68° BERLINALE – DOVLATOV di Alexej German jr.

dovTITOLO: DOVLATOV; REGIA: Alexej German Jr.; genere: drammatico; paese: Russia; anno: 2018; cast: Milan Maric, Danila Kozlovsky, Helena Sujecka; durata: 126′

Presentato in concorso alla 68° Berlinale, Dovlatov è l’ultimo lungometraggio del cineasta russo Alexej German Jr.

Un’opera sentita, complessa, profondamente dolorosa questa realizzata da German, la quale – ambientata nel novembre 1971 – ci racconta una settimana della vita del giovane scrittore sovietico Sergej Donatovič Dovlatov, il quale, lavorando principalmente come giornalista, ma frequentando i maggiori intellettuali dell’epoca (tra cui il poeta, nonché suo caro amico Joseph Brodsky), vede continuamente i manoscritti dei suoi romanzi essere respinti dalle principali case editrici, in quanto egli stesso in quanto autore è da sempre particolarmente inviso al regime.

È, dunque, nell’arco di soli sette giorni che questo lavoro di German si svolge. Sette, intensi giorni, durante i quali non solo la resistenza, ma anche il fermento culturale e la voglia di cambiamento fanno da protagonisti assoluti. Tale fermento è ben reso dai dialoghi che – al pari di un vero e proprio flusso di coscienza – si susseguono ininterrottamente per tutta la durata del lungometraggio, unitamente ad una macchina da presa che – vicina ma mai invadente e con lunghi, lunghissimi piani sequenza– si fa strada, di volta in volta, tra i personaggi presenti nel quadro, quasi come se – con empatia, ma anche con dovuto distacco – volesse darci un’idea generale di ciò che era l’ambiente intellettuale russo di quegli anni. A contribuire alla messa in scena, una fotografia dai toni decisamente smorzati, eccessivamente tenui, dove la nebbia della città sembra invadere anche ogni ambiente interno e che si rivela particolarmente adatta a raccontare in che modo le voci degli intellettuali dell’epoca venissero “soffocate”. Nulla è lasciato al caso, in questo lungometraggio di German. Persino la scelta di una messa in scena differente dal suo solito.

Come mai, dunque, delle scelte così estreme e, se vogliamo, così drastiche? La risposta, di fatto, sta nel sottotesto del lungometraggio stesso. Chi ha avuto modo di apprezzare anche i lavori del padre del regista – ossia del grande Alexej German, scomparso nel 2013 – ben sa quali difficoltà l’autore abbia dovuto affrontare a causa del regime e quanto i suoi stessi lavori siano stati censurati in patria. Ed ecco che il Sergej Dovlatov qui protagonista non è più il Sergej Dovlatov scrittore, o meglio, non solo, ma è, soprattutto, trasfigurazione dello stesso padre del regista, del quale viene qui ripreso anche in parte lo stile di messa in scena. Forse non tutti ricorderanno, ad esempio, il bellissimo It’s hard to be a God (2013), dello stesso Alexej German padre, uscito postumo e presentato in anteprima anche alla Festa del Cinema di Roma 2013. Ecco, tale opera si distingueva per la singolarissima messa in scena, in cui, unitamente ad un curato bianco e nero, abbiamo potuto ammirare una serie di lunghi piani sequenza che ci mostravano – grazie a movimenti di macchina molto simili a quelli scelti per Dovlatov – gli abitanti di questa singolare città che tanto stava a ricordarci un quadro di Bruegel. Che sia, dunque, questo personalissimo lungometraggio di Alexej German jr un sentito omaggio a suo padre, che per tanto tempo ha dovuto scontrarsi con il potere, è cosa palese. E lo stesso German padre, simbolo di coraggio ed amore per l’Arte si fa qui paladino della libertà di parola e di opinione, che, anche in un’epoca come la nostra, non sempre vengono salvaguardate come dovuto.

