13° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – IL MISTERO DELLA CASA DEL TEMPO di Eli Roth

il-mistero-della-casa-del-tempoTITOLO: IL MISTERO DELLA CASA DEL TEMPO; REGIA: Eli Roth; genere: fantastico; paese: USA; anno: 2018; cast: Jack Black, Cate Blanchett, Kyle MacLachlan; durata: 95′

Presentato in anteprima alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma – all’interno della Selezione UfficialeIl Mistero della Casa del Tempo è l’ultima fatica del celebre regista statunitense Eli Roth.

È la storia, questa, del piccolo Lewis, il quale rimasto orfano di entrambi i genitori, andrà a vivere a casa del bizzarro zio, fratello di sua mamma. L’uomo, sempre a stretto contatto con un’altrettanto singolare vicina di casa, è un maldestro stregone che vive all’interno di una villa piena di orologi e con oggetti e mobili che, di quando in quando, sembrano prendere vita di soppiatto. Una volta ambientatosi in questo nuovo mondo, Lewis verrà coinvolto dai due in un’importante missione segreta: scoprire l’origine e il significato del ticchettio di un orologio nascosto all’interno delle mura di casa.

Vivace, colorato, complessivamente dinamico nella messa in scena, questo nuovo prodotto firmato Eli Roth lascia, tuttavia, a desiderare per quanto riguarda i ritmi stessi, spesso discontinui e mal calibrati, e per quanto riguarda uno script che tende a tirare il tutto troppo per le lunghe, soprattutto man mano che ci avvicina al finale. Eppure, detto questo, la storia messa in scena riesce a catturare l’attenzione fin dai primi minuti, forte anche di una regia sapiente e matura che ben sa sfruttare sia i numerosi effetti speciali presenti, che le ricercate scenografie, la quali, a loro volta, fanno della casa dei protagonisti un ulteriore personaggio, considerato a tutti gli effetti essenziale e con un’importante personalità.

Il tutto sta a convergere in una forte metafora del potere, della guerra e di quanto questi possano danneggiare sia gli stessi esseri umani che i rapporti che intercorrono tra di loro.

Un lungometraggio, dunque, pensato sì per i più piccini, ma che, allo stesso tempo, sta a raccontarci qualcosa di universale e che dimostra che Eli Roth, anche in queste vesti di cantore per i giovanissimi, riesce a trovarsi perfettamente a proprio agio.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

VENEZIA 75 – LA FAVORITA di Yorgos Lanthimos

la-favoritaTITOLO: LA FAVORITA; REGIA: Yorgos Lanthimos; genere: drammatico; paese: USA; anno: 2018; cast: Olivia Colman, Rachel Weisz, Emma Stone; durata: 120′

Presentato in concorso alla 75° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, La Favorita è l’ultimo lungometraggio del celebre cineasta greco Yorgos Lanthimos.

La storia qui messa in scena è quella di due cugine: Sarah Churchill – da anni fidata dama di compagnia della regina Anna di Gran Bretagna – e Abigail Masham, caduta in povertà a causa della vita dissoluta di suo padre, ma decisa a intraprendere una rapida scalata sociale e a ingraziarsi la stessa regina. Anche a costo di giocare sporco. In poche parole, quasi una sorta di Barry Lyndon in gonnella (è inevitabile che persino lo stesso Lanthimos ci abbia pensato).

Con una situazione sì controversa e intricata, non v’è dubbio che il regista abbia trovato pane per i propri denti e si sia divertito a regalarci un nuovo ritratto del genere umano – nello specifico, di chi detiene importanti poteri – osservato, come sempre, con occhio iper critico e decisamente cinico, dove pare non ci sia speranza alcuna di salvezza né tantomeno spazio – salvo poche eccezioni – per ogni qualsivoglia forma di naturale umanità. La storia messa in scena, dunque, è la storia di tre donne e del loro rapporto con il potere: se la regina Anna ci appare stanca, provata da numerosi lutti, pericolosamente fragile e desiderosa solo di essere amata, le due donne che la circondano sono, al contrario, personaggi forti, volitivi, disposti a tutto pur di accattivarsi le simpatie della sovrana. Ma chi delle due si rivelerà, alla fine, la più spietata? Chi riuscirà a raggiungere il proprio obiettivo?

