere la valorizzazione delle Alpi Orobie bergamasche e la frequentazione della montagna fra i giovani attraverso un itinerario di trekking da rifugio a rifugio per dimostrare che l’avventura si può vivere anche fuori dall’uscio di casa.

Il viaggio, della durata di quattro giorni, con interviste ai protagonisti fa partecipare lo spettatore all’avventura coinvolgendolo nella quotidianità del trekking raccontando anche le piccole «storie» dei protagonisti da cui traspare la grande passione per la montagna.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Paola Nessi, dalla provincia di Lecco, con alcuni protagonisti del film, premiata da Renata Viviani, Presidente del CAI-Regione Lombardia.

 

Film Vincitore – Premio Fondazione Cassin

“Patabang” di Andrea Frigerio

“Il film ripercorre la storia di un fenomeno alpinistico d’avanguardia e di rottura degli anni ’70 portato avanti da alcuni giovani “i Sassisti” che si è imposto per il nuovo modo di intendere l’arrampicata. Divenne importante aprire una nuova via in parete indipendentemente dal raggiungimento di una vetta, filosofia fino a quel momento incontrastata. Si aprì così un nuovo modo di esprimersi dove coesistevano parole come gioia, divertimento, arrampicata pura. La vetta uscì dal vocabolario, ma entrava di prepotenza la Val di Mello, teatro di anni davvero ruggenti. Il film ne ripercorre la storia con emozione.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Andrea Frigerio, dalla provincia di Milano, premiato da Marta Cassin per la Fondazione Cassin.

 

 

PAESAGGI D’ITALIA

 

Menzione speciale – Premio Camera dei Deputati

“Amico barba bianca” di Massimiliano Riotti

“Il film è portatore di un messaggio di speranza perché vuole dimostrare come un notevole handicap fisico non impedisca al protagonista di continuare a coltivare sul campo la passione per la montagna, e l’arrampicata in particolare, sottolineando anche il valore dell’amicizia dei compagni di cordata.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Massimiliano Riotti, dalla provincia di Varese, con il protagonista Oliviero Bellinzani e Paolo Stoppini (protagonista e riprese), premiato da Giuseppe Spagnulo, Console per la Lombardia del Touring Club Italiano.

 

Film Vincitore

“Il pastore e la montagna” di Valter Torri

“E’ una riflessione sulla vita della montagna e sull’importanza di tutelarla e preservarla anche in tempi come i nostri, in cui lo spopolamento non si arresta. Il film colpisce per l’originalità con cui si raccontano le impressioni, le visioni e i pensieri del protagonista, un pastore che, dopo molti tentennamenti, decide di restare con il suo gregge di pecore, invece di cambiare vita e trasferirsi in città con tutte le sue comodità.”

Presente in sala per il ritiro del premio: Valter Torri, dalla provincia di La Spezia, premiato da Piero Carlesi, Presidente di Giuria del concorso cinematografico.

 

 

TERRE ALTE DEL MONDO

 

Menzione speciale – Premio Camera dei Deputati

“Scienziati sul tetto dell’Asia” di Stefano Ardito

“Il film ripercorre buona parte la storia dell’alpinismo italiano in Himalaya e nel Karakorum a partire dalla riscoperta di un personaggio ingiustamente poco conosciuto ma di altissimo livello come Filippo De Filippi che organizzò una storica spedizione alpinistico-geografica proprio cento anni fa.

L’opera sottolinea anche, attraverso interviste a vari personaggi contemporanei la ricerca scientifica che nel corso del tempo è stata un comune denominatore delle spedizioni italiane.”

 

Film Vincitore

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“Le village suspendu” di Véronique, Anne e Erik Lapied

“Il film vuole far provare allo spettatore forti emozioni soprattutto per le fasi di attraversamento dei corsi d’acqua e dei tratti ghiacciati che separano un territorio del Ladakh concretamente isolato dal resto del Paese. Il regista riesce a documentare con riprese di grande professionalità, in un villaggio ai confini del mondo, anche la vita ancora arcaica della popolazione e le sue tradizioni.”

