LA RECENSIONE – PEGGIO PER ME di Riccardo Camilli

peggio per meTITOLO: PEGGIO PER ME; REGIA: Riccardo Camilli; genere: commedia; paese: Italia; anno: 2018; cast: Riccardo Camilli, Claudio Camilli, Tania Angelosanto; durata: 108′

Nelle sale italiane dal 12 luglio grazie a Distribuzione Indipendente, Peggio per me è l’ottavo lungometraggio del regista e montatore Riccardo Camilli.

Ci troviamo a Roma, nel 1986. Francesco e Carlo hanno dodici anni e sono amici per la pelle. Invece di studiare, il giorno sono soliti remixare con un mangianastri televendite televisive e film per adulti. Le loro giornate trascorrono così, fino al momento in cui la madre di Carlo li interromperà e li separerà bruscamente. Trascorrono trent’anni e Francesco è padre di una ragazzina di dodici, si è appena separato dalla moglie e ha perso il lavoro. L’unica soluzione che ritiene possibile è suicidarsi. Nel momento in cui sta per buttarsi da un ponte, però, sentirà, tramite una delle vecchie cassette nello stereo della sua macchina, la sua voce da bambino che si rivolge a lui, impedendogli di saltare.

Lo spunto da cui prende il via tutta la vicenda è indubbiamente interessante. La storia nel complesso funziona e il risultato finale è una commedia brillante con un retrogusto amaro che fa riflettere ma che riesce a intrattenere il pubblico per quasi due ore di visione. Visione gradevole, dove, tuttavia, non mancano piccole imperfezioni, come l’attribuzione degli eventi soprannaturali alla figura di uno zio stregone (trovata eccessivamente debole e quasi improvvisata) o alcune soluzioni in chiusura che, malgrado le buone intenzioni, non riescono ad arrivare allo spettatore con la potenza inizialmente auspicata.

Funzionano molto bene sullo schermo, invece, i due fratelli Riccardo (anche regista) e Claudio Camilli, nel ruolo dei due protagonisti da adulti. La loro è una collaborazione che va avanti da anni, dalla quale sono nati ben otto lungometraggi, tutti realizzati con un budget molto basso (si pensi che Peggio per me è stato girato con soli 6000 euro), tutti che, in un modo o nell’altro, sono riusciti a vedere la luce. Un buon esempio, questo, per il cinema indipendente italiano, all’interno del quale si trovano sempre più nomi e titoli da tenere d’occhio assolutamente.

VOTO: 6/10

Marina Pavido

34° TORINO FILM FESTIVAL – CHRISTINE di Antonio Campos

RTOA9788.jpgTITOLO: CHRISTINE; REGIA: Antonio Campos; genere: drammatico, biografico; anno: 2016; paese: USA, UK; cast: Rebecca Hall, Michael C. Hall Maria Dizzia; durata: 116′

Presentato in concorso al 34° Torino Film Festival – per la sezione Torino 34Christine è l’ultimo lungometraggio diretto da Antonio Campos, già apprezzato autore del cinema underground.

Christina Chubbuck, giornalista per un’emittente televisiva di Sarasota, in Florida, nel lontano 1974 ha deciso di togliersi la vita sparandosi in testa durante una diretta. Il gesto estremo, gli ultimi, drammatici istanti di vita di Christine Chubbuck non sono – in questo lungometraggio di Campos – che un episodio quasi “marginale” in confronto alla lunga lotta contro la depressione affrontata per molti anni dalla giovane protagonista. Quella che ci appare sullo schermo è una Christine estremamente sensibile, frustrata da un lavoro in cui i suoi meriti non sembrano ottenere il giusto riconoscimento e da una madre da cui è sempre stata trattata come un’amica, ma mai come una figlia. Una Christine sognatrice e forse un po’ naïve, che, una volta scontratasi con lo spietato mondo degli “adulti”, non è riuscita a reggerne il colpo.

