LA RECENSIONE – UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA di Sean Baker

film-in-uscita-un-sogno-chiamato-florida_oggetto_editoriale_800x600TITOLO: UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA; REGIA: Sean Baker; genere: drammatico; paese: USA; anno: 2017; cast: Willem Dafoe, Bria Vinaite, Brooklynn Prince; durata: 112′

Nelle sale italiane dal 22 marzo, Un Sogno chiamato Florida è l’ultimo lungometraggio del cineasta indipendente Sean Baker, presentato in anteprima al Torino Film Festival 2017 e che ha visto la candidatura di Willem Dafoe per l’Oscar al Miglior Attore Non Protagonista.

Moonie, Scotty e Jancey sono tre bambini di sei anni che vivono in Florida, alle porte di Disneyland, ma in una zona del tutto periferica e abbandonata, insieme alle rispettive madri. Per loro la vita non è facile, eppure, con i loro occhi di bambini, riusciranno a vedere il bello in tutto, passando una delle estati più felici della loro vita. La giovane madre di Moonie, Halley, tuttavia, al fine di riuscire a pagare la piccola stanza che ha in affitto in un residence insieme alla figlioletta, vive al confine tra legalità e crimine. Questo, ovviamente, presenterà pesanti conseguenze.

A metà strada tra un film truffautiano e una pellicola di Larry Clark, questo prezioso lavoro di Baker ci racconta la squallida periferia statunitense attraverso gli occhi dei bambini, rendendo il tutto incredibilmente gioioso, colorato, vivo come forse non è stato mai. Persino i residence vengono rappresentati alla stregua di case accoglienti o, meglio ancora, di vere e proprie case incantate, con i loro colori pastello e le loro scale che tanto stanno a ricordare i labirinti dei luna park.

Il residence dove abita Moonie insieme alla madre Halley è, nello specifico, rappresentato come una sorta di girone dantesco, con persone che vivono ai margini della società ma con una sorta di angelo custode – interpretato dal grande Willem Dafoe nei panni del sorvegliante del residence stesso – che veglia su di loro ed è pronto a risolvere, spesso con fare severo e paternalistico, ogni loro problema.

E poi ci sono loro: i bambini, sempre pronti a vivere al massimo le loro giornate, accontentandosi di poco e divertendosi anche se non riescono e forse non riusciranno mai ad andare alla vicina Disneyland. Una vita, la loro, fatta di risate e semplici scherzi, in cui sono le madri (i padri sono del tutto assenti) a gestire la loro quotidianità, la cui serenità può essere minata soltanto dalle autorità, con il loro cinismo e le loro regole che spesso vanno contro ogni buonsenso.

Un vero e proprio gioiellino direttamente dal Torino Film Festival, questo lungometraggio di Sean Baker. Una pellicola dolce e amara che, ci auguriamo, non passerà affatto inosservata.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – MALARAZZA di Giovanni Virgilio

malarazza-678x381TITOLO: MALARAZZA; REGIA: Giovanni Virgilio; genere: drammatico; paese: Italia; anno: 2017; cast: Stella Egitto, Paolo Briguglia; David Coco; durata: 98′

Nelle sale italiane dal 9 novembre, Malarazza è l’opera seconda del giovane regista Giovanni Virgilio.

È a tutti gli effetti una storia universale, quella che ci viene qui presentata: la storia della giovane Rosaria, madre di un ragazzo di quattordici anni, la quale, dopo essere stata costretta a sposarsi perché incinta, viene costantemente maltrattata dal marito Tommasino Malarazza, un boss locale quasi caduto in rovina che chiede a sua moglie anche i pochi soldi guadagnati in lavanderia. Non sarà facile per la donna prendere la decisione di andarsene di casa insieme a suo figlio, anche se pronto ad aiutarla c’è suo fratello Franco, transessuale costretto a prostituirsi per poter arrivare a fine mese. Una volta libera, però, la situazione non sembrerà, poi, così semplice.