 

La serata, ricca di emozioni, è proseguita con il grande atteso momento dedicato alla consegna dei “Premi Montagna Italia 2014” a Giovan Battista Cagninelli e a Mario Curnis.

 

Originario di Villa d’Ogna, Giovan Battista Cagninelli vive in USA ed è Managing Director della Standard Charttered Bank, ex American Express Bank. Fin da piccolo la sua più grande passione è sempre stata la montagna. Nei fine settimana il suo hobby era sempre stato quello di andare a fare le passeggiate con gli amici e passare un mese d’estate nelle baite a stretto contatto con i lavoratori locali.

“La bellezza della montagna – dice – è quando non incontri nessuno, è solo tua, la puoi ammirare, senza doverla condividere.

Si è gelosi delle proprie passioni e a volte non le si vuole nemmeno raccontare per tenerle a sé. Ma la bellezza della montagna la si vedeva nei miei occhi e in quelli dei miei amici mentre camminavamo e osservavamo.”

La montagna è come la vita: include in sé la metafora dell’andare avanti, del non mollare mai, del non indebolirsi, del continuare.

La montagna è stata sua maestra di vita che l’ha aiutato tanto anche nella carriera lavorativa.

 

Mario Curnis è il decano degli alpinisti bergamaschi. Vanta un’intensa attività sia nelle Alpi sia sulle montagne del mondo. Al suo attivo moltissime salite nelle Dolomiti, nei gruppi dell’Adamello, della Presanella, del Bernina, e ancora in Bregaglia, nelle Alpi Svizzere e nelle Orobie.

Ha aperto varie vie nuove anche in invernale.

Compagno di Reinhold Messner alla sud del Lhotse nel 1975 e di Renato Casarotto all’invernale del Makalu nel 1980.

Tra le tante imprese, nel 2002 ha raggiunto la vetta dell’Everest al fianco di Simone Moro.

All’epoca aveva 65 anni e sul tetto del mondo ci arrivava dopo due tentativi: nel 1973 con la spedizione Monzino e nel 1994.

 

Grazie alla collaborazione con Turismo Bergamo, tra il pubblico è stato estratto soggiorno-premio per 3 giorni / 2 notti per 2 persone in Hotel *** presso uno degli hotel nelle valli bergamasche.

 

In seguito alla cerimonia di premiazione, il Gran Galà Internazionale della Montagna ha dedicato spazio ad un avvenimento importante nel mondo della montagna per il 2014: il 60° anniversario dalla salita al K2 da parte della spedizione guidata da Ardito Desio nel 1954.

 

Per l’occasione è stato proiettato il film ITALIA K2 di Marcello Baldi, grazie al Centro di Cinematografia e Cineteca del Cai.

Sinossi: Scritto con Dino Bertoletti e Lionello De Felice. Fotografia di Mario Fantin e Mario Damicelli, musiche di Teo Usuelli, commento di Igor Man, prodotto dal C.A.I. (Club Alpino Italiano). Alle 18.30 del 31-7-1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli giunsero, dopo 13 ore di scalata, sulla cima del K2 (m 8611) nella catena dell’Himalaya, la 2ª delle più alte vette del mondo dopo l’Everest. Si può dividere in tre parti: la preparazione in Italia; la marcia di avvicinamento alla montagna; la scalata di campo in campo. Documenta anche la fase finale e l’arrivo sulla cima, filmati con una piccola cinepresa dei due scalatori. Il merito maggiore delle riprese più difficili, comunque, è di Mario Fantin.

 

Per l’occasione, inoltre, il Comitato Ev-K2-Cnr, guidato dal Presidente Agostino Da Polenza, sta organizzando una spedizione totalmente pakistana che il 31 luglio 2014 intraprenderà la stessa salita al K2 ripercorrendo dunque i passi dei nostri alpinisti di allora.