Un film universale, questo magnifico Dovlatov. Universale, maestoso e meravigliosamente sincero. Un’opera di fronte alla quale non possiamo far altro che lasciarci trasportare come se fosse un fiume in piena e fermarci ad osservarla, dal basso verso l’alto, con ossequiosa riverenza.

VOTO: 9/10

Marina Pavido

VENEZIA 73 – AUSTERLITZ di Sergei Lonitsa

austerlitz-sergei-loznitsaTITOLO: AUSTERLITZ; REGIA: Sergei Lonitsa; genere: documentario; anno: 2016; paese: Ucraina, Russia; durata: 94′

Presentato fuori concorso alla 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Austerlitz è l’ultimo documentario diretto dal pluripremiato cineasta ucraino Sergei Lonitsa, già a Venezia lo scorso anno con l’ottimo The Event, dove ci viene raccontato – attraverso un accurato lavoro di montaggio di filmati d’epoca – il colpo di stato che, nel 1991, ha tentato il rovesciamento del governo Gorbaciov.

Come reagisce, oggi, la società nel rapportarsi in prima persona ad una delle più grandi tragedie della storia? In che modo determinati avvenimenti hanno o hanno avuto influenza su di noi?

Trentatré piani sequenza a camera fissa ci mostrano gruppi di turisti all’interno di un campo di concentramento. Le immagini parlano da sé, non vi è bisogno di alcuna voce narrante, così come non vi è bisogno di musica. E non vi è bisogno di colori. Orde di persone sorridenti e chiassose affollano le inquadrature. Gli smartphones fanno da grandi protagonisti. Una coppia di turisti – marito e moglie, probabilmente – guarda incuriosita in macchina, notando la presenza dell’operatore. Una bambina corre, sbirciando qua e là, attraverso i corridoi dei dormitori. Una comitiva di visitatori chiede, impaziente, quando ci sarà la pausa pranzo. Un uomo si fa fotografare dalla moglie a mo’ di impiccato vicino ad uno dei pali dove molti internati sono stati a loro tempo appesi. E poi selfies, selfies e ancora selfies. Lungi da voler fare un discorso sulla morale, possiamo affermare, senza dubbio, che con Austerlitz abbiamo avuto modo di imbatterci in uno dei più interessanti lavori presentati fino ad ora al Lido. Ma procediamo per gradi.

Il tempo e la memoria sono sempre stati una costante nella prolifica carriera di Lonitsa. Sia per quanto riguarda i film di finzione, che per quanto riguarda i documentari. Cineasta particolarmente realista ed intellettualmente onesto, ci mostra la realtà così com’è – senza abbellimento alcuno. A nulla servono i filtri, sta allo spettatore prendere atto di quanto appare sullo schermo. Ed ecco che il cinema torna alle proprie origini, come quando – nel lontano 1895 – i fratelli Lumière filmarono per la prima volta i loro operai mentre uscivano dalla fabbrica.

Il tempo, appunto, ci mostra come determinati avvenimenti possano non avere influenza alcuna su chi viene “dopo”. E – proprio a questo proposito – la memoria fa da grande assente. Assenza che potrebbe far sì che molti errori commessi in passato possano essere pericolosamente reiterati da una società immemore che ha fatto dell’esibizionismo e del voyeurismo il suo pane quotidiano. Una società spesso studiata da Lonitsa – in rapporto ai grandi avvenimenti storici – nel corso della sua carriera e che – al giorno d’oggi – sembra aver perso quella consapevolezza, quella coscienza e quel senso di appartenenza mostratici dallo stesso cineasta in The Event.