Se inizialmente i toni adottati dal regista sono quelli della commedia (i nobili, nello specifico, sono ridicolizzati quasi come a suo tempo ha fatto Rossellini nel suo La Presa di Potere da parte di Luigi XIV), ben presto la situazione si fa sempre più pesante, soffocante, claustrofobica. Il palazzo reale – grazie, come di consueto da parte del regista, a un copioso uso di grandangoli e fisheye, oltre che di un importante commento musicale firmato Mozart e Beethoven – diventa una sorta di trappola, una gabbia dorata in cui sono rinchiuse le due protagoniste. Da lì sembra non esserci via d’uscita. Eppure, per una strana perversione della mente umana, ognuno sembra non desiderare altro che esservi rinchiuso.

Impeccabile nell’estetica, La Favorita – pur attingendo a piene mani da ciò che è stato realizzato in passato da cineasti di tutto il mondo – si è rivelato un prodotto complessivamente ben riuscito, dove sopra ogni cosa spiccano le performance delle tre protagoniste: le ottime Rachel Weizs (nel ruolo di Sarah) e Emma Stone (che interpreta Abigail) hanno dato ulteriore conferma del loro talento, eppure particolarmente degna di nota è la prova attoriale di Olivia Colman, nel ruolo della regina Anna. Possibile Coppa Volpi? Probabilmente è troppo presto per dirlo.

L’unica critica che si potrebbe muovere alla presente opera è, forse, proprio la mancanza di quell’autorialità che da sempre ha contraddistinto il cinema di Lanthimos e che gli ha permesso di farsi notare all’interno del panorama cinematografico internazionale, prima di uniformarsi sempre più ai canoni hollywoodiani. Poco male, però. Come già affermato, infatti, il prodotto in questione è più che dignitoso. E la potente scena finale in cui vediamo in dissolvenza i primi piani della regina, di una sofferente Abigail e di un nutrito gruppo di conigli è, di fatto, una vera e propria ciliegina sulla torta.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – L’INCREDIBILE VITA DI NORMAN di Joseph Cedar

coverlg_homeTITOLO: L’INCREDIBILE VITA DI NORMAN; REGIA: Joseph Cedar; genere: drammatico, commedia; Paese: USA, Israele; anno: 2017; cast: Richard Gere, Lior Ashkenazi, Charlotte Gainsbourg; durata: 118′

Nelle sale italiane dal 28 settembre, L’incredibile vita di Norman – La moderata ascesa e la tragica caduta di un faccendiere newyorchese è il primo lungometraggio in lingua inglese dell’israeliano Joseph Cedar, che qui si è ispirato alla favola archetipica dell’Ebreo cortigiano, la quale ci racconta di un faccendiere ebreo dedito a fare regali o favori a uomini sconosciuti che diventeranno in seguito uomini di potere e con i quali lo stesso faccendiere inizierà a collaborare come uomo di fiducia.

Norman Oppenheimer è un uomo timido, impacciato, apparentemente solo al mondo, che cerca di accattivarsi le amicizie di uomini potenti facendogli innumerevoli favori, presentandogli persone altrettanto importanti e seguendoli passo passo nella loro scalata verso il successo. È stato così, ad esempio, con un giovane politico israeliano, a cui Norman ha regalato un costoso paio di scarpe e che, in seguito, è diventato Primo Ministro. Ma le cose si sono messe davvero bene anche per Norman, in realtà? Parrebbe proprio di no. Come tradizione vuole, non c’è lieto fine per il nostro Ebreo cortigiano.

