TITOLO: ABBRACCIALO PER ME; REGIA: Vittorio Sindoni; genere: drammatico; anno: 2015; paese: Italia; cast: Stefania Rocca, Moisè Curia, Vincenzo Amato, Paola Quattrini; durata: 103′
Nelle sale italiane dal 21 aprile, Abbraccialo per me è l’ultimo lungometraggio diretto da Vittorio Sindoni, che tratta il delicato tema della malattia mentale.
Ciccio è un ragazzino allegro e vivace, con una grande passione per la musica. Il suo sogno, infatti, è quello di diventare, un giorno, un grande batterista. Fin da piccolo, però, ha spesso mostrato dei segni di squilibrio, sintomo di un disturbo psichico riconosciuto tale solo durante l’adolescenza. La sua situazione creerà non pochi problemi all’interno della famiglia: sua madre Caterina – che non ha mai voluto accettare l’idea che suo figlio sia malato – instaurerà con lui un rapporto quasi simbiotico, mentre suo padre Pietro farà da subito fatica a rapportarsi alla malattia di Ciccio e, allo stesso tempo si sentirà trascurato dalla moglie.
Tema non facile, estremamente delicato, ma anche parecchio interessante, quello del disagio mentale. Numerosi, infatti, sono gli autori che hanno deciso di mettere in scena storie che trattassero l’argomento. Primo fra tutti, Robert Wiene, che già nell’epoca del muto – esattamente nel 1920 – decise di affrontare la questione nel suo capolavoro espressionista Il gabinetto del Dottor Caligari. Facendo un salto avanti di parecchi anni, non possiamo non ricordare l’ormai cult Qualcuno volò sul nido del cuculo – per la regia di Miloš Forman. E, infine, anche l’Italia, dal canto suo, si è più volte rapportata a questo mondo, sia con documentari (primo fra tutti Matti da slegare, di Silvano Agosti), sia con lungometraggi di finzione (ad esempio, con il recente Si può fare, per la regia di Giulio Manfredonia). Dopo aver letto questi titoli (e soprattutto dopo aver visto questi film) fa un effetto parecchio strano veder, in qualche modo, associato ad essi questo ultimo lavoro di Sindoni. Ma vediamo perché.
Il lungometraggio in questione, più che sul disagio mentale in sé, è incentrato sul rapporto madre-figlio e su come la prima viva con difficoltà la malattia del secondo. Questo, però, presuppone, in ogni caso, al fine di sembrare un lavoro improvvisato, un’accurata ricerca in campo clinico. Ricerca, però, che qui non è stata fatta a dovere, per ammissione del regista stesso. E, purtroppo, i risultati si vedono. Seppur – dal punto di vista della scrittura – sia presente un certo crescendo narrativo, man mano che ci si avvicina al finale, non si riesce ad empatizzare a sufficienza con i personaggi raccontati, in quanto si ha subito l’impressione di trovarsi davanti ad un prodotto semplicistico, raffazzonato, che si muove più che altro per stereotipi.
E questo effetto è amplificato da non pochi manierismi presenti all’interno del lungometraggio, come anche da scene prevedibili e macchinose (il tentato suicidio di Caterina, l’improvvisa morte di Pietro), oltre che da una direzione degli attori che – malgrado la presenza di un cast di tutto rispetto – ha fatto sì che ogni singola battuta pronunciata risultasse quasi “staccata” da quelle degli altri personaggi, privando così le scene di una necessaria fluidità.
Tornando brevemente a parlare del cast, oltre a grandi nomi quali Stefania Rocca, Vincenzo Amato, Paolo Sassanelli e Paola Quattrini, si sono rivelati piacevoli sorprese i giovani Moisè Curia (nel ruolo di Ciccio) e Giulia Bertini (Tania, sorella del protagonista). Prestazioni, le loro, purtroppo poco valorizzate dal contesto in cui hanno avuto luogo, ma che comunque hanno rivelato interpreti decisamente promettenti.
In conclusione, Abbraccialo per me è, purtroppo, un prodotto poco riuscito, che parte da un tema delicato e di grande interesse, ma che – per tutto il lungometraggio – viene portato avanti a fatica.
VOTO: 4/10
Marina Pavido