Non si tratta semplicemente di uno dei tanti documentari sui campi di concentramento, quello no. Austerlitz è molto di più. È un documento di forte impatto su ciò che oggi siamo diventati. Un prodotto estremamente stratificato nella sua semplicità. Un lungometraggio che – con un’estetica priva di fronzoli e con scelte registiche altamente minimaliste (in piena linea con tutta la cinematografia di Lonitsa, d’altronde) – colpisce dove deve colpire, esprimendo sì un preciso messaggio, ma evitando – allo stesso tempo – che quest’ultimo venga manifestato in modo invadente. Neanche quando, man mano che ci si avvicina alla conclusione, vediamo una famiglia sorridente intenta a farsi un selfie sotto la scritta “Arbeit macht frei”, all’ingresso del campo. Ma Austerlitz non è solo questo. Dal punto di vista prettamente cinematografico, questo piccolo, potente documentario è una vera e propria perla. Pregiato, raffinato, curatissimo (grazie anche alla fotografia di Vladimir Golovnitzkiy), è un’ulteriore conferma del grande talento di Sergei Lonitsa. Autore che, purtroppo, fatta eccezione per determinati festival cinematografici, nel nostro paese non ha ancora avuto l’attenzione che merita.

VOTO: 9/10

Marina Pavido

VENEZIA 73 – ONE MORE TIME WITH FEELING di Andrew Dominik

one-more-feelingTITOLO: ONE MORE TIME WITH FEELING; REGIA: Andrew Dominik; genere: documentario; anno: 2016; paese: USA, GB; durata: 112′

Presentato fuori concorso alla 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, One more time with feeling è l’ultimo lavoro dell’acclamato regista statunitense Andrew Dominik, già apprezzato per L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e Cogan – Killing them softly.

Realizzato interamente in 3D, con un bianco e nero talvolta poco contrastato e decisamente contemplativo, questo ultimo lavoro di Dominik ci mostra un Nick Cave fino ad ora sconosciuto, un Nick Cave che non ha paura di raccontare – davanti alla macchina da presa – il suo passato, il suo rapporto con le canzoni da lui composte, i suoi affetti ed il suo recente dolore, in seguito alla morte prematura del figlio Arthur.

Quel che fin da subito colpisce è un particolare uso del 3D che prevede – inizialmente, quando il protagonista non si è ancora del tutto svelato – immagini spesso fuori fuoco e movimenti di macchina che sembrano ancora incerti. Immagini che, però, si fanno via via sempre più definite, man mano che il personaggio si svela a noi, e movimenti di macchina che si trasformano in lunghi piani sequenza e carrellate che ricordano quasi una danza con una coreografia ben strutturata e particolarmente curata.

Non vi sono domande e risposte. Fatta eccezione per qualche breve interazione, il regista non interviene quasi mai. Cave si limita a raccontare e a raccontarsi in una sorta di flusso di coscienza, facendo sì che il tutto scorra come un fiume in piena. Interessante, inoltre, anche il discorso sulla narratività che fa il cantante durante i primi minuti, parlando dei testi delle sue canzoni, prive, appunto, di un preciso andamento narrativo. La narrazione – secondo Cave – non fa parte della vita, in quanto ognuno di noi segue un iter a sé. Lo stesso vale per i testi delle canzoni da lui composte, così come anche per la struttura narrativa di tutto il documentario, che, dunque, risulta perfettamente in linea con il modo che ha il cantante di concepire la propria arte.

E poi c’è il metacinema. Sovente capita di vedere in campo macchine da presa e carrelli. Talvolta, addirittura, è lo stesso Cave a menzionare i vari macchinari presenti. Ed ecco che è il mezzo cinematografico stesso a prendere coscienza di sé e a mostrarsi in tutta la sua complessità. Il tutto fa sì, di conseguenza, che il documentario proceda su due livelli paralleli: da un lato abbiamo Cave ed il suo scoprirsi e raccontarsi, dall’altro abbiamo il cinema in quanto espressione artistica, il quale, analogamente a quanto fa il cantante, ci mostra – deciso ma mai “prepotente” – la sua imprescindibile presenza.