Peccato. Perché il Norman qui messo in scena è, in realtà, un personaggio che, più che altro, fa tenerezza e con il quale si tende a simpatizzare fin da subito. Non ci viene detto praticamente nulla della sua vita privata, né del suo passato. Gli unici elementi fornitici sono l’esistenza di una figlia e di una moglie defunta. Ma sarà poi vero? O è solo una storia che lo stesso Norman tende a raccontare alle sue nuove conoscenze, al fine di apparire più “umano”? Poco ci importa, alla fine. Ciò che ha reale importanza è soprattutto il fatto che questo buffo personaggio riesce a catalizzare l’attenzione su di sé per circa due ore di fila. Merito, ovviamente, di un buono script, ma anche, dobbiamo riconoscerlo, di Richard Gere, qui in una delle sue interpretazioni più convincenti, il quale si è riuscito pienamente a riscattare dopo il disastroso The dinner (diretto da Oren Moverman, che per L’incredibile vita di Norman, invece, ha partecipato alla produzione), presentato alla 67° Berlinale.

Il vero pezzo forte di questo ultimo lungometraggio di Cedar è, però, proprio la regia: finti split screens, dissolvenze incrociate che ci mostrano le immagini mentre ruotano come in una sorta di coreografia, audaci plongés ed un sapiente uso della musica che tende a sdrammatizzare anche i momenti emotivamente più “difficili da digerire”, rivelano un talento da non sottovalutare e da tenere d’occhio. Non ci resta che attendere, dunque, il prossimo lavoro del giovane Cedar. E chissà se la prossima volta porterà avanti anche la riuscita collaborazione con lo stesso Richard Gere!

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – L’INFANZIA DI UN CAPO di Brady Corbet

coverlg (1)TITOLO: L’INFANZIA DI UN CAPO; REGIA: Brady Corbet; genere: drammatico; paese: USA, Francia, Canada, Belgio, Ungheria, Regno Unito, Svezia; anno: 2015; cast: Robert Pattinson, Berenice Bejo, Stacy Martin; durata: 113′

Nelle sale italiane dal 29 giugno, L’infanzia di un capo – ispirato all’omonimo racconto di Jean-Paul Sartre ed al romanzo Il mago di John Fowles – è la pluripremiata opera prima dell’attore Brady Corbet, vincitrice, nel 2015, del Premio Orizzonti alla Miglior Regia e del Premio Luigi De Laurentiis alla Miglior Opera Prima alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il film si divide in quattro atti che segnano la formazione del carattere del giovane Prescott. La Prima Guerra Mondiale è finita da poco. Il bambino, figlio di un diplomatico e di una donna molto religiosa, vive appena fuori Parigi ed è soggetto a frequenti scatti d’ira che, di volta in volta, staranno a stravolgere gli equilibri famigliari costituitisi. La sua formazione caratteriale ed il suo divenire un importante uomo di potere staranno a simboleggiare il male del fascismo che proprio in quegli anni iniziò a prendere piede.

linfanzia_di_un_capo_scenaGirato in 35mm, questo primo lungometraggio di Corbet non stupisce solo per l’impeccabile confezione stilistica in sé, ma soprattutto per la straordinaria maturità e lucidità che traspaiono da un lavoro così complesso e così profondo. Fin dai primi minuti le immagini di un treno in corsa di notte, unite ad una musica quasi ansiogena riescono fin da subito a catapultare lo spettatore in un ambiente sinistro, che è quello della casa di Prescott, culla di pericolosi ideali nascituri.

La macchina da presa è nelle mani di Corbet agile e coraggiosa: non ha paura di osare ed andare oltre gli schemi. Particolarmente degne di nota, a tal proposito, sono la sequenza finale, in cui vediamo un Prescott adulto scendere dalla macchina tra una folla adorante, e la fine del terzo atto, quando il protagonista, ancora bambino, cade per terra al termine di un ultimo scatto d’ira e la stessa macchina da presa si capovolge, indicandoci la distruzione di ogni equilibrio.