Colpisce fin da subito il cinismo e l’estrema lucidità con cui il regista ha messo in scena la storia di Rosaria. Quello che abbiamo davanti agli occhi è quel che si dice un film arrabbiato, particolarmente sentito, un urlo di dolore che, però, allo stesso tempo, risulta del tutto privo di speranza in un futuro migliore. Molto ben riuscite, a tal proposito, le ambientazioni: la bellissima città di Catania – a tutti gli effetti coprotagonista del lungometraggio – si è dimostrata teatro ideale per ciò che si è voluto raccontare, grazie ai suoi quartieri ed alle sue strade con palazzi antichi ma dall’aspetto decadente, apparentemente trascurati, ma al contempo quasi magnetici nella loro bellezza. La stessa vita di periferia viene ben resa sullo schermo anche grazie a musiche in questo contesto particolarmente indovinate ed alla maggior parte di scene girate in notturna.

Quel che meno convince di questo lavoro di Giovanni Virgilio è, in realtà, l’eccessivo stile da fiction televisiva (ma, d’altronde, lo stesso regista ha affermato di voler trarre una serie proprio da Malarazza), oltre a qualche incongruenza dal punto di vista dello stesso script, come, ad esempio, problemi che vengono risolti in modo eccessivamente sbrigativo (vedi la convocazione di Rosaria presso la centrale di polizia dopo l’uccisione del marito) o un andamento narrativo talvolta discontinuo. Ed è probabilmente proprio il fatto di voler dar vita ad una serie che fa immaginare il lungometraggio quasi come un prodotto pensato per un ambito diverso dalla sala cinematografica. Da qui, appunto, l’impressione che al lavoro stesso sia stato tolto un po’ troppo respiro, che sia stato collocato suo malgrado in un contesto non suo, il quale, di conseguenza, può addirittura risultargli stretto.

Poco male, però. Dalla sua, Malarazza ha di certo il fatto di non essere scaduto in una pericolosa retorica o in facili buonismi. Dato il tema trattato, infatti, questo è uno degli errori più comuni che siano mai stati commessi.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

12° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – LIFE AND NOTHING MORE di Antonio Méndez Esparza

35.La-vida-y-nada-mas_740x442TITOLO: LIFE AND NOTHING MORE; REGIA: Antonio Méndez Esparza; genere: drammatico; paese: Spagna, USA; anno: 2017; cast: Andrew Bleechington, Regina Williams, Robert Williams; durata: 114′

Presentato in anteprima alla 12° edizione della Festa del Cinema di Roma, Life and Nothing More è il secondo lungometraggio del regista spagnolo Antonio Méndez Eparza, suo primo lavoro in lingua inglese.

La storia raccontata è quella di Andrew – quattordicenne malinconico e solitario con una difficile esperienza in riformatorio alle spalle – e di sua madre Regina – desiderosa di rifarsi una vita dopo il fallimento del suo primo matrimonio, ma con numerose difficoltà ad arrivare a fine mese. L’incontro di quest’ultima con un uomo responsabile ed innamorato potrebbe, in qualche modo, aiutarla nella quotidianità. Le cose, però, prenderanno presto una piega inaspettata.

La cosa più interessante che il regista ha qui voluto mettere in scena è probabilmente proprio la vita della periferia americana ai giorni nostri. Ben descritti, a tal proposito, gli ambienti, con le loro strade semi deserte ed esterni che sembrano quasi dimenticati dal resto del mondo, oltre ad interni squallidi ed angusti. Il problema di un lungometraggio come Life and Nothing More è, in realtà, proprio lo script. Sono molti, come è stato detto, gli spunti da cui la vicenda prende il via. Peccato, però, che – durante le quasi due ore di lungometraggio – Méndez Esparza sembri prendere ogni volta una direzione diversa, senza mai portare a termine ciò che ha inizialmente iniziato e, soprattutto, rendendo tutto il lavoro quasi completamente privo di ritmo o di picchi narrativi. Ed ecco che, se all’inizio la macchina da presa sembrava concentrarsi esclusivamente sul giovane Andrew, dopo circa mezz’ora prende a seguire Regina senza mai staccarsi da lei e mettendo da parte, inspiegabilmente, il ragazzo. Il punto è che non si tratta, però, né di un film corale, né, tantomeno, di un lungometraggio ad episodi. Stesso discorso si può fare per altri importanti elementi che vengono via via tirati in ballo, per essere poi totalmente abbandonati senza logica alcuna. Ѐ questo, ad esempio, il caso del personaggio del compagno di Regina, il quale esce quasi improvvisamente di scena per poi non tornare più e facendo sì che la sua stessa presenza risulti del tutto inutile ai fini della narrazione stessa. Allo stesso modo, il discorso del trumpismo e del conseguente razzismo – che viene affrontato nel momento in cui Andrew, dopo essere stato trattato in malo modo da una coppia al parco, finisce per minacciare questi ultimi con un coltello – cade improvvisamente nel vuoto, nel momento in cui il ragazzo viene rilasciato (ovviamente fuoricampo e, anche qui, senza un minimo di tensione). La vera scena madre, però, si trova quasi verso il finale, quando vediamo Regina dare una lettera ad Andrew che lei stessa ha scritto. Ѐ qui che, mentre il ragazzo è intento a leggere, si sente la voce della madre fuoricampo che pronuncia le parole da lei scritte. Peccato che quest’ultima si trovi, allo stesso momento, proprio di fianco al figlio.