E, dunque, per la scelta di raccontare la depressione di Christine in modo trasversale, delicato e privo di stereotipi, peculiarità di questo lavoro di Campos è proprio una buona sceneggiatura, che, anche se apparentemente non mette in scena nulla di “nuovo”, ad uno sguardo più approfondito rivela un’attenzione ed una sensibilità che purtroppo non sempre ci capita di trovare, senza disdegnare anche momenti di humour nero che – dato il tema trattato – stanno ad alleggerire il tutto nei momenti giusti. Il risultato è una protagonista altamente empatica, che – malgrado una malattia come quella della depressione sia ancora oggi realmente sconosciuta ai più – riesce fin da subito ad entrare a contatto con il pubblico. O meglio, possiamo addirittura affermare che è il pubblico stesso a “diventare Christine”, la quale viene, finalmente, compresa nel suo modo di essere “stramba”.

Merito della riuscita di tale intento è anche una regia priva di fronzoli, ma con interessanti momenti – come quando, ad esempio, vediamo l’immagine frammentata della protagonista intenta a guardarsi allo specchio, segno che è la stessa Christine a non riconoscersi quasi più, oppure quando, durante le scene ambientate all’interno dello studio televisivo, vediamo presente ma mai eccessivamente esplicito anche il metacinema, con pellicole, macchine da presa e proiettori trattati dal regista alla stregua di veri e propri personaggi – insieme ad un’ottima performance attoriale della brava Rebecca Hall, capace di repentini cambi di registro senza, però, mai eccedere e che, grazie a questa sua interpretazione, potrebbe anche aggiudicarsi importanti riconoscimenti.

In poche parole, Christine è un film piccolo ma ben confezionato, che ci racconta qualcosa di universale senza mai essere giudicante, partendo dalla storia di una persona ormai quasi del tutto dimenticata. Un film che magari non avrà l’attenzione che merita, ma che, senza dubbio, è un’ulteriore dimostrazione del talento di Campos e che fa in modo che, dopo la sua visione, ci si rifletta, di quando in quando, su. Qualità, questa, purtroppo non sempre facile da incontrare.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

11° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – FRITZ LANG di Gordian Maugg

c-belle-epoque-fotograf-tim-fulda-%ef%80%a2-fritz-lang-hTITOLO: FRITZ LANG; REGIA: Gordian Maugg; genere: drammatico, biografico; anno: 2016; paese: Germania; cast: Heino Ferch, Thomas Thieme, Samuel Finzi; durata: 104′

Presentato in anteprima – all’interno della Selezione Ufficiale – all’11° Festa del Cinema di Roma, Fritz Lang, diretto dal regista tedesco Gordian Maugg, è incentrato sul periodo antecedente la lavorazione di uno dei più grandi capolavori del regista, nonché colonna portante del cinema espressionista: M – Il mostro di Düsseldorf.

Un pericoloso serial killer viene, finalmente, arrestato. Il regista Fritz Lang è inizialmente curioso di capire cosa abbia spinto l’uomo a commettere tutti quei delitti. In seguito ad alcuni loro incontri, però, inizierà anche a ripensare al suo passato e, in qualche modo, riuscirà a trovare non pochi punti in comune con l’uomo stesso. Dalle loro conversazioni prenderà vita, successivamente, la sceneggiatura di M – Il mostro di Düsseldorf.

Quali sono le sensazioni che si hanno durante e dopo la visione di Fritz Lang? Dunque, ripercorrendo velocemente con la mente le varie tappe della messa in scena, dovrebbero essere nell’ordine: incredulità, rabbia, sconforto, ilarità, rassegnazione, sonno e di nuovo rabbia. Ecco, il lungometraggio di Maugg trasmette proprio questo. E non perché la storia raccontata sia talmente coinvolgente da farci vivere così tante emozioni. Al contrario, chiunque abbia avuto l’occasione di innamorarsi del cinema di Lang, ha qui l’impressione di trovarsi di fronte ad una vera e propria profanazione. Soprattutto se ci si accorge della furbizia con cui una simile operazione è stata portata a termine, dal momento che un biopic su una figura di tale portata di certo andrà ad attirare un buon numero di spettatori, cinefili e non.

