TITOLO: HOME CARE; REGIA: Slávek Horák; genere: commedia, drammatico; anno: 2015; paese: Repubblica Ceca, Slovacchia; cast: Alena Mihulová, Bolesav Polívka, Tatiana Vilhelmová; durata: 92′
Il settimo ed ultimo lungometraggio in concorso alla 34° edizione del Bergamo Film Meeting è Home care, opera prima del cineasta ceco Slávek Horák, nonché film presentato dalla Repubblica Ceca agli Oscar 2016.
Vlasta è una donna di mezza età che vive in un piccolo paese della Moravia insieme al marito Lada, uomo tanto di buon cuore quanto anaffettivo. Ella lavora come infermiera a domicilio ed ha trascorso una vita intera a prendersi cura degli altri. Una sera, tornando a casa da lavoro, accetta un passaggio in moto da un conoscente ed i due hanno un incidente. Fortunatamente non accade nulla di grave, ma la donna, in seguito ad accertamenti, scoprirà di essere ormai malata da tempo e che non le resterà molto da vivere.
Questo primo lungometraggio di Horák tratta argomenti forti e non sempre facili da gestire, quali la compassione verso il prossimo, la conoscenza di sé e la consapevolezza di stare per morire. Temi, questi, spesso già trattati da molti altri autori in passato, che, qui, vengono letti in modo del tutto particolare ed estremamente personale. Il realismo estremo – spesso caratteristica fondante della cinematografia dell’Est Europa – viene qui, in parte, abbandonato, al fine di conferire all’opera un tono leggero, addirittura fiabesco, pregno di quella sottile quanto tagliente ironia, di cui i paesi dell’Est sono, ormai, maestri. Ed ecco che ci troviamo di fronte ad un lungometraggio, sì, delicato e sentito, ma anche leggero, a tratti grottesco, che provoca nello spettatore quasi un effetto catartico, portandolo a ridere di fronte a situazioni decisamente drammatiche.
Con una regia pulita e priva di fronzoli, il film presenta un forte simbolismo: la natura, innanzitutto, strettamente collegata all’animo umano (in una delle scene finali, per esempio, vediamo la protagonista che dà fuoco ad un vecchio albero, distruggendo così, metaforicamente, il proprio passato, in modo da poter guardare avanti ed iniziare una nuova vita), e gli animali, parte integrante della narrazione (le rane, ad esempio, numerose nel villaggio – che hanno bisogno di una sorta di “sottopassaggio” per essere, in qualche modo, guidate nel loro percorso ed evitare di finire sulla strada principale – sono considerate, qui, alla stregua di alter ego della protagonista, anch’ella bisognosa di una guida per poter affrontare al meglio la malattia e prepararsi alla morte. Nella scena in cui Vlasta aiuterà una rana ad attraversare il sottopassaggio, infatti, capiamo che ella stessa è già venuta a conoscenza della strada per affrontare al meglio quel tanto che le resta da vivere).
Una particolare nota di merito è da assegnare a Alena Mihulová, intensa protagonista del film, che, per questa sua straordinaria interpretazione, ha già vinto numerosi riconoscimenti.
Pur presentando, al suo interno, un’alternanza di scene significative e momenti decisamente più deboli, il lungometraggio di Horák è un prodotto semplice, onesto e ben riuscito, il quale evita eccessivi buonismi ed autocommiserazioni superflue e prevedibili. Non vediamo la morte, non vediamo – se non accennata di tanto in tanto – la sofferenza della donna e dei suoi cari, bensì il tutto si conclude con una grande festa con balli e canti – in occasione delle nozze della figlia della protagonista – simbolo di un nuovo io ritrovato – quello di Vlasta – oltre ad essere un gioioso omaggio alla vita.
VOTO: 7/10
Marina Pavido