The_Childhood_of_a_Leader_1_-_Tom_SweetDalle ambientazioni alle musiche, dalla scelta degli interpreti all’ottima qualità delle immagini, tutto sembra impeccabile. E, in seguito alla visione di questo primo lungometraggio di Corbet in molti – a ragione – hanno urlato al miracolo. Si pensi che il compianto Jonathan Demme – presidente della giuria Orizzonti all’epoca – ha addirittura paragonato il giovane cineasta ad Orson Welles. E, di fatto, L’infanzia di un capo, opera imponente e maestosa, i premi vinti li ha meritati eccome. Peccato solo che in Italia ci abbia messo ben due anni ad uscire in sala.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA – DOMANI di Cyril Dion e Mélanie Laurent

domani-melanie-laurent-cyril-dionTITOLO: DOMANI; REGIA: Cyril Dion, Mélanie Laurent; genere: documentario; anno: 2016; paese: Francia; durata: 118′

Nelle sale italiane dal 6 ottobre, Domani è un interessante documentario diretto da Cyril Dion e Mélanie Laurent, i quali ci mostrano numerose soluzioni, al fine di salvaguardare il nostro pianeta e di migliorare la nostra qualità della vita.

Cinque sezioni (agricoltura, energia, economia, democrazia ed istruzione) per una sorta di road movie sotto forma di documentario che tocca quasi tutti gli angoli del pianeta: dalla Germania all’Inghilterra, dalla Francia alla Svezia, dalla Svizzera alla Finlandia, senza dimenticare gli Stati Uniti, l’India e l’Isola di Réunion.

dem-678x381Interessante, accattivante, decisamente di grandissima attualità. Se vogliamo, però, concentrarci per un momento esclusivamente sull’aspetto prettamente cinematografico di questo prodotto di Dion e Laurent, non possiamo non notare il tocco particolarmente televisivo che l’intero lavoro ha. Tutto viene raccontato in modo chiaro e lineare, su questo non v’è alcun dubbio. Eppure, se i due registi avessero voluto osare di più – sia per quanto riguarda il visivo che, ad esempio, la musica – forse l’impatto di ciò che si è voluto mettere in scena sarebbe stato anche maggiore sul pubblico. Analogamente, le voci degli stessi Dion e Laurent risultano apparire un po’ troppo didascaliche a tratti, oltre che forzate nel momento in cui si passa da una sezione all’altra. Detto questo, però, il messaggio che si vuole portare avanti arriva. E lo fa anche in modo semplice e diretto. Qualità, questa, di grande importanza, quando si vuole fare del cinema uno strumento prettamente politico, come in questo caso.

Ed è proprio il potere politico della settima arte che qui fa da protagonista assoluto. Perché, diciamolo pure, talvolta (anzi, più spesso di quanto si immagini) le innumerevoli potenzialità del mezzo cinematografico vengono sottovalutate. E non poco. Basti pensare a come determinate pellicole hanno avuto impatto sul pubblico ed a come gli spettatori di oggi tendono a restare “immuni”, nel momento in cui si trovano davanti gli prodotti considerati – a loro tempo – “rivoluzionari”. Ormai siamo abituati a vedere ed a sentire di tutto. Eppure, recandoci al cinema, possiamo trovare – oltre al semplice intrattenimento – anche un importante spunto di riflessione. A tale scopo, pertanto, Domani risulta perfettamente pertinente.

domani-trailer-italiano-del-documentario-di-cyril-dion-e-melanie-laurentPer quanto riguarda il messaggio finale, forse il lavoro di Dion e Laurent può sembrare un po’ troppo ottimista ed utopistico, quello sì. Ma, d’altronde, anche questa potrebbe rivelarsi una strategia vincente al fine di far arrivare al pubblico ciò che si è appena messo in scena. Chissà, però, che effetto avrebbero avuto immagini ben più crude e realistiche e prospettive di gran lunga più drammatiche. Questo non possiamo saperlo. Ma, al momento, ci basta pensare che un prodotto semplice, pulito e diretto come Domani possa smuovere un bel po’ di “menti pensanti”, al fine di porre rimedio al disastro che stiamo combinando nella gestione del nostro pianeta. E che il cinema, (anche) in questo caso, ci sia d’aiuto!

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE DI MARINA: IL CLUB di Pablo Larrain

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TITOLO: IL CLUB; REGIA: Pablo Larrain; genere: drammatico; anno: 2015; paese: Cile; cast: Alfredo Castro, Antonia Zegers, Roberto Farias, Jaime Vadell; durata: 98′

Attualmente – e finalmente! – in programmazione – da giovedì 25 febbraio – nelle sale italiane, Il club, vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino nel 2015, è l’ultima fatica del cineasta cileno Pablo Larrain.