Che questo lungometraggio di Méndez Esparza, dunque, non sia proprio quel che si dice un film riuscito, siamo d’accordo tutti. Eppure, volendo fare un discorso esclusivamente sulla regia, le scelte adoperate dall’autore sono anche piuttosto interessanti: perfettamente in linea con la teoria zavattiniana, la macchina da presa segue costantemente i personaggi con movimenti essenziali, adoperando ogni volta pochissimi punti macchina e dando al tutto un interessante tono quasi documentaristico. Peccato, dunque, essersi bruciati un film così. Chissà, magari, con un suo prossimo lavoro, il giovane cineasta spagnolo saprà come farsi perdonare. Questo, almeno, è quello che ci auguriamo.

VOTO: 5/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – BRUTTI E CATTIVI di Cosimo Gomez

brutti e cattiviTITOLO: BRUTTI E CATTIVI; REGIA: Cosimo Gomez; genere: commedia; paese: Italia, Belgio, Francia; anno: 2017; cast: Claudio Santamaria, Sara Serraiocco, Marco D’Amore; durata: 87’

Nelle sale italiane dal 19 ottobre, Brutti e cattivi è l’ultimo lungometraggio di Cosimo Gomez, presentato nella sezione Orizzonti alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Un’insolita banda di criminali – capeggiata da un paraplegico detto il Papero e formata dalla moglie di lui, una bella ragazza senza braccia detta la Ballerina, da un tossico detto il Merda e da un nano rapper detto Plissé – mette a segno una rapina in una banca alla periferia di Roma, dove un mafioso cinese ha riposto i proventi delle sue attività illecite. Il Papero, tuttavia, non sospetta che, in realtà, sua moglie ed i suoi complici stanno tramando contro di lui. Una volta realizzato il colpo, quindi, le cose prenderanno una piega inaspettata.

Indubbiamente l’idea di mettere in scena la diversità senza ipocriti buonismi e senza scadere nel luogo comune è una trovata interessante. Il vero problema di un film come Brutti e cattivi sta, però, proprio nello script: tanti, troppi eventi ed intrecci di ogni genere si susseguono repentinamente senza, però, far prendere un attimo di respiro al film e seguendo un percorso pericolosamente banale e con esiti fortemente telefonati. Già nel momento in cui vediamo il Merda tradire il suo capo, ad esempio, possiamo facilmente immaginare il finale.

Persino personaggi potenzialmente interessanti come i protagonisti, tra l’altro, vengono tristemente “sprecati”, in quanto privi di reale spessore. Si ha l’impressione che lo stesso Gomez non abbia avuto interesse nello svilupparli come avrebbero meritato. Peccato, soprattutto perché – seguendo (quasi) le orme dei freaks di Tod Browning – tutti loro avrebbero di certo avuto tanto da regalarci.

Cos’è, dunque, Brutti e cattivi? Indubbiamente un tentativo da parte del cinema italiano di staccarsi da quel che è la commedia nostrana di grande distribuzione, ma anche, purtroppo, un’operazione maldestra che denota poca chiarezza di intenti.