Ne ha parlato Agostino Da Polenza in una video intervista, realizzata da Montagna.tv.

 

 

 

 

Arrivederci al 2015 con la nona edizione di Orobie Film Festival!

 

 

Per tutti i dettagli: http://www.montagnaitalia.com/OFF14.html

Per scaricare il catalogo: http://www.montagnaitalia.com/pdf_OFF/2014/catalogoOFF2014_b.pdf

OROBIE FILM FESTIVAL – grande attesa per il gran galà internazionale della montagna

Ricevo e volentieri pubblico

8° EDIZIONE OROBIE FILM FESTIVAL

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL DOCUMENTARIO DI MONTAGNA E DEL FILM A SOGGETTO

Auditorium di Piazza della Libertà – Bergamo – 18.25 gennaio 2014

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GRANDE ATTESA PER IL GRAN GALA’ INTERNAZIONALE DELLA MONTAGNA

Giovedì e venerdì ultime serate dedicate alla proiezione dei film in concorso

 

 

 

Prosegue OFF con i film e documentari in concorso presso l’Auditorium Piazza della Libertà a Bergamo, tutte le sere ad ingresso libero fino a sabato 25 gennaio a partire dalle 20,30.

 

Giovedì e venerdì serate interamente dedicate ai film e documentari in concorso.

Giovedì 23 gennaio:

-Amico barba bianca di Massimiliano Riotti – ITALIA – 2013 – 4’ – lingua italiana – Produzione Bellatrix film – Sezione Paesaggi d’Italia

-Patabang di Andrea Frigerio – ITALIA – 2013 – 42’ – lingua italiana – Produzione Andrea Frigerio Sezione Orobie e montagne di Lombardia

-Supramonte di Davide Melis – ITALIA – 2013 – 34’ – lingua italiana – Produzione Karel Film and Video Production – Sezione Paesaggi d’Italia

-Il Rifugio di Vincenzo Mancuso – ITALIA – 2012 – 52’ – lingua italiana e tedesca con sottotitoli in italiano – Produzione Dokumenta Film – Sezione Paesaggi d’Italia

 

Previsti per venerdì 24 gennaio:

-Scienziati sul tetto dell’Asia di Stefano Ardito – ITALIA – 2013 – 35’ – lingua italiana – Produzione

Ev-K2-Cnr – Sezione Terre alte del mondo

-Il giardino di Pietra di Ivo Pecile – ITALIA – 2013 – 25’ – lingua italiana – Produzione Sentieri Natura Sezione Paesaggi d’Italia

-Eye to eye with Everest di Milan Collin – OLANDA – 2012 – 85’ – lingua inglese con sottotitoli in inglese – Produzione Deepeei Film Productions – Sezione Terre alte del mondo

 

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Grande attesa per sabato 25 gennaio, il Gran Galà Internazionale della Montagna, che prevede la cerimonia di premiazione dei registi e dei fotografi vincitori dei due concorsi promossi dal Festival e verranno consegnati i Premi Montagna Italia 2014.

Inoltre verranno celebrati i 60 anni dalla salita sul K2 della spedizione guidata da Ardito Desio con la proiezione del film fuori concorso ITALIA K2 di Marcello Baldi, documentario recuperato e digitalizzato dal Centro di Cinematografia e Cineteca del Cai.

Ma non solo: verrà anche proiettata una video intervista ad Agostino Da Polenza Presidente del Comitato Ev-K2-Cnr: l’ente sta supportando una spedizione totalmente pakistana che in tale anniversario ha deciso di intraprendere la salita al K2 negli stessi giorni dell’ascesa del ’54, ovvero esattamente il 31 luglio, e ripercorrendo i passi dei nostri alpinisti di allora.

 

 

 

Per tutti i dettagli e il programma completo: http://www.montagnaitalia.com/OFF14.html

Per scaricare il catalogo: http://www.montagnaitalia.com/pdf_OFF/2014/catalogoOFF2014_b.pdf