In una casa in riva al mare, in un piccolo paesino sulla costa cilena, vivono quattro sacerdoti, insieme ad una suora, i quali devono fare penitenza per i loro peccati. I cinque, però, si dedicano alle scommesse sulle corse clandestine di levrieri e conducono una vita non in linea con ciò che la Chiesa stessa gli ha imposto. L’arrivo di un quinto sacerdote ed il suo subitaneo suicidio, però, sconvolgeranno gli equilibri venutisi a formare.

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Pablo Larrain, autore tra i più influenti nel panorama cinematografico contemporaneo e da sempre impegnato sul piano politico, ha qui, per la prima volta, trattato un tema quanto mai attuale come quello dei preti pedofili e dell’omertà della Chiesa Cattolica a riguardo. Dopo la dittatura di Pinochet – ampiamente trattata già in Post mortem e nel recente No – I giorni dell’arcobaleno – ecco che il cineasta cileno approfondisce un nuovo tema, creando un prodotto altamente d’impatto, “scomodo” (basti pensare che in Italia sono pochissime le sale in cui viene proiettato), ma, allo stesso tempo di grande potenza cinematografica. Un prodotto politico, ma in cui il cinema non viene “assorbito” dal potere politico stesso.

Il-Club-di-Pablo-Larraín-05-1000x583Il lungometraggio si apre con un passo della Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre”. Partendo da questa dicotomia luce/tenebre, ecco che Larrain si concentra su queste ultime, mostrandoci un mondo “sporco”, oscuro, segreto. Ma chi è, in fin dei conti, la vittima e chi il carnefice? La figura del sacerdote mandato dalla Chiesa per indagare circa il passato dei quattro protagonisti sta a rappresentare questo potere supremo, corrotto, fasullo che dall’alto è pronto a giudicare chiunque provi a discostarsi da regole severamente imposte. I sacerdoti, dal canto loro, sono personaggi malati, ipocriti, che, dopo aver perso il contatto con sé stessi a furia di sentirsi costretti in una vita non loro, hanno anche perso la lucidità nell’affrontare la vita stessa.

El-clubUna figura particolarmente interessante è quella del pescatore alcolizzato Sandokan, vittima, durante l’infanzia, di abusi sessuali da parte di un prete. Egli, una sorta di “voce della verità” è un personaggio scomodo, ma anche una sorta di Cristo sceso in terra, che pertanto dovrà “espiare” le colpe dei suoi fratelli – secondo il giudizio della comunità del paesino – immolandosi al posto loro. Particolarmente intrisa di simbolismo religioso, a questo proposito, la scena in cui, dopo aver fatto picchiare Sandokan dalla gente del posto, accusandolo di una colpa non commessa, uno dei sacerdoti, in atto di penitenza, è intento a lavare i piedi all’uomo, per poi chinarsi a baciarli. Sandokan, dal canto suo, è composto sulla sedia alla stregua di un Cristo appena deposto dalla croce.

A021_C013_0722KAPablo Larrain racconta tutto ciò in modo assolutamente personale e spiazzante, senza voler proclamare a tutti i costi una tesi definitiva. Questo suo modo di raccontare viene, qui, inoltre, rafforzato da una regia sapiente e da una fotografia che gioca molto sul contrasto luce/ombra, con immagini spesso poco definite e con personaggi di cui vediamo sovente soltanto il controluce, il riflesso o l’ombra stessa.

Con questo suo ultimo lavoro, Larrain ha nuovamente dato prova del suo grande talento di cineasta e narratore, dimostrando, così, di essere una delle personalità più importanti del panorama cinematografico contemporaneo.

