Dal sito ufficiale della Mostra
SCRITTORI A VENEZIA
Writers Guild Italia (WGI) incontra gli sceneggiatori presenti con le loro opere alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2-12 settembre 2015)
KLEZMER
Scritto da… PIOTR CHRZAN
Piotr Chrzan ha scritto e diretto Klezmer in concorso nella sezione delle Giornate degli Autori.
Piotr, la storia del film in poche righe?
Siamo nella campagna polacca, è il 1943: un gruppo di giovani trova un uomo ferito nella foresta e, poco dopo, scopre che si tratta di un ebreo… In Polonia solo ultimamente sono stati pubblicati dati e informazioni (prevalentemente da parte del Centro Polacco per la Ricerca sull’Olocausto, con sede a Varsavia) che possono farci immaginare come avrebbero potuto comportarsi le persone in una situazione del genere. In realtà, infatti, non avevano vere ‘opzioni’ a loro disposizione, a prescindere
da quelle imposte dal sistema di ricompensa e punizione della Germania nazista. Da questo punto di vista, quella di Klezmer è una storia inedita, e credo che valga la pena di essere raccontata già solo per questo.
Come ti è venuta in mente l’idea?
Be’, in realtà è da anni che mi occupo del tema dell’Olocausto, in particolare dei problemi di chi viveva nella campagna polacca sotto l’occupazione tedesca. Ho cominciato da bambino, da quando per la prima volta ho ascoltato le ‘storie di guerra’ raccontate dagli anziani del villaggio, dove a volte si mescolavano proprio questi due temi, l’Olocausto e la campagna polacca sotto il Nazismo. Per cui l’idea del film mi accompagna da sempre.
Più di settant’anni dopo l’occupazione nazista, l’industria cinematografica continua a produrre film importanti su quel tragico periodo dell’umanità. Pensi che sia perché abbiamo costantemente bisogno di ricordare, in modo da attrarre l’attenzione su alcuni problemi (come il razzismo, l’intolleranza, la violenza, ecc.) affinché rimangano reali e scottanti?
Temo che il potere didascalico dei film sia molto limitato, soprattutto di quelli che si sforzano di promuovere volutamente i comportamenti positivi e di condannare quelli negativi. A meno che non si tratti di film prodotti sotto un regime totalitario: in quel caso ci si rivolge a un pubblico già ideologizzato, e si possono realmente rafforzare certi modelli di comportamento – ovviamente quelli auspicati dal governo – all’interno di una società. Comunque, al di là di queste mie riserve, credo che valga la pena fare film che raccontano un momento tragico dell’umanità, forse non tanto per il bisogno di ricordare, ma per quello di conoscere. In qualche modo, la conoscenza e la consapevolezza di ciò che sta alle radici del razzismo e del pregiudizio potrebbe in qualche modo diminuire il loro tragico effetto di propaganda contro persone e popoli che hanno culture, razze o
religioni diverse dalla propria.
Hai scritto Klezmer da solo, mentre prima avevi scritto altri progetti in collaborazione. Come ti sei trovato a lavorare da solo? Ci sono differenze?
Ci sono delle differenze talmente fondamentali che dopo Klezmer non ho nessuna intenzione di scrivere di nuovo una sceneggiatura a quattro o più mani. Credo di scrivere meglio quando lavoro da solo, perché non ho vincoli d’immaginazione e non devo dipendere dalle idee degli altri.
È il tuo debutto alla regia di un lungometraggio, e sta andando a Venezia: come vedi il tuo futuro inquesto campo?
Spero che Venezia, con le luci del Nord Italia, illumini il mio futuro all’interno di quest’industria, e faccia sì che io possa realizzare film che mi piacciono e che ho scelto autonomamente.
L’industria cinematografica polacca è una delle più quotate in questo momento: secondo te perché?
Non so: forse sono troppo vicino all’industria cinematografica polacca per percepirla come una delle più quotate del momento… Però sono contento che l’Europa o addirittura il mondo la vedano in questo modo!
Quali sono i punti forti della tua sceneggiatura? C’è magari un genere, un modello o un autore cui ti sei ispirato?
Se, senza modestia, dovessi parlare dei punti forti della mia sceneggiatura, penso che sceglierei quei momenti in cui il tono della storia cambia drammaticamente e, a tratti, radicalmente. Questi cambi sono dovuti sia a colpi di scena (per esempio, la scoperta di un uomo ferito) sia all’ingresso di nuovi personaggi (come la ragazza che ha un’idea totalmente diversa dagli altri su cosa fare dell’uomo ferito). Per quanto riguarda la seconda domanda, non posso indicare alcuna fonte d’ispirazione di cui sia conscio, ma neanche inconscio, a meno che non mi avvalga di un buon psicoterapeuta!
Qual è la tua scena preferita? Perché? E di cosa parla?
Se dovessi indicarne solo una, sceglierei quella col ragno: due personaggi stanno giocando con un ragno, e sembrano completamente distaccati dalla realtà della guerra. Lui è una persona semplice: un povero ragazzetto di campagna, mentre lei è una ragazza a modo e ben educata, che viene da una ricca famiglia ebrea metropolitana.
Qual è il filo narrativo principale della tua storia? Durante il tuo processo creativo come hai gestito il tema, i personaggi e le loro scelte?