VOTO: 4/10

Marina Pavido

VENEZIA 74 – IL CONTAGIO di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini

indexTITOLO: IL CONTAGIO; REGIA: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini; genere: drammatico; paese: Italia; anno: 2017; cast: Vinicio Marchioni, Anna Foglietta, Vincenzo Salemme; durata: 110′

Presentato alla 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori, Il contagio è l’opera seconda dei giovani cineasti romani Matteo Botrugno e Daniele Coluccini.

Ci troviamo in via Vermeer, in una palazzina di borgata. Marcello, Chiara, Mauro, Simona ed il professor Walter – che ha il compito di raccontarci attraverso i suoi scritti la realtà che lo circonda, con il suo fare quasi pasoliniano – sono alle prese con i numerosi problemi della quotidianità e desiderosi di cambiare vita una volta per tutte. Al punto di farsi coinvolgere pericolosamente dalla malavita locale.

Nulla di apparentemente nuovo, vero? Eppure, analogamente alla loro opera prima Et in terra pax – anche se forse con meno mordente – questo lungometraggio di Botrugno e Coluccini, per lo sguardo intimista ma mai invasivo, per la spiccata capacità di raccontare la realtà evitando ogni retorica o cliché, per l’eccezionale maturità stilistica, unita ad un senso estetico che non scade mai in inutili virtuosismi registici, Il contagio riesce a classificarsi come un prodotto particolarmente interessante all’interno del panorama cinematografico italiano contemporaneo.

Il ritratto della periferia che ne viene fuori è sì crudo e doloroso, ma anche estremamente suggestivo e – strano ma vero! – incredibilmente tenero, se si osserva da lontano i personaggi come parte di un enorme dipinto. Ed è proprio alla stregua di un dipinto raffigurante i vari gironi danteschi che ci viene presentata, nei primi minuti, la palazzina di via Vermeer. Lo sguardo dei registi è, nei suoi confronti, incredibilmente affettuoso. Lo si nota non solo dalle pittoresche inquadrature che di quando in quando le vengono dedicate, ma anche dalle emozionanti parole del professor Walter in chiusura del lungometraggio.

Probabilmente l’unica pecca di questo ultimo lavoro di Botrugno e Coluccini sta proprio nello script, che vede – volutamente – l’opera suddivisa in due parti, ma che nella seconda metà tende a cambiare registro, somigliando a molti altri prodotti cinematografici italiani degli ultimi anni – primo fra tutti: Suburra – perdendo quasi di identità. Poco male, però. Se tutti i lungometraggi prodotti in Italia oggi fossero paragonabili per quanto riguarda la qualità a Il contagio, forse la situazione del cinema italiano contemporaneo non sarebbe poi così drammatica.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – CODICE CRIMINALE di Adam Smith

Codice_criminale_2016TITOLO: CODICE CRIMINALE; REGIA: Adam Smith; genere: drammatico; paese: Gran Bretagna; anno: 2017; cast: Michael Fassbender, Brendan Gleeson, Sean Harris; durata: 99′

Nelle sale italiane dal 28 giugno, Codice criminale è l’ultimo film del regista Adam Smith, con protagonisti Michael Fassbender e Brendan Gleeson.

La famiglia Cutler vive ai margini della società ed è da anni dedita alla malavita. Chad, padre di due bambini, è da tempo ricercato dalla polizia per numerosi furti  realizzati insieme al padre Colby. La sua condotta creerà non pochi problemi anche ai figli. L’uomo, tuttavia, tenterà in ogni modo di riscattarsi e di riacquistare la fiducia da parte dei bambini.

1494589838_10360-Tresspass-Against-Us-Photo-Nick-Wall-590x341Indubbiamente i personaggi qui messi in scena da Smith sono parecchio interessanti. Soprattutto per la loro complessità e le loro mille sfaccettature. Se poi portati avanti da un cast di tutto rispetto, ecco che immediatamente acquistano tutte le carte in regola per avere successo sul grande schermo. E così è, infatti, per il protagonista Chad, così come per sua moglie Kel o per suo padre Colby.

L’estrema periferia inglese, dal canto suo, si fa ottima location per un dramma famigliare e sociale, nonché interessante fotografia di una realtà apparentemente isolata dal resto del mondo e che, di fatto, sembra essere addirittura dimenticata dal mondo stesso.