VOTO: 9/10

Marina Pavido

NEWS HOME VIDEO: SCANDALO IN SALA di Serafino Murri e Alexandra Rosati in DVD e in tour nei cinema

Ricevo e volentieri pubblico

SCANDALO IN SALA

(La sfida tra Potere e cinema in Italia)

 

di Serafino Murri e Alexandra Rosati

 SIS - BERNARDO_BERTOLUCCI_ Foto Mario Amura r

IN HOME VIDEO IL FILM DOC SULL’INCONTRO (E LO SCONTRO) TRA CINEMA E POTERI NEL PAESE.

Da Totò e Carolina a La dolce vita, da Marco Bellocchio a Nanni Moretti, da Andreotti a Berlusconi,  tra censure, sequestri, crociate e sogni di celluloide, un viaggio avvincente nel nostro immaginario.

 

Quarant’anni di storia del Paese e di “attentati” cinematografici all’immagine dell’Italia stabilita dal Potere. È il racconto di Scandalo in sala, il film documentario di Serafino Murri e Alexandra Rosati in uscita in home video con Istituto Luce-Cinecittà, e che avrà un tour di presentazioni in sala all’inizio del 2015.

IL FILM

 SIS - M. Bellocchio r

Scandalo in sala racconta un’Italia molto diversa da quella di oggi. Un Paese in cui il cinema era il “mezzo più potente”, un’industria culturale al secondo posto nel mondo e prima in Europa, e un mezzo capace di incidere profondamente con le sue storie sull’immaginario del Paese; di rappresentare per il Potere qualcosa di insidioso, in grado di turbare e mobilitare la morale comune, di mettere in crisi le sue certezze e attentare alla “normalità”.

Il cinema italiano dagli anni Quaranta agli anni Settanta ha prodotto film straordinari, che hanno avuto la forza di dissacrare totem e tabù del senso comune, rivendicando libertà espressive, dando corpo a desideri e utopie: e provocando scandalo.

Da “Totò e Carolina” di Monicelli a “La dolce vita” di Fellini fino a “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini, passando per “I Pugni in tasca” di Bellocchio, “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci e “Todo Modo” di Petri, Scandalo in sala racconta l’incontro spesso complesso, e a volte lo scontro tra il cinema italiano e il Potere istituzionale, politico, religioso, e con l’opinione pubblica.

Una storia fatta di censure, crociate giornalistiche e religiose portate avanti su fronti opposti dalle “due chiese” (come le definiva Pier Paolo Pasolini), i grandi schieramenti ideologici della DC e del PCI; e poi processi penali, sequestri, provvedimenti esemplari.

Attraverso i ricordi e lo sguardo di autori come Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Nanni Moretti, Wilma Labate, Marco Tullio Giordana, Vittorio Taviani e Francesca De Sapio, ma anche l’analisi critica di Alberto Crespi e Monsignor Dario E. Viganò, un viaggio alla scoperta di un cinema sorprendente, coraggioso, a volte persino spietato, che sapeva coinvolgere il pubblico fino a toccarne l’inconscio collettivo.

Un cinema vivo, capace di portare ancora con sé tutta la forza di un tempo di speranze (e di illusioni) dove l’idea di cambiare il mondo non era una bestemmia o una velleità in una società indifferente e rassegnata, ma un sentimento comune, una necessità, una ragione di vita.

Un cinema che non chiede nostalgia, ma sa restituire anche ai giovani di oggi, i ‘nativi digitali’, uno sguardo nuovo e coinvolto sul mondo.

Guarda il promo: http://youtu.be/mWIwIvhPowg

 

 SIS - M.T. Giordana r - Foto Mario Amura

 

SCANDALO IN SALA (La sfida tra Potere e Cinema in Italia) –

un documentario di Serafino Murri e Alexandra Rosati

Soggetto, sceneggiatura e regia Serafino Murri e Alexandra Rosati Direttore della fotografia Mario Amura Fonico di presa diretta Gianluca Costamagna Montaggio Angelo Musciagna Animazioni grafiche Paolo Tommasini Musiche Arturo Annecchino

 

Prodotto e distribuito da  Istituto Luce-Cinecittà

 

CON LA PARTECIPAZIONE DI: Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Alberto Crespi, Francesca De Sapio, Marco Tullio Giordana, Wilma Labate, Nanni Moretti, Vittorio Taviani, Mons. Dario E. Viganò