Prima ancora di vedere qualsiasi immagine, ma limitandosi soltanto ad ascoltare – fissando lo schermo nero – il motivetto fischiettato continuamente da Peter Lorre in M, le speranze di assistere ad un lavoro come si deve sono ancora in piedi. Bastano pochi minuti, però, per rendersi conto di avere davanti un prodotto altamente manierista e pretenzioso, le cui scene di maggiore potenza sono proprio filmati di repertorio o spezzoni del film originale di Lang montati sulla paccottiglia piatta e dai ritmi discontinui girata da Maugg. Facile così. Soprattutto quando si vuol creare un finale d’effetto con Peter Lorre che recita il suo monologo durante l’ultima sequenza di M. Come già detto, però, al di là della riuscita messa in scena da un punto di vista prettamente tecnico, quel che maggiormente rende Fritz Lang un lungometraggio urticante è la grande presunzione alla base di tutto.

Partendo dal presupposto che cercare di comprendere una figura complessa come quella di Lang – soprattutto se la si osserva in luce di alcuni avvenimenti di natura oscura (primo fra tutti, il suicidio della giovane moglie)accaduti durante la gioventù – non è compito facile, nel caso in cui si volesse approfondire un particolare momento della vita del regista, ci sarebbe talmente tanto da raccontare che, al di là della forma di messa in scena preferita, di certo potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante. Ecco, a quanto pare Gordian Maugg – probabilmente talmente ansioso di creare a tutti i costi qualcosa di “rivoluzionario” – è riuscito in tutto e per tutto a dare vita a quanto di peggio si possa produrre. Il Fritz Lang qui raccontato è un violento, cocainomane e maniaco del sesso. Sembra ossessionato da qualsiasi cosa, fatta eccezione per il cinema stesso, a cui non viene fatto il benché minimo riferimento durante tutto il lungometraggio. Il suo personaggio viene talmente caricato da essere trattato involontariamente – a un certo punto – quasi alla stregua di una macchietta e perdendo totalmente di credibilità. Da ricordare – a questo proposito – la vera e propria scena madre del film, ossia quando vediamo Lang camminare da solo nel bosco e, di punto in bianco, prendere a sparare in aria all’impazzata. A questo punto, al pubblico – già fortemente provato da oltre un’ora di visione – non resta che lasciarsi andare – più per inerzia che per altro – a qualche stanca risata.

Tanto rumore per nulla, in pratica. Eppure, anche volendosi solo soffermare sul periodo antecedente la lavorazione di M, ci sarebbe talmente tanto da raccontare che i 104 minuti qui impiegati sarebbero fin troppo pochi. Basti pensare soltanto alle tematiche del film stesso, alla forte critica nei confronti della società, alla denuncia di quel “nazismo latente” che avrebbe visto, da lì a pochi anni, la nascita della dittatura vera e propria. Invece no. Gordian Maugg non racconta nulla di tutto ciò, impegnato com’è a dare vita a tutti i costi ad un Fritz Lang disturbato e disturbante come quello presentatoci in questa sua opera. E pensare che, anche solo volendosi concentrare sull’uomo piuttosto che sul cineasta, un bel documentario in merito, ad esempio, avrebbe avuto di sicuro una migliore riuscita. Ma, si sa, la presunzione, spesso e volentieri, gioca dei gran brutti scherzi.

VOTO: 3/10

Marina Pavido

11° FESTA DEL CINEMA DI ROMA – LA CAJA VACIA di Claudia Sainte-Luce

emptybox_01TITOLO: LA CAJA VACIA; REGIA: Claudia Sainte-Luce; genere: drammatico; anno: 2016; paese: Messico, Francia; cast: Claudia Sainte-Luce, Jimmy Jean Louis Pablo Sigal; durata: 101′

Presentato in anteprima – all’interno della Selezione Ufficiale – all’11° Festa del Cinema di Roma, La caja vacia è l’ultimo lungometraggio diretto dalla giovane regista messicana Claudia Sainte-Luce, che, in questa sua opera, affronta il non facile tema della perdita della memoria.

Dopo anni di assenza, Toussaint – sessantenne haitiano – si trasferisce a Città del Messico a casa della figlia Jazmin. I rapporti tra i due non sono mai stati buoni, ma la convivenza forzata aiuterà l’uomo ad elaborare il suo passato, mentre sua figlia riuscirà, in qualche modo, a perdonarlo.