1494590198_tau_reel_05_still.0003754-590x246Malgrado, però, la buona regia – particolarmente interessanti, a tal proposito,le scene delle corse in macchina e gli ultimi minuti, in cui vediamo Chad seduto con sui figlio su di un albero, al fine di salutarlo prima di consegnarsi alla polizia – e gli interessanti spunti iniziali, questo ultimo lavoro di Adam Smith sembra non riuscire a spiccare quel salto di qualità che gli permetta di distinguersi dai numerosi prodotti del genere che ogni anno escono in sala.

Peccato. Soprattutto perché le premesse per una buona riuscita c’erano tutte. Eppure, a livello di scrittura, manca forse quell’indagine, quell’approfondimento particolare che dia al prodotto finale uno sguardo del tutto personale, ma ben definito.

Gradevole? Sì. Appassionante? Abbastanza. La buona riuscita di Codice criminale, però, sembra limitarsi solo a ciò.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

LA RECENSIONE – LE ARDENNE di Robin Pront

coverlgTITOLO: LE ARDENNE; REGIA: Robin Pront; genere: drammatico; paese: Belgio; anno: 2017; cast: Jeroen Perceval, Kevin Janssen, Veerle Baetens; durata: 92′

Nelle sale italiane dal 29 giugno, Le Ardenne è l’ultimo lungometraggio diretto dal belga Robin Pront, presentato dal Belgio come candidato agli Oscar nel 2017 come Miglior Film Straniero.

In seguito ad un tentativo di rapina finito male, il giovane Kenneth viene arrestato e condannato a quattro anni di galera. Il ragazzo, però, non ha detto alla polizia che gli altri suoi complici erano suo fratello Dave e la sua ragazza Sylvie. Gli anni passano, il ragazzo finalmente esce di galera, ma, nel frattempo, la sua fidanzata ha iniziato una storia con Dave ed aspetta un figlio da lui. La verità, dunque, non potrà essere tenuta nascosta a lungo.

ardennes_02Per essere un’opera prima, questo lungometraggio del giovane Robin Pront ha indubbiamente degli spunti piuttosto interessanti. L’ambientazione, in primis, è molto ben strutturata: una periferia abbandonata dove anche chi ci vive sembra quasi abbandonato a sé stesso ed al proprio destino. Non è facile uscire indenni da una realtà del genere. Lo sanno bene i due protagonisti, che ogni giorno devono lottare per tenersi stretto il lavoro e per restare lontani da ogni ipotetico guaio. Un mondo duro, questo descritto da Pront. Duro e spietato, dove non vi sono buoni né cattivi, dove si è a turno vittime e carnefici.

Fatta eccezione per il personaggio di Kenneth, a volte un po’ troppo caricato, le altre figure sono molto ben caratterizzate, compresa la madre dei due ragazzi: una donna che, dopo aver visto davvero di tutto nella vita, non desidera altro che restare tranquilla e lontana da ogni qualsivoglia preoccupazione. Anche a costo di allontanare i suoi stessi figli.

coverlg_home (4)All’interno dello script forse c’è qualche incongruenza di troppo, a tratti – soprattutto nella parte centrale – il lungometraggio in sé potrebbe risultare poco credibile. Eppure tali “mancanze” vengono compensate da un più che riuscito ribaltamento finale, il quale, da solo, riesce a sollevare le sorti dell’intero lungometraggio.

Un interessante esordio, dunque, questo di Robin Pront. Non resta che attendere altri suoi lavori, dunque, per vedere in che modo si evolverà e crescerà come cineasta.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

VENEZIA 73 – BITTER MONEY di Wang Bing

ku-qianTITOLO: BITTER MONEY; REGIA: Wang Bing; genere: documentario; anno: 2016; paese: Cina; durata: 150′

Presentato in concorso nella sezione Orizzonti alla 73° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Bitter Money è l’ultimo lavoro del premiato documentarista cinese Wang Bing.

Tre storie, tre giovani che hanno lasciato la periferia per trasferirsi in una grande città metropolitana della Cina orientale, al fine di trovare lavoro. Malgrado il settore industriale sia in continua crescita, però, poca attenzione si presta alle condizioni di vita dei numerosi lavoratori delle fabbriche. I giovani protagonisti sono alcuni esempi di operai sfruttati e sottopagati che, a quanto pare, hanno perso qualsiasi concezione della realtà.