 SIS - Nanni_Moretti_foto Mario Amura

In DVD nelle migliori librerie e videoteche – prezzo al pubblico euro 9,99

Distribuzione: Terminal Video

 

DELL’ARTE DELLA GUERRA di Luca Bellino e Silvia Luzi GRAND PRIX AL MEDITERAN FILM FESTIVAL

Ricevo e volentieri pubblico

 

Vince ancora «Dell’arte della guerra», il film sulla lotta degli operai della Innse di Milano: Grand prix al Mediteran Film Festival in Bosnia-Erzegovina


In autunno torna nelle sale italiane con distribuzione Lab 80 film

 dellarte-della-guerraMartedì 2 settembre 2014  – Ancora un successo per il cinema italiano all’estero. «Dell’Arte Della Guerra», il film di Luca Bellino e Silvia Luzi che narra la lotta degli operai della fabbrica Innse di Milano per raccontare la crisi economica e il potere, ha vinto in Bosnia-Erzegovina aggiudicandosi il Grand Prix al Mediteran Film Festival (www.mff.ba).

Ha detto la giuria del festival, composta da Antonia Dubravka Carnerud, Manuel Jimenez Nunez e Pierre Zalica: «Il documentario è di attualità globale e rappresenta la realtà per molti lavoratori europei. È narrato in modo tale da rendere immediata la nostra identificazione. Attraverso un approccio visivo molto originale gli autori restituiscono un forte impegno sociale, incoraggiando la nostra consapevolezza e permettendoci di credere che la vittoria di Davide su Golia è ancora possibile».

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«In ogni paese il film viene accolto in modo diverso – spiegano i due registi, Luca Bellino e Silvia Luzi – ma il messaggio degli operai sulla necessità della lotta arriva sempre ben chiaro, di qualunque lotta si tratti. Questo premio ne è l’ennesima dimostrazione. In autunno “Dell’arte della guerra” sarà di nuovo in sala in Italia, speriamo di avere le stesse richieste e la stessa accoglienza che ormai da due anni riceviamo all’estero». 

 

«Dell’arte della guerra» in poco più di un anno è stato presentato nei principali festival europei, del Pacifico e dell’America Latina. Dopo l’anteprima al VII Festival del Film di Roma dove ha vinto il premio Biblioteche di Roma-Miglior documentario, il film di Luzi e Bellino ha continuato un percorso ricco di riconoscimenti arrivati soprattutto dalle giurie internazionali: in Austria, al Crossing Europe, la FEDEORA (Federation of Film Critics of Europe and Mediterranean) lo ha giudicato miglior documentario europeo, a Parigi ha ottenuto il prestigioso Premio Mario Ruspoli del Jean Rouch Film Festival, in Nuova Caledonia ha vinto il Grand Prix al Festival Du Cinema Des Peuples Anuu-ru Aboro. Sempre all’estero, la 56esima edizione del DOK Leipzig gli ha conferito due nomination europee e Amnesty International l’ha nominato tra i migliori documentari europei della stagione nell’ambito del Planete Doc di Varsavia. Molti anche i premi italiani: tra gli altri “Dell’arte della guerra” è miglior documentario al Premio Marcellino De Baggis, ha vinto il Premio Avanti!, il Festival del Documentario d’Abruzzo, e ha ricevuto menzioni speciali a Napoli, Milano e Ischia, oltre ad aver ottenuto la nomination ai Globi D’Oro.

Gli Ateliers Varan di Parigi inoltre hanno dedicato al film un seminario di studi diretto dalla filosofa e teorica del cinema Marie Josè Mondzian dal titolo “Cinema e contro-potere”.

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“Dell’arte della guerra” è distribuito in sala in Italia da Lab 80 film (www.lab80.it).

È una produzione Kino Produzioni in collaborazione con Indieair Films e in associazione con Tfilm. Le musiche originali del film sono di Nicolò Mulas e ha straordinariamente partecipato anche il cantautore Gianmaria Testa.

 

Informazioni e contatti  http://www.dellartedellaguerra.com