La complessità di tale opera non può non far riflettere sulla regia di Andrew Dominik e sulla sua evoluzione nel corso della carriera. Il cineasta statunitense ha fin da subito dimostrato un grande talento nella gestione degli spazi, così come dei personaggi fin dalla sua opera prima, Chopper. Il suo “giocare” sapientemente con la macchina da presa, inoltre, ci ha fin da subito svelato un grande talento. E questa sua ultima fatica si classifica, dunque – dal punto di vista della regia – come una sorta di “esplosione”, come se lo stile del cineasta avesse raggiunto qui il suo apice, portando all’estremo i suoi numerosi virtuosismi e facendolo anche in modo del tutto pertinente e mai gratuito.

È per questo che One more time with feeling si è rivelato un’interessante scoperta. Un’opera imponente dentro la quale ci si può solo perdere, per poi lasciarsi trasportare in un vortice di suoni ed immagini di cui difficilmente ci si può dimenticare.

VOTO: 8

Marina Pavido

BERGAMO FILM MEETING presenta: A PROPOSITO DI CINEMA – corso di introduzione al linguaggio cinematografico

Ricevo e volentieri pubblico

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A PROPOSITO DI CINEMA
Corso di introduzione al linguaggio cinematografico

Lunedì 31 marzo / 7 aprile / 14 aprile / 28 aprile 2014 – dalle ore 20.30 alle 22.30
c/o Spazio Giovani Edoné – Via Agostino Gemelli, 21 – Bergamo

Il corso è a cura di Dario Catozzo
Organizza: Bergamo Film Meeting, in collaborazione con Lab 80 film, Spazio Giovani Edoné e Comune di Bergamo – Assessoratoro all’Istruzione, Sport, Tempo Libero e Politiche Giovanili

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IL PROGRAMMA DEL CORSO:
I film, soprattutto quelli visti su grande schermo, riescono a emozionare, divertire, stupire, immergendo lo spettatore in un mondo di finzione estremamente credibile. L’impatto visivo e sonoro è solitamente molto efficace, e si ottiene attraverso una sapiente organizzazione delle riprese, della recitazione, del ritmo e del senso impresso dal montaggio e dalla colonna sonora, in altre parole della regia, della messa in scena cinematografica. La visione e l’analisi di sequenze di film consente di conoscere gli elementi essenziali del linguaggio cinematografico, mettendo in evidenza quello che all’apparenza sembra semplice e diretto, ma che è frutto di scelte precise e motivate. Il corso si propone di dare allo spettatore gli strumenti per cogliere il lavoro di messa in scena, in modo da acquisire conoscenze che permetteranno di vedere film con maggiore piacere, curiosità e competenza.

Argomenti delle lezioni:
– Caratteristiche del linguaggio filmico
L’impressione di realtà esercitata dal cinema. Storia, temi, segni e senso nel testo filmico, con esempi significativi di film classici e moderni.
– Messa in scena
Il lavoro del regista analizzato nelle sue componenti di selezione e intenzionalità.
– Inquadratura
Il punto di vista: soggettivo/oggettivo. Piani e campi di ripresa.
– Montaggio
La produzione di senso e di ritmo determinata dal montaggio. Il “montaggio invisibile”. Montaggio narrativo e montaggio espressivo.
– Piano sequenza
Il montaggio interno alla scena. Uso psicologico e spettacolare del piano sequenza.
– Colonna sonora
Musica diegetica ed extradiegetica. Rapporto dialettico tra immagini e suoni.

INFORMAZIONI:

Corso a numero chiuso / Prenotazione obbligatoria
Costo iscrizione: € 40 – Soci Lab 80: € 30
Scrivi a: formazione@bergamofilmmeeting.it – Tel 035.363087 (dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 19.00)

 

L’appuntamento per la 33a edizione di Bergamo FIlm Meeting è dal 7 al 15 marzo 2015

BERGAMO FILM MEETING Onlus
Via Pignolo, 123 – 24121 Bergamo – Italy
Tel. +39 035 363087 – Fax +39 035 341255
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