Wang Bing da sempre si è dimostrato attento alle numerose problematiche politiche e sociali del presente, così come del passato. Il tema del lavoro, ad esempio, già era stato trattato nel documentario Coal Money (2008), in cui venivano denunciate le disumane condizioni di vita di alcuni minatori cinesi, ed in I dannati di Jiabiangou (2010), ambientato nei primi anni Sessanta della Cina maoista. In Bitter Money viene raccontato, invece, un mondo al quale si è costantemente in contatto: basta, infatti, recarsi anche solo in un negozio qualsiasi della metropoli per essere testimoni delle drammatiche condizioni di indigenza di chi ci lavora.

Caratteristica dello stile di Wang Bing è la grande capacità di far entrare lo spettatore nel vivo delle vicende mostrate, grazie ad una raffinata tecnica di pedinamento zavattiniana ed a un realismo quassi estremo – ottenuto grazie anche all’uso di particolari focali a seconda di ciò che si vuol mettere in evidenza – che – con una buona dose di crudezza – non ha paura di mostrarci anche gli aspetti più reconditi della vita dei personaggi da lui raccontati. Anche in questo suo ultimo lavoro, questo modo di raccontare si è rivelato una scelta più che giusta: i tre giovani vengono seguiti passo passo nella loro quotidianità, dal viaggio in treno per trasferirsi in città al lavoro in fabbrica, fino al termine della giornata lavorativa. Fa male – durante la visione – il cinismo che si è impossessato dei protagonisti: i rapporti con i colleghi, gli affetti, ma, soprattutto, la considerazione di sé stessi e degli altri sembrano aver lasciato il posto ad un primordiale istinto di sopravvivenza, quasi come se non si fosse più degli esseri umani, ma si vivesse alla stregua di vere e proprie macchine. È questo, dunque, il prezzo da pagare per mandare avanti l’economia del paese? Wang Bing, ovviamente, non è il primo a denunciare determinate realtà, ma solo lui, però, riesce a farlo colpendo nei punti giusti ed offrendoci un punto di vista particolarmente attento ed indagatore, ma mai presuntuoso o eccessivamente giudicante.

L’unica pecca di un grande lavoro come Bitter Money può essere, forse, quella di avere al proprio interno qualche punto morto di troppo (sebbene la sua durata sia di gran lunga inferiore ad alcuni dei precedenti lavori), in quanto il regista tende a reiterare eccessivamente determinati momenti. Detto questo, però, ci troviamo comunque davanti ad un ritratto coinvolgente ed addirittura magnetico di una porzione della società odierna, ulteriore dimostrazione del grande talento del maestro cinese, il quale, a sua volta, si è confermato uno dei più abili narratori del reale presenti ai giorni nostri, facendo sì che le storie da lui mostrate diventino, in qualche modo, anche le nostre storie.

VOTO: 8/10

Marina Pavido

OGGI AL CINEMA: tutte le novità in sala del 30/06/2016

A cura di Marina Pavido

È giovedì e, come ogni settimana, il palinsesto si rinnova. Anche oggi sono numerosi i nuovi titoli in programmazione nelle sale italiane: dall’iraniano A girl walks home alone at night alla commedia americana Il piano di Maggie, dal lungometraggio di animazione Ratchet & Clank al giapponese Tokio Love Hotel. Come di consueto, ecco una breve rubrica per aiutarvi a scegliere ciò che maggiormente incontra i vostri gusti. In fondo ad alcune trame, inoltre, sarà possibile leggere qualche nostra recensione.

 

NAHID

Nahid

REGIA: Ida Panahandeh; genere: drammatico; anno: 2015; paese: Iran; cast: Sareh Bayat, Pejman Bazeghi

Nahid è una giovane donna divorziata con il figlioletto a carico. Il suo ex marito, tossicodipendente, minaccia di toglierle l’affidamento del bambino qualora lei si risposasse. Le cose si complicano quando la donna si innamora di un uomo che sembra amarla a sua volta.