La particolare struttura narrativa adottata – all’interno della quale sono presenti frequenti flashback e scene oniriche – è, forse, l’elemento più interessante che caratterizza il lungometraggio. Continui salti tra il passato ed il presente, senza stacchi cromatici per quanto riguarda la fotografia, trascinano fin da subito lo spettatore in un loop senza fine. Non vi è alcuna spiegazione clinica, non si scade mai in un eccesso di didascalismo, semplicemente la malattia la si vive. E lo si fa in modo del tutto naturale, entrando direttamente nella mente del protagonista. Interessante, a questo proposito, la scelta di mostrare il protagonista anziano persino durante i momenti ambientati durante la sua infanzia.

Analogamente al tema della malattia, anche il rapporto padre-figlia viene approfondito a dovere. Sia per quanto riguarda le conseguenze che l’infanzia problematica di Jazmin ha avuto sul suo presente (la difficoltà ad avere una relazione matura), sia per il senso di colpa vissuto – durante i ricordi – dallo stesso Toussaint.

Ed ecco che ci troviamo di fronte a due elementi fondamentali: il senso di colpa e la memoria. Cosa, o meglio, chi ci ricordano queste due costanti? Ovviamente, non possiamo non pensare alla filmografia d Christopher Nolan, il quale ha fatto di queste due tematiche quasi il marchio di fabbrica delle sue opere. Ovviamente, in La caja vacia tutto è trattato in modo più “soft”, meno contorto e con meno salti spazio-temporali. Nonostante le numerose scene oniriche, infatti, essenziali e senza fronzoli sono le scelte registiche adottate, insieme ad una fotografia decisamente sobria e dai colori tenui, all’interno della quale grande spazio hanno – soprattutto per quanto riguarda gli interni – le ombre, simbolo, appunto, dei buchi nella memoria del protagonista.

Le uniche pecche di questo lungometraggio della Sainte-Luce sono sporadici momenti “morti”, in cui la narrazione sembra non andare avanti e, al contrario, sembra diventare eccessivamente ripetitiva. Questa non sempre azzeccata gestione dei tempi viene affiancata anche da qualche pericolosa caduta di stile, la peggiore delle quali avviene, senza dubbio, alla fine del film, quando – dopo il suicidio di Toussaint – vediamo quest’ultimo apparire sullo schermo del televisore a casa di Jazmin, come se avesse voluto dare un ultimo saluto alla figlia.

Detto questo, ci troviamo comunque di fronte ad un’opera piccola ma interessante. Soprattutto per una messa in scena della malattia semplice e complessa, articolata ed essenziale allo stesso tempo. Risultato, questo, molto più difficile da ottenere di quanto si possa inizialmente pensare.

VOTO: 7/10

Marina Pavido

OGGI AL CINEMA: tutte le novità in sala del 30/06/2016

A cura di Marina Pavido

È giovedì e, come ogni settimana, il palinsesto si rinnova. Anche oggi sono numerosi i nuovi titoli in programmazione nelle sale italiane: dall’iraniano A girl walks home alone at night alla commedia americana Il piano di Maggie, dal lungometraggio di animazione Ratchet & Clank al giapponese Tokio Love Hotel. Come di consueto, ecco una breve rubrica per aiutarvi a scegliere ciò che maggiormente incontra i vostri gusti. In fondo ad alcune trame, inoltre, sarà possibile leggere qualche nostra recensione.

 

NAHID

Nahid

REGIA: Ida Panahandeh; genere: drammatico; anno: 2015; paese: Iran; cast: Sareh Bayat, Pejman Bazeghi

Nahid è una giovane donna divorziata con il figlioletto a carico. Il suo ex marito, tossicodipendente, minaccia di toglierle l’affidamento del bambino qualora lei si risposasse. Le cose si complicano quando la donna si innamora di un uomo che sembra amarla a sua volta.

LA RECENSIONE:

LA RECENSIONE DI MARINA: NAHID di Ida Panahandeh

 

A DRAGON ARRIVES!