Il protagonista ebreo del mio film (da cui il titolo), a causa di un esaurimento fisico (gli hanno sparato) e psicologico (ha perso ogni speranza di essere salvato), è quasi completamente passivo: ciò che fa o che dice non influenza minimamente le azioni o le decisioni degli altri personaggi. Uno scenario talmente drammatico, questo della situazione iniziale (la passività del protagonista, su cui tutte le azioni degli altri personaggi si concentrano), che mi ha permesso di mostrare come il modo in cui una persona tratta un’altra dipenda dai pregiudizi e dalle convinzioni che gli/le sono state
instillate. In Klezmer i personaggi sono portatori di una concezione negativa dell’ebreo, che deriva dai precetti del movimento nazionalista polacco e della Chiesa cattolica, nonché dalle superstizioni popolari. Klezmer dimostra come tali pregiudizi emergano in circostanze particolari, come ad esempio la guerra, e danno il via a vere e proprie devianze comportamentali. Spiegare come funzionano questi meccanismi di violenza sociale è senza dubbio uno dei temi principali di Klezmer. Riguardo la tua seconda domanda, come ho detto prima, mi ci è voluto molto per preparare la sceneggiatura di Klezmer. Ho familiarizzato con molti resoconti dell’epoca, e credo di aver acquisito
una conoscenza sufficiente per creare un setting adeguato alla storia, nonché per presentare i personaggi del film in maniera equilibrata e credibile.
Hai mai pensato di andare incontro a un target preciso mentre scrivevi la sceneggiatura?
Mi ci è voluto un mese per scrivere Klezmer, e ben di più per la preparazione preliminare – anche se probabilmente non quanto ci ha messo Giuseppe Tomasi di Lampedusa a scrivere Il Gattopardo. A scrittura finita poi, siamo passati subito alle prove dopo neanche un mese, per cui in realtà non c’è stata occasione di pormi questa domanda.
Il film ha avuto bisogno di modifiche allo script durante le riprese? Se sì, quante? Ti sei mai sentito in conflitto con il tuo ‘io regista’?
Sì, qualcosa è stato cambiato, ma non per necessità produttive: più che altro è stato per attribuire una dimensione metaforica e simbolica – a livello di sceneggiatura – ad alcune scene che potevano risultare troppo riduttivamente realistiche. Per quanto riguarda il conflitto col mio ‘io regista’, devo dire che non c’è stato, e uno dei motivi è perché avevo già diretto l’intero film nella mia testa mentre scrivevo la sceneggiatura.
Abbiamo fondato la Writers Guild Italia due anni fa per difendere i diritti e gli interessi degli scrittori italiani. Cosa ne pensi del lavoro che fanno le Guild? Sei già un membro dell’associazione degli scrittori polacchi? Come definiresti le condizioni lavorative degli scrittori e più in generale di chi fa film nel tuo paese?
Purtroppo non mi sento in grado di rispondere a questa domanda, perché non appartengo a nessuna associazione di scrittori polacchi: essendo solo all’inizio della mia carriera come scrittore e filmmaker, spero di potervi dire qualcosa di più sulle condizioni lavorative nel mio Paese tra qualche anno… Chissà, magari proprio in occasione di un altro Festival del Cinema di Venezia!
C’è qualche film italiano che consideri fondamentale nel tuo percorso artistico?
Se dovessi compilare un elenco dei Paesi con il maggior numero di film che ha influenzato il mio sviluppo artistico, l’Italia ne sarebbe sicuramente in cima – mentre non sono sicuro di quale Paese verrebbe al secondo posto. Quindi, invece che citare tutti i capolavori italiani nel campo del cinema, mi limiterò a due titoli, che trovo abbiano molto in comune con l’approccio che ho usato nel presentare il tema dell’Olocausto in Klezmer. E sarebbero: La vita è bella di Benigni e Il giardino dei Finzi-Contini di de Sica. Perché questi? Probabilmente perché non amo (e alcuni addirittura li odio) la maggior parte dei film sull’Olocausto: penso che dal punto di vista estetico e morale richiamino il
tema troppo sfacciatamente, senza tante cerimonie e addirittura con una certa volgarità. Però de Sica e Benigni, al contrario, hanno saputo raccontare con maestria delle storie immerse in un momento tragico dell’umanità: in modo raffinato e sottile, ma anche con chiarezza e grande forza.
Un film o una serie TV italiana recente che ti ha colpito particolarmente?
Di serie TV, Gomorra: non vedo l’ora che vada in onda la seconda stagione. Per i lungometraggi avrei un problema nel deciderne uno (di film italiani c’è l’imbarazzo della scelta!) quindi ne scelgo quattro: Il Capitale Umano di Paolo Virzì, Le Meraviglie di Alice Rohrwacher, L’uomo che verrà di Giorgio Diritti e la versione cinematografica del libro di Saviano (non citerò “La grande bellezza”, dato che probabilmente lo faranno tutti). Non vedo l’ora di avere un attimo di tempo per vedere Mia madre di Nanni Moretti: mi lascerò volentieri sconvolgere dal film del mio regista preferito!
Come hai saputo che il tuo film è stato selezionato per Venezia? Cosa ti aspetti dal Festival?
Se non fossi calvo, probabilmente ora avrei i capelli grigi, perché dal momento in cui io e il mio produttore abbiamo scoperto che Klezmer era arrivato nella shortlist per le Giornate degli Autori, fino a quello in cui il produttore ha ricevuto la comunicazione e mi ha urlato dalla stanza accanto “Siamo stati invitati!”, sono passati parecchi giorni: parecchi, ma lunghi ed eccezionali. E nonostante sia molto nervoso, penso che sopravvivrò al Festival!
Intervista a cura di David Bellini, portavoce WGI a Los Angeles
Traduzione in italiano di Myriam Caratù