LA RECENSIONE:

LA RECENSIONE DI MARINA: NAHID di Ida Panahandeh

 

A DRAGON ARRIVES!

a-dragon-arrives

REGIA: Mani Haghighi; genere: avventura, horror; anno: 2016; paese: Iran; cast: Amir Jadidi, Ehsan Goodarzi, Homayoun Ghanizadeh

Il detective Babak Hafizi, incaricato di indagare su un sospetto suicidio di un esule politico, viene a conoscenza di un’antica leggenda, secondo la quale ogni volta che qualcuno viene sepolto in un vecchio cimitero (vicino al luogo del suicidio) si scatena un misterioso terremoto.

IL PIANO DI MAGGIE

57020_ppl

REGIA: Rebecca Miller; genere: commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Greta Gerwig, Ethan Hawke, Julianne Moore

Maggie è una brillante trentenne che decide di avere un figlio da sola. I suoi piani cambiano quando incontra un affascinante scrittore in crisi e se ne innamora. L’uomo, a sua volta, però, è infelicemente sposato con una professoressa universitaria. Tra i tre verrà a crearsi una bizzarra situazione.

RATCHET & CLANK – IL FILM

herois-da-galaxia

REGIA: Kevin Munroe, Jericca Cleland; genere: animazione, avventura, azione, commedia; anno: 2016; paese: USA

Ratchet è l’ultimo extraterrestre della sua specie, mentre Clank è un piccolo e simpatico robot. I due, insieme, avranno il compito di fermare un pericoloso alieno che minaccia di distruggere ogni pianeta della galassia.

A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT

a-girl-walks-alone

REGIA: Ana Lily Amirpour; genere: drammatico, horror; anno: 2013; paese: Iran, USA; cast: Sheila Vand, Arash Marandi, Marshall Manesh

A Bad City, una malfamata città iraniana, una misteriosa ragazza si aggira da sola per le strade di notte. Dal suo incontro con un ragazzo con una difficile situazione familiare, le cose inizieranno a cambiare in città.

LA RECENSIONE:

LA RECENSIONE DI MARINA: A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT di Ana Lily Amirpour

AMERICAN ULTRA

7d8fad_american-ultra

REGIA: Nima Nourizadeh; genere: commedia, azione; anno: 2015; paese: USA; cast: Kristen Stewart, Jesse Eisenberg, Walton Goggins

Mike e Phoebe vivono in una tranquilla cittadina americana, passando le loro giornate a far uso di droghe. I due, però, sono anche stimati agenti segreti che, di quando in quando, vengono catapultati in un altro mondo, al fine di portare a termine importanti missioni.

CATTIVI VICINI 2

cattivi-vicini-2-nuova-foto-con-seth-rogen-e-zac-efron-v3-248214

REGIA: Nicholas Stoller; genere: commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Seth Rogen, Zac Efron, Rose Byrne

Mac e Kelly aspettano il loro secondo figlio e stanno per trasferirsi in periferia. Peccato che vicino casa abbiano un’associazione di studentesse universitarie fuori di testa, che hanno affittato una casa fuori città al fine di potersi scatenare il più possibile.

LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI – DRAGON BLADE

john_cusack_as_lucius_11_web

REGIA: Daniel Lee; genere: azione, arti marziali, avventura, storico; anno: 2015; paese: Cina, Hong Kong; cast: Jackie Chan, John Cusack, Adrien Brody

Siamo nelle pianure cinesi di duemila anni fa. Un esercito misterioso cavalca lungo la Via della Seta. Si tratta di un esercito dell’Impero Romano guidato dal generale Lucio e diretto ad est per proteggere Publio, figlio del console Crasso.

MY BAKERY IN BROOKLYN

thumb_CAST_POSTER

REGIA: Gustavo Ron; genere: commedia, sentimentale; anno: 2016; paese: Spagna, USA; cast: Aimee Teegarden, Linda Lavin, Josh Pais

Vivien e Chloe ereditano da una zia una prestigiosa pasticceria a Brooklyn. Vivien vorrebbe rinnovare tutto, mentre Chloe vuole che il locale rimanga com’è. Così le due decidono di dividerlo a metà – mediante una striscia nera – in modo che ognuna possa gestire la propria sezione come meglio crede.

TOKYO LOVE HOTEL

C_2_fotogallery_3002800_0_image

REGIA: Hiroki Ryuichi; genere: drammatico, sentimentale; anno: 2015; paese: Giappone; cast: Shota Sometani, Atsuko Maeda, Lee Eun-woo

Il film si svolge nell’arco di un giorno e di una notte all’interno dello squallido Hotel Atlas – nel quartiere a luci rosse di Tokyo – dove, sotto lo sguardo rassegnato del giovane Toru – proprietario dell’hotel – si consumano numerose tresche, storie d’amore e litigi di ogni genere.

 

La nostra rubrica vi dà appuntamento alla prossima settimana. Nel frattempo, approfittate di queste novità per lasciarvi sedurre – come sempre – dalla magia del grande schermo. Buon Cinema a tutti!

LA RECENSIONE DI MARINA: MISTER CHOCOLAT di Roschdy Zem

3TITOLO: MISTER CHOCOLAT; REGIA: Roschdy Zem; genere: drammatico, biografico; anno: 2016; paese: Francia; cast: Omar Sy, James Thiérrée, Clotilde Hesme; durata: 119′

Nelle sale italiane dal 7 aprile, Mister Chocolat, diretto da Roschdy Zem, è l’attesissimo lungometraggio interpretato da Omar Sy e James Thiérrée.

Il film racconta la vera storia di Rafael Padilla, in arte Chocolat, primo artista di colore ad avere successo in Francia, nei primi del Novecento, insieme al clown George Footit. Di umili origini, il ragazzo iniziò a lavorare dapprima in un piccolo circo di periferia, per poi partire alla volta di Parigi, dove la sua carriera finalmente decollò. La notorietà, però, gli causò non pochi problemi.

mister-chocolat-nuove-foto-e-trailer-italiano-del-film-campione-d-incassi-in-francia-v2-253891-640x360

Il lungometraggio di Zem, indubbiamente, ha dalla sua innanzitutto un cast stellare, oltre ad una sceneggiatura di ferro, semplice e pulita, che fa da scheletro più che robusto per l’intero prodotto. La storia del clown Chocolat, per molti anni dimenticata dai francesi stessi, è, senza dubbio, di grande interesse. Simbolo di una rivalsa sulla società che sta cambiando (ma che, forse, non è del tutto pronta al cambiamento), ma anche immagine della dura vita degli artisti, perennemente dipendenti dal giudizio del pubblico e, anche per questo, incredibilmente vulnerabili. Non dimentichiamo, inoltre, che il mondo dello spettacolo in sé (circo, teatro, varietà, così come cinema) ha sempre regalato al tutto un fascino particolare.

mister_chocolat_omar_sy_clotilde_hesmeLa vera peculiarità del film in questione – oltre ad un’ottima scrittura – è, invero, la scelta del cast. Omar Sy, comico francese noto al grande pubblico per la sua recente performance in Quasi amici, è ormai una garanzia, oltre ad una vera e propria calamita, quando si tratta di chiamare gli spettatori in sala. La grande sorpresa, però, è James Thiérrée, attore principalmente teatrale, ma anche regista e cabarettista, con un passato da circense. I numerosi cambi di registro che ogni interprete ha dovuto affrontare, sono del tutto privi di sbavature e mai sopra le righe, mentre la gestualità e la padronanza del corpo, dal canto loro, sono a dir poco encomiabili.

chocolat2Il fattore che meno convince in tutto il lungometraggio è, in realtà, proprio la regia. Spesso e volentieri, infatti, la macchina da presa tende ad indugiare un po’ troppo sui personaggi, volendo enfatizzare la drammaticità delle scene, ma creando, in contemporanea, un effetto eccessivamente patetico e smielato. Vale, in particolare, per la scena del pestaggio di Chocolat, così come per il momento riguardante il suo incontro, dopo tanti anni, con Footit.

Piccola perla: la citazione “metacinematografica” che vede i fratelli Lumière intenti a filmare i due clown. Il filmato originale ci verrà proposto appena prima dei titoli di coda. E sappiamo bene che scelte del genere si rivelano quasi sempre vincenti.

VOTO: 6/10

Marina Pavido