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REGIA: Mani Haghighi; genere: avventura, horror; anno: 2016; paese: Iran; cast: Amir Jadidi, Ehsan Goodarzi, Homayoun Ghanizadeh

Il detective Babak Hafizi, incaricato di indagare su un sospetto suicidio di un esule politico, viene a conoscenza di un’antica leggenda, secondo la quale ogni volta che qualcuno viene sepolto in un vecchio cimitero (vicino al luogo del suicidio) si scatena un misterioso terremoto.

IL PIANO DI MAGGIE

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REGIA: Rebecca Miller; genere: commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Greta Gerwig, Ethan Hawke, Julianne Moore

Maggie è una brillante trentenne che decide di avere un figlio da sola. I suoi piani cambiano quando incontra un affascinante scrittore in crisi e se ne innamora. L’uomo, a sua volta, però, è infelicemente sposato con una professoressa universitaria. Tra i tre verrà a crearsi una bizzarra situazione.

RATCHET & CLANK – IL FILM

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REGIA: Kevin Munroe, Jericca Cleland; genere: animazione, avventura, azione, commedia; anno: 2016; paese: USA

Ratchet è l’ultimo extraterrestre della sua specie, mentre Clank è un piccolo e simpatico robot. I due, insieme, avranno il compito di fermare un pericoloso alieno che minaccia di distruggere ogni pianeta della galassia.

A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT

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REGIA: Ana Lily Amirpour; genere: drammatico, horror; anno: 2013; paese: Iran, USA; cast: Sheila Vand, Arash Marandi, Marshall Manesh

A Bad City, una malfamata città iraniana, una misteriosa ragazza si aggira da sola per le strade di notte. Dal suo incontro con un ragazzo con una difficile situazione familiare, le cose inizieranno a cambiare in città.

LA RECENSIONE:

LA RECENSIONE DI MARINA: A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT di Ana Lily Amirpour

AMERICAN ULTRA

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REGIA: Nima Nourizadeh; genere: commedia, azione; anno: 2015; paese: USA; cast: Kristen Stewart, Jesse Eisenberg, Walton Goggins

Mike e Phoebe vivono in una tranquilla cittadina americana, passando le loro giornate a far uso di droghe. I due, però, sono anche stimati agenti segreti che, di quando in quando, vengono catapultati in un altro mondo, al fine di portare a termine importanti missioni.

CATTIVI VICINI 2

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REGIA: Nicholas Stoller; genere: commedia; anno: 2016; paese: USA; cast: Seth Rogen, Zac Efron, Rose Byrne

Mac e Kelly aspettano il loro secondo figlio e stanno per trasferirsi in periferia. Peccato che vicino casa abbiano un’associazione di studentesse universitarie fuori di testa, che hanno affittato una casa fuori città al fine di potersi scatenare il più possibile.

LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI – DRAGON BLADE

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REGIA: Daniel Lee; genere: azione, arti marziali, avventura, storico; anno: 2015; paese: Cina, Hong Kong; cast: Jackie Chan, John Cusack, Adrien Brody

Siamo nelle pianure cinesi di duemila anni fa. Un esercito misterioso cavalca lungo la Via della Seta. Si tratta di un esercito dell’Impero Romano guidato dal generale Lucio e diretto ad est per proteggere Publio, figlio del console Crasso.

MY BAKERY IN BROOKLYN

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REGIA: Gustavo Ron; genere: commedia, sentimentale; anno: 2016; paese: Spagna, USA; cast: Aimee Teegarden, Linda Lavin, Josh Pais

Vivien e Chloe ereditano da una zia una prestigiosa pasticceria a Brooklyn. Vivien vorrebbe rinnovare tutto, mentre Chloe vuole che il locale rimanga com’è. Così le due decidono di dividerlo a metà – mediante una striscia nera – in modo che ognuna possa gestire la propria sezione come meglio crede.

TOKYO LOVE HOTEL

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REGIA: Hiroki Ryuichi; genere: drammatico, sentimentale; anno: 2015; paese: Giappone; cast: Shota Sometani, Atsuko Maeda, Lee Eun-woo

Il film si svolge nell’arco di un giorno e di una notte all’interno dello squallido Hotel Atlas – nel quartiere a luci rosse di Tokyo – dove, sotto lo sguardo rassegnato del giovane Toru – proprietario dell’hotel – si consumano numerose tresche, storie d’amore e litigi di ogni genere.

 

La nostra rubrica vi dà appuntamento alla prossima settimana. Nel frattempo, approfittate di queste novità per lasciarvi sedurre – come sempre – dalla magia del grande schermo. Buon Cinema a tutti!

LA RECENSIONE DI MARINA: NESSUNO MI TROVERA’ di Egidio Eronico

1449232598823TITOLO: NESSUNO MI TROVERÀ; REGIA: Egidio Eronico; genere: documentario; anno: 2015; paese: Italia; durata: 75′

Nelle sale italiane dal 15 aprile, Nessuno mi troverà – per la regia di Egidio Eronico – affronta il tema della misteriosa scomparsa del fisico teorico Ettore Majorana.

Siamo nel 1938. Majorana ha solo 31 anni, ma è già considerato una delle più importanti menti del nostro secolo. Personaggio solitario e taciturno, si è sempre distinto per la sua riservatezza. Per quanto riguarda le sue scoperte, pare che fin da subito sia venuto a conoscenza degli enormi rischi legati al nucleare. Il 26 marzo 1938, la sua improvvisa e misteriosa scomparsa – dopo essersi imbarcato da Palermo alla volta di Napoli. Da allora le ricerche e le indagini circa la sua sparizione non sono mai cessate.

NESSUNOMITROVERAChe si tratti di suicidio? Che sia migrato in Germania per collaborare con il partito nazionalsocialista? Che si sia ritirato in convento? Che sia stato ucciso tramite un complotto, in seguito alle recenti scoperte sul nucleare? Numerose sono le tesi che, fino ad oggi, sono nate riguardo la scomparsa del celebre fisico teorico. Per il momento, però, non vi è nessuna certezza. E questo documentario di Egidio Eronico non ha la pretesa di dare una risposta a tutti questi quesiti, non ha la pretesa di avanzare un’ulteriore tesi. Semplicemente approfondisce l’argomento Majorana, in modo da farci conoscere meglio il genio e l’uomo, attraverso scritti autografi e testimonianze.

NMT_animazione_01-700x430Tutto ciò viene messo in scena con una tecnica che prevede l’animazione, come anche interviste, inserti fotografici e filmati di repertorio. Interessante operazione, questa, che fa in modo che il montaggio assuma un ruolo principale all’interno del prodotto stesso. Ed è proprio il montaggio a creare le prime problematiche: con ritmi a volte fin troppo serrati, fa sì che lo spettatore faccia fatica a focalizzare con attenzione ciò che viene mostrato. Problema, questo, dovuto anche alla voce narrante, con la quale si trova, inevitabilmente, a dover stare al passo: presenza necessaria, ma usata – in questo caso – in maniera eccessiva, al punto da risultare quasi “ingombrante” e da doppiare addirittura le immagini, rendendo il tutto pericolosamente didascalico, oltre che di stampo più televisivo che cinematografico.

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Detto questo, però, è interessante l’idea – sebbene già diverse volte sperimentata – da cui parte Nessuno mi troverà: creare un mix di tecniche affinché il documentario stesso possa suscitare nello spettatore le medesime emozioni provocate, in genere, da un normale lungometraggio. Una particolare nota di merito va alle scene di finzione: i disegni, rigorosamente in bianco e nero, sono quasi degli schizzi, senza contorni netti che stiano a delineare le figure, ma allo stesso tempo rendono molto bene l’idea di ciò che si sta rappresentando, regalando al tutto una certa aura di mistero perfettamente in linea con il tema trattato. Tutto ciò ha contribuito a rendere questo ultimo lavoro di Eronico – nonostante qualche imperfezione – un buon prodotto, sentito ed intellettualmente onesto.

Nessuno mi troverà, dunque, merita di essere visto sia per la realizzazione, sia per conoscere meglio una porzione di storia del nostro paese. La storia di un grande teorico che, forse, proprio in seguito alle sue scoperte, non ha più avuto il diritto di essere Ettore Majorana.

VOTO: 7/10

